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Ötzi: dai ghiacci del Similaun a Torino

Per la prima volta l’uomo riemerso da un sonno glaciale di 5.300 anni arriva nel capoluogo piemontese grazie a una mostra itinerante, già esposta con successo in importanti musei europei e giapponesi.

È finito sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo. Ma, come nelle migliori storie, la sua avventura è iniziata in sordina, in modo del tutto casuale. Era il 19 settembre 1991. Erika ed Helmut Simon, di Norimberga, scendendo dalla cima del Similaun, in Val Senales, sbagliarono sentiero e fecero una macabra scoperta: un cadavere incastrato nel ghiaccio. Otzi ghiaccio Il corpo fu recuperato quattro giorni più tardi, a causa delle condizioni impervie del punto di ritrovamento. Solo allora fu chiaro che non si trattava di un alpinista morto di recente, ma di un uomo vissuto almeno 5.000 anni prima. L’archeologo Konrad Spindler di Innsbruck, che per primo datò il reperto, definì la scoperta sensazionale e la notizia fece il giro del mondo.

Dopo alcuni anni di ricerche, nel 1998 la mummia e gli oggetti che le appartenevano furono esposti al Museo archeologico dell'Alto Adige. Il 6 aprile 2007 l’uomo di Similaun è giunto a Torino al Museo regionale di scienze naturali di Torino (via Giolitti 36), grazie a un’esposizione itinerante già proposta con successo in importanti musei europei e giapponesi. L’evento ha dato il via ufficiale alle settimane della scienza 2007.

La mostra torinese, in programma fino al 31 agosto, è suddivisa in due macro-aree: una contraddistinta dal colore rossiccio, dedicata all’Età del Rame (il periodo in cui visse Ötzi), arricchita da installazioni video ed elementi multimediali; l’altra dominata dallo zinco, il colore del ghiaccio in cui si è conservata la mummia, riservata alle questioni tecnico-scientifiche relative al suo eccezionale mantenimento nel corso dei millenni e negli anni successivi alla scoperta. Della mummia è esposta una ricostruzione fedele e non l’originale perché, per motivi di conservazione, quest’ultimo non può lasciare la cella frigorifera appositamente realizzata al Museo di Bolzano.

L’allestimento itinerante dedicato a Ötzi, nomignolo derivante dalle Alpi Ötztaler dove fu ritrovato, cerca di dare risposte ai quesiti che gli studiosi di tutto il mondo si sono posti e che la dottoressa Angelica Fleckinger, direttrice del Museo di Bolzano, ci ha riassunto con competenza e disponibilità, a margine dell’affollata inaugurazione torinese.

Dottoressa Fleckinger, anzitutto perché Ötzi è così speciale?

Fino al settembre del 1991 ci era possibile ricostruire il Neolitico solo grazie a resti come scheletri, tombe e corredi funebri. L'unicità del ritrovamento di Ötzi sta nel fatto che è morto improvvisamente, strappato alla sua vita quotidiana, e che il processo di mummificazione che lo riguarda è di tipo “umido”: sotto al ghiacciaio, a 3.210 m di quota, si è conservato come in un congelatore; Otzi luogo ritrovamento le condizioni di conservazione del corpo, dell'abbigliamento e degli oggetti che aveva con sé al momento della morte sono perfette. Questo genere di mummie è chiaramente molto raro (in Siberia sono stati ritrovati solo alcuni mammut in condizioni analoghe); così ben conservato è di grandissimo valore: pelle, capelli, occhi, tessuti, organi interni e persino il contenuto intestinale sono rimasti intatti. Una finestra su un'epoca creduta ormai persa.

Il fatto che sia una mummia “umida” è un vantaggio?

Indubbiamente sì. Non solo perché si sono conservati gli organi interni, ma anche perché è rimasta una componente liquida delle cellule molto preziosa per l’analisi del dna. Attualmente sono in corso studi sul patrimonio genetico di Ötzi, volti a stabilire se aveva determinate malattie e, soprattutto, a fare paragoni con il dna della popolazione attuale. Al momento sappiamo che c’è grande somiglianza con i ladini dell’Alto Adige. Ma sarà interessante valutare anche quali variazioni genetiche ci sono state nel corso di cinque millenni e per quali motivi.

Dal punto di vista conservativo, però, la mummia “umida” è uno svantaggio…

Rispetto a quelle che si conservano a temperatura ambiente, come le mummie egiziane, Ötzi dà sicuramente qualche problema in più. Per evitare l'essiccamento e, soprattutto, l’aggressione ai tessuti da parte di funghi e parassiti è necessario ricreare artificialmente le condizioni originarie di conservazione nel ghiacciaio (‑ 6° Celsius e umidità pari al 96‑98%). Per l'esposizione a Bolzano abbiamo sviluppato un apposito sistema di raffreddamento, una sorta di "box" composto da due celle frigorifere indipendenti: un laboratorio e una stanza di decontaminazione. otzi cella sterile Tutti gli ambienti sono sterili grazie a speciali filtri per l’aria che garantiscono le condizioni di asetticità. Una serie di sensori trasmette periodicamente alla stazione di controllo i valori registrati all’interno delle celle (pressione, temperatura, umidità relativa, peso corporeo della mummia). Contro le perdite di umidità della pelle viene spruzzata acqua sterilizzata sul corpo mummificato, favorendo così la formazione di un sottile strato di ghiaccio superficiale. Anche l’Istituto nazionale di ricerca metrologica (Inrim) di Torino ha partecipato allo sviluppo del sistema tecnologico che consente la conservazione di Ötzi.

