Recensioni

I trapianti tra scienza ed etica

Undici esperti si confrontano su tecnica e morale, tra speranze e delusioni, bisogni materiali e fede religiosa, vita e morte

Qual è il confine tra la vita e la morte? Quando è davvero possibile “staccare la spina”? Quando si è in presenza di accanimento terapeutico? Domande difficili, che spesso non trovano risposte univoche neppure tra gli addetti ai lavori. Domande assillanti, che periodicamente conquistano le prime pagine dei giornali e sollecitano prese di posizione istituzionali. Ma, soprattutto, domande intime, che incalzano le coscienze dei singoli. Il libro «I trapianti tra scienza ed etica» (ed. Camilliane, 2008, pp. 191, euro 19) a cura di Enrico Larghero e Pier Paolo Donadio, anestesisti all’ospedale Molinette di Torino, offre analisi preziose per chi desidera trovare qualche risposta: undici contributi di esperti che si confrontano tra tecnica ed etica, speranze e delusioni, bisogni e fede religiosa, vita e morte.

A fissare un primo paletto fondamentale provvede Enrico Larghero, medico e teologo morale: «Il diritto alla vita comprende e precede il diritto alla difesa della salute. Non si può quindi sopprimere una vita per favorirne un’altra, non si può mercificare il corpo anche per ragioni di indigenza, non si può vendere o comprare un organo». E aggiunge: «Tutta la trapiantologia si fonda sull’etica del dono, atto spontaneo e gratuito con cui una persona accetta e decide di donare se stessa (...). Nel dono vi è autentico amore, che va oltre i dilemmi bioetici della morte cerebrale, le insidie del consenso informato e un’appropriata allocazione delle risorse». La religione e la fede, ammette Larghero, «non si possono identificare con la morale, ma costituiscono un solido humus su cui i valori possono nascere, crescere e radicarsi. Anche una cultura umanistica e laica può contribuire a formare la coscienza sia individuale che collettiva, purché susciti anch’essa la solidarietà e la fratellanza tra gli uomini nella prospettiva del bene comune».

Pier Paolo Donadio entra invece nel vivo della scienza medica e della definizione di morte, «sulla quale», spiega, «fortunatamente esiste il più ampio consenso (...). Sull’essenza della morte, che è sempre la morte del cervello, tutta la dottrina e l’etica sono concordi». Certo è che «l’accertamento con criteri neurologici (la cosiddetta “morte cerebrale”) deve essere eseguito in modo completo, sistematico, rigoroso e collegiale». Ma gli organi si donano o vengono prelevati? In altre parole, la “donazione” è davvero tale oppure è un prelievo più o meno forzoso, sia pure eseguito per il beneficio dei riceventi? La questione, scrive Donadio, si pone in maniera drammatica soprattutto per chi non ha espresso chiaramente la propria volontà mentre era in vita. In tal caso «occorre riflettere sul fatto che coloro che non si esprimono non vogliono, con il proprio silenzio, opporsi alla donazione, ma sono semplicemente persone che non amano pensare alla propria morte; gravare quindi il deceduto della responsabilità di non aver voluto donare i propri organi e con questo di aver negato vita e salute ad altri suoi simili, sembra, da un punto di vista etico, una coercizione ancora maggiore di quella esercitata presumendo il contrario».

operazione cardiologia2 Sciolto il nodo del consenso, subentra quello dell’allocazione: «Gli organi disponibili sono in numero largamente insufficiente rispetto alla domanda», spiega l’anestesista, «non si possono produrre in fabbrica o in laboratorio, non si possono comprare, sono frutto di una donazione libera e gratuita. (...) Bastano questi elementi per comprendere come le regole di allocazione rappresentino la vera sfida etica del sistema dei trapianti. Gli obiettivi delle regole di allocazione sono l’equità, cioè garantire a tutti i pazienti uguali opportunità di accesso al trapianto, e l’efficienza, cioè garantire che tutti gli organi che si rendono disponibili vengano utilizzati». E conclude: «Fino a quando gli organi non saranno sufficienti per le necessità o non verranno scoperte terapie alternative, a qualcuno toccherà l’ingrato compito di decidere chi deve ricevere l’organo e chi deve morire aspettandolo».

