Soprattutto il lettore del ventunesimo secolo deve gettare un occhio alla storia, al modo di vivere, alle relazioni sociali dell'Inghilterra vittoriana, e l'altro a un concetto matematico, qual è quello di dimensione, che continua ad apparire come modernissimo e a non portare i segni del suo secolo abbondante di vita.
Nonostante quest'apparente difficoltà, il libro di Abbott - l'unico per il quale il pedagogo inglese è noto - sa avvolgere in ricche stoffe damascate la nuda verità matematica. Ed è proprio in questo nascondere per mostrare che sta la grandezza dell'Autore che riesce con successo in un ottimo esempio di comunicazione della matematica.
Inseguendo gli usi e i costumi di Flatlandia, prima, le avventure del Quadrato, poi, il lettore quasi inconsapevolmente sonda alcuni fatti geometrici connessi all'idea di dimensione.
Alla fin fine si può azzardare una scommessa: conclusa la lettura, chiunque sarà convinto di non sapere nulla di più di quello che sapeva già prima (e si sentirà persino la testa un po' confusa) ma può star certo che di matematica ne ha imparata non poca.
La lettura del libro di Abbott può sembrare, a momenti alterni, qualcosa di estremamente semplice, banale, quasi una favola per bambini, oppure un ostico trattato ottocentesco nel quale le descrizioni difficili e puntigliose annoiano il lettore.
Tutto questo non è casuale: anche nella forma Flatlandia riesce a ripercorrere la dinamica e le sensazioni dello scoprire nuovi mondi matematici. Ci sono i momenti di esaltazione infantile, nei quali tutto pare facile e chiaro, ma ci sono anche gli ostacoli quasi insormontabili, le interminabili pause, durante le quali si è certi che non si farà più alcun progresso.
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