Dossier

"I tempi stanno cambiando"

Sir David King: ecco come raggiungere un accordo globale

King sir David 2 Da quandoè stato a Torino l’ultima volta, nel maggio scorso, per ricevere la sua decima laurea honoris causa, il quadro globale dei mutamenti climatici non è certo migliorato, ma qualcosa si è mosso a livello politico. Sir David King, per otto anni capo consulente scientifico del governo britannico e tra i massimi esperti mondiali in tema di global warming, è tornato nel capoluogo subalpino il 22 febbraio come ospite d’eccezione della rassegna «I tempi stanno cambiando», al Museo regionale di Scienze naturali.

Professor King, ci sono state novità in questi ultimi mesi?

Sì. Abbiamo assistito a due eventi importanti: il vertice di Bali, lo scorso dicembre, dove anche gli Stati Uniti hanno accettato una road map per la riduzione delle emissioni di gas serra; e l’inversione di rotta dell’Australia in seguito all’elezione di Kevin Rudd, che come primo atto di governo ha firmato il Protocollo di Kyoto, osteggiato dal suo predecessore. L’evento davvero cruciale, tuttavia, sarà l’elezione del nuovo Presidente degli Stati Uniti a novembre. Con Bush abbiamo avuto otto anni di negazionismo. Presto la situazione potrebbe cambiare radicalmente. Il mio auspicio è che gli Usa assumano finalmente la leadership che è sempre mancata nella lotta al cambiamento climatico. Certo la situazione resterà difficile, soprattutto a causa di Cina e India. Ma sono ottimista perché recentemente la Cina ha manifestato seria preoccupazione per l'impatto ambientale del proprio sviluppo economico. L'India, purtroppo, deve fare ancora parecchia strada.

Ha notato differenze fra i tre principali candidati alla presidenza Usa a proposito del global warming?

Sì, per esempio John McCain, unico repubblicano rimasto in gara, per anni ha denunciato la necessità di agire contro il cambiamento climatico e ha collaborato a tal fine con Bill e Hillary Clinton al Senato. McCain e la Clinton, quindi, hanno già dimostrato di saper lavorare assieme su questo problema. Barack Obama non ha chiarito pubblicamente la propria posizione, ma sulla base di conversazioni private posso dire che è altrettanto favorevole all’introduzione di provvedimenti sostanziali. Più in generale mi pare che, in questo momento, la campagna elettorale Usa si concentri soprattutto sulle questioni interne: spero che questo atteggiamento termini con il voto che il futuro Presidente percepisca fino in fondo l'importanza di un rafforzamento degli enti internazionali, come Nazioni Unite e Organizzazione mondiale per il commercio, impegnati a gestire a livello globale il problema del surriscaldamento terrestre.

Il caso del governo inglese, che nell’arco di pochi anni ha posto i cambiamenti climatici tra le proprie priorità di intervento, induce un fondato ottimismo: crede che riusciremo a invertire la rotta a livello globale e a scongiurare il peggio?

La sfida è immane, ma possiamo farcela: abbiamo la tecnologia, le competenze e le risorse economiche. Il caso inglese è, appunto, emblematico: nel 2006 abbiamo ridotto del 15 per cento le nostre emissioni di gas serra rispetto al 1990 e arriveremo al 20 per cento entro il 2020, ben oltre i livelli fissati a Kyoto. Nello stesso periodo la nostra economia è cresciuta del 40 per cento, a dispetto di chi come gli Stati Uniti teme che le politiche di abbattimento dei gas serra possano danneggiare il benessere del Paese. La somma stanziata per la prevenzione delle inondazioni, sempre più gravi in Inghilterra negli ultimi anni e in probabile intensificazione, è passata da 200 a 700 milioni di sterline all’anno. Già entro il 2014 in gran parte delle città britanniche il sistema di drenaggio delle acque meteoriche sarà completamente rifatto e dimensionato sull’intensità di pioggia attesa nel 2080. Per ottenere un analogo risultato a livello globale è indispensabile la spinta della volontà congiunta dei governi del pianeta. Un obiettivo tutto sommato raggiungibile: in passato ad esempio, dinanzi al problema dell’allargamento del buco nell’ozono, la comunità internazionale ha ratificato all’unanimità il Protocollo di Montreal e ha messo al bando i cloro-fluoro-carburi, principali responsabili del danno atmosferico.

Cosa serve per raggiungere un nuovo accordo globale?