Che aspetto aveva l’”uomo dei ghiacci”?

Ötzi è un uomo proprio come noi, è cioè un homo sapiens sapiens. Se fosse vivo e vestito con abiti moderni, nessuno lo noterebbe. otzi vestito1 Era alto 1,60 m, portava il 38 di scarpe e pesava circa 50 kg, tutti dati che rispecchiano la media della popolazione umana dell'Età del Rame. Sappiamo anche che aveva gli occhi azzurri e i capelli bruni e lunghi che portava sciolti sulle spalle. Un "segno particolare" erano gli incisivi superiori molto distanziati tra loro. Un campione del suo femore ci ha rivelato, inoltre, che doveva essere uno dei membri più anziani del suo villaggio. La struttura delle nostre ossa, infatti, cambia secondo l'età, mostrando segni di usura differenti: le ossa di Ötzi dicono che aveva 46 anni, un'età davvero "veneranda" per tempi in cui l’aspettativa di vita media era 30-35 anni. Grazie alla tomografia computerizzata, infine, abbiamo potuto fare una ricostruzione tridimensionale del suo cranio e del suo volto assai prossima all’originale.

Di cosa si cibava abitualmente?

Dall’analisi del contenuto intestinale sappiamo cosa aveva mangiato 12 ore prima di morire: una purea o pane di farro, carne di stambecco e cervo e verdure imprecisate. otzi allo studio Nel suo intestino sono stati ritrovati anche dei piccolissimi frammenti di carbone, segno che aveva cotto il cibo direttamente sul fuoco. Più in generale si sa che i cereali erano un alimento base nella dieta dell’epoca, che veniva completata con vegetali come il prugnolo, le mele selvatiche, i funghi, le bacche e i legumi. Diversi oggetti ritrovati presso la mummia, come tendini, pelli, corna e ossa testimoniano anche di attività di caccia e d'allevamento di bestiame.

Ötzi era in salute?

Non proprio: le articolazioni mostrano segni di usura, i suoi vasi sanguigni erano calcificati e i denti consumati. L’alta quantità di arsenico nei capelli attesta la frequente partecipazione alla lavorazione di minerali di rame. L'intestino poi era infestato da tricocefali: nei casi più gravi questi parassiti possono provocare attacchi di dissenteria e forti dolori. Un'unghia delle dita, rinvenuta negli scavi successivi, ha rivelato anche che soffriva di una patologia cronica, inoltre i profondi solchi trasversali dell’unghia indicano che il suo sistema immunitario era stato esposto a forti stati di stress circa 8, 13 e 16 settimane prima di morire. Si è anche potuto dimostrare che aveva subito una frattura multipla delle costole, peraltro perfettamente sanata, e una rottura del setto nasale.

Ötzi ha una sessantina di tatuaggi su tutto il corpo: che funzione avevano?

otzi tattoo Si tratta di tatuaggi realizzati con carbone di legna cosparso su sottili incisioni della pelle (e dunque non inoculato con aghi, come oggi). Questi segni si trovano in corrispondenza delle articolazioni più usurate, che probabilmente causavano ad Ötzi forti dolori: nella zona lombare, al ginocchio destro, ai polpacci e alle articolazioni del piede. I tatuaggi servivano a recidere piccoli fasci di fibre nervose, e questo comportava un'attenuazione del dolore: erano quindi una terapia antidolorifica e non un semplice ornamento. Evidentemente nell’Età del Rame la conoscenza del corpo umano era tutt’altro che “primitiva”. A gennaio 2008 inaugureremo a Bolzano una nuova mostra dedicata proprio ai tatuaggi di Ötzi,

Da dove veniva l’”uomo del ghiaccio”?

L’analisi dei denti indica che era originario dell'Alto Adige. Nello smalto dentario di ciascun individuo, infatti, si accumulano fin dalla prima infanzia isotopi di stronzio, piombo e ossigeno. Raffrontando la loro concentrazione con quella di campioni di suolo e acqua, si può risalire con una certa precisione al luogo in cui una persona è vissuta. Pare assodato ormai che Ötzi trascorse la prima infanzia in Val d'Isarco e solo più tardi si spostò in Val Venosta. val venosta La selce che aveva con sé, d’altronde, proviene dall'area del lago di Garda, mentre la forma della sua ascia rimanda alla civiltà Remedello, localizzata nella pianura padana. È probabile che Ötzi fosse un componente della civiltà alpina detta «Tamins-Carasso-Isera 5», insediata in Val Venosta.

Che cosa ci faceva Ötzi a 3.000 metri di quota?

pecore Già a quell’epoca gli uomini si spostavano molto e avevano contatti commerciali anche in posti lontani. Per questo erano abituati a muoversi in alta montagna, dove andavano anche alla ricerca di giacimenti di minerali e a far pascolare i loro greggi di capre e pecore nei periodi estivi. Ancora oggi i contadini della Val Senales portano il bestiame oltre il confine, sugli alpeggi in quota delle Alpi Ötztaler, lungo la stessa via percorsa da Ötzi nel suo ultimo viaggio. Può darsi che il nostro “uomo dei ghiacci” stesse cercando di raggiungere un luogo che conosceva bene o fosse un pastore nomade.

Come è morto?

Ötzi morì per le conseguenze di una ferita causata da una freccia, ma l’arma del delitto non fu trovata fino al 2001, quando divenne visibile