Ad autori tanto attenti e disincantati non sfugge il problema del traffico di organi. «Tra gli effetti della globalizzazione», scrive Mariella Lombardi Ricci, docente di bioetica alla Cattolica, «possiamo inserire anche le pressioni che organizzazioni criminali internazionali esercitano su persone in situazione di estrema povertà affinché vendano i loro organi. Purtroppo non siamo in presenza di una leggenda metropolitana, ma di una realtà». I biologi definiscono «apartheid medica» il commercio di organi umani tra Paesi ricchi e Paesi poveri: «un’evoluzione del fenomeno del traffico di esseri umani, che purtroppo esiste da secoli». Di questo problema, prosegue la professoressa, si parla fin dagli anni Ottanta: i mass media e varie organizzazioni internazionali denunciano pratiche illecite ad esempio tra i condannati a morte in Cina e tra i bambini in Africa, «ma spesso le notizie finiscono sottovalutate, quasi “silenziate”, cioè interpretate come un espediente per attirare l’attenzione del lettore». Ma è etico accettare che la povertà sia sanata mediante l’oggettivazione del proprio corpo? Permettere che una parte di sé sia trasformata in merce per sopravvivere? «Tutti sappiamo», conclude Ricci, «tutti siamo coinvolti nella responsabilità; la sfida etica delle disuguaglianze sociali, economiche e sanitarie attende una risposta».

Altrettanto interessante l’analisi della dimensione psicologica a cura di Giorgio Lovera, medico alle Molinette: «L’obbligo del consenso informato, cioè di una libera e consapevole adesione all’atto medico, prospetta un nuovo scenario di rapporti tra il medico e il paziente, in cui comportamenti “umani” di considerazione e di comprensione dell’altro sono parte integrante, oltre che legittimazione e fondamento, dell’atto medico». Un’utopia, ammette Lovera, visto che la legge italiana che norma i prelievi e i trapianti di organi «nulla dice in merito agli interventi psicologici» e tutto è lasciato all’arbitrio delle soluzioni locali. E precisa: «Il Servizio di psicologia medica del Centro regionale di riferimento per i trapianti del Piemonte, operante dal 1993, rappresenta un’esperienza e un modello di lavoro in fondo unici nel panorama italiano».

musulmani La seconda parte del libro è dedicata al rapporto con le religioni, il cui giudizio in materia di donazione degli organi o di interventi medici estremi è spesso considerato come un’ingerenza indebita. «Ma alcuni dati statistici», spiega Carla Corbella, filosofo e teologo morale, «possono aiutare a sgomberare il campo da questo equivoco di partenza». Gli stranieri in Italia sono circa tre milioni, tra regolari e clandestini: i cristiani sono più o meno la metà del totale, i fedeli musulmani quasi un terzo, il resto è composto da protestanti, induisti e buddisti. «Questi cittadini possono essere potenziali donatori o pazienti bisognosi di trapianto, senza alternativa terapeutica. Dunque affrontare il tema dei trapianti dall’angolatura religiosa non è un optional ma, al di là dell’importanza che ciascuno riferisce alla religione, un’urgenza professionale». Dopo aver preso in esame le posizioni ebraica, islamica e ortodossa, Corbella conclude ricordando che già il Vaticano II nel 1965 «tolse il fondamento a ogni teoria o prassi che introduca tra uomo e uomo, tra popolo e popolo, discriminazioni in ciò che riguarda la dignità umana e i diritti che ne promanano (...). A ciascuno, nell’ambito proprio della sua professione ma anche della sua vita è lasciato il compito di fare la sua parte».

La posizione della Chiesa cattolica, a cui è riconducibile il credo di gran parte della popolazione italiana, è ripresa e illustrata in dettaglio da Giuseppe Zeppegno e Mario Rossino, teologi morali. «La donazione degli organi nell’ottica cristiana», spiega Zeppegno, «pone in una prospettiva di prossimità, di comunione e di solidarietà dove il bene dell’altro coincide con il proprio bene e il dolore dell’altro è parte del proprio dolore». Ma, avverte Rossino, «il giudizio moralmente negativo su chi, in modo consapevole e libero, rifiuta di donare dopo la morte i propri organi (un atto che appare tanto più ingiustificato quando si rifletta che fare quel dono non gli costa nulla), non comporta l’automatica giustificazione di una eventuale imposizione giuridica, perché l’amore non può essere imposto come dovere giuridico, ma deve essere liberamente assunto da ciascuno come vero obbligo morale personale». Quindi, tornando ai criteri di accertamento della morte, spiega che «la morale cattolica condivide le ragioni della constatazione attraverso la morte di tutto l’encefalo (corteccia e tronco) e le accetta».

Completano la trattazione dati, tabelle, statistiche sull’attività di donazione tra il 1992 e il 2007 e le testimonianze di alcuni pazienti trapiantati.

In copertina


a cura di Enrico Larghero e Pier Paolo Donadio
Edizioni camilliane
2008
191
9788882571450

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