Venezia Anzitutto occorre fissare un obiettivo comune: per esempio non superare le 450 ppm di CO2 (anidride carbonica) nell’atmosfera, in modo da contenere l’aumento di temperatura media tra 1,5 e 3,8°C e scongiurare lo scioglimento dei ghiacci della Groenlandia, a causa del quale il livello del mare salirebbe di 6,5 metri e grandi città come Londra, Shangai, New York, Tokyo, Hong Kong verrebbero completamente sommerse (per salvare Venezia occorrerebbe fare una diga in corrispondenza dello Stretto di Gibilterra!). Occorre insomma stabilire un limite massimo per le emissioni di ogni Paese e prevedere l'emissions trading, in modo che chi supera la quota assegnata paghi una “penalità”. E poiché tutte le nazioni, indistintamente, dovranno far parte del gioco, sarà molto importante trasferire le tecnologie più efficienti ai Paesi in via di sviluppo.

Nello scorso decennio in Italia tutti gli indicatori energetici e quelli relativi alle emissioni climalteranti hanno mostrato un segno contrario alle speranze di un’evoluzione verso un’economia più efficiente e rinnovabile. Qual è il suo giudizio?

Raggiro la domanda (ma allo stesso tempo rispondo…) facendo riferimento alla situazione degli altri Paesi europei. In Europa le prime a muoversi sono state Germania, Gran Bretagna e Francia. L'impegno tedesco, in particolare, ha portato alla recente risoluzione europea di assumere obiettivi chiari e vincolanti entro il 2020 (riduzione del 20 per cento delle emissioni di CO2, aumento del 20 per cento dell’efficienza energetica, innalzamento al 20 per cento della quota energetica ricavata da fonti rinnovabili). Anche la Spagna adesso è leader, soprattutto a livello di azioni concrete: ricava più energia da fonti rinnovabili di qualsiasi altra nazione al mondo. L’Italia è ancora molto indietro, soprattutto sul risparmio e l’efficienza energetica.

Lei è un chimico di formazione. Cosa pensa della proposta di “sequestrare” la CO2?

Sono in corso studi molto importanti sul “sequestro” della CO2 nei pozzi petroliferi esauriti. I giacimenti di petrolio e di gas hanno naturalmente una copertura rocciosa che trattiene all’interno il combustibile impedendone la fuoriuscita spontanea, quindi immagazzinarvi l’anidride carbonica pare abbastanza sicuro in termini di tenuta. Il problema è che la quantità di spazio disponibile nei giacimenti petroliferi e gassosi non è sufficiente per risolvere il problema. Per questo, ad esempio, l’Unione europea sta verificando la possibilità di sfruttare le falde acquifere saline, sostituendo cioè all'acqua salata la CO2. In tal caso potremmo contare su spazi di stoccaggio maggiori e risolvere davvero il problema. È un approccio importante, perché è improbabile che la Cina smetta di usare il carbone di cui è ricca. D’altronde il processo catalitico che consente di convertire il carbone in petrolio (il cosiddetto fisher trops) è già praticabile. E con il petrolio a 100 dollari al barile diventerà anche competitivo: l'industria petrolifera potrebbe presto optare per la liquefazione del carbone. Ma se seguiremo solo questa strada, avremo perso la battaglia contro il surriscaldamento globale.

Cosa si può fare a livello locale?

biclicletta L Anzitutto si possono stabilire incentivi per i comportamenti più virtuosi e penalità per quelli più deleteri. Prendiamo, ad esempio, la congestion charge introdotta a Londra per le automobili: se l'auto emette meno di 100 g di CO2 per chilometro, la tassa è zero; se ne produce più di 250 g, il canone è di 27 sterline al giorno. Basta estendere questa impostazione a ogni ambito. Alla base, tuttavia, occorre contare su un buon design urbano, in modo da ridurre il ricorso alle auto, incrementare l’uso dei mezzi pubblici, incoraggiare le persone a camminare e ad andare in bicicletta. Naturalmente occorre porre attenzione anche all’efficienza energetica negli edifici, sostituire le vecchie lampadine a incandescenza con quelle a fluorescenza… Più in generale, occorre un profondo cambiamento culturale: dobbiamo stravolgere la mentalità corrente, secondo cui è da ammirare chi guida auto potenti, e riservare invece il nostro apprezzamento a chi risparmia energia, va in bici, cammina.

Cosa pensa di chi nega il collegamento tra surriscaldamento terrestre e attività dell'uomo?

Nel mio ultimo libro, «The hot topic» (a breve sarà pubblicato anche in Italia) dedico un intero capitolo agli scettici e ai negazionisti. La scienza del cambiamento climatico è arrivata a una tale convergenza di vedute che restano solo due categorie di persone in disaccordo. Quelli al soldo delle lobby (esattamente come fino a pochi anni fa capitava con il fumo) e gli sciocchi. Negli ultimi 15 anni le principali riviste scientifiche, come «Science» e «Nature», hanno pubblicato un numero enorme di articoli che confermano l’origine antropogenica dell’attuale surriscaldamento terrestre e nessuno a sostegno della tesi opposta.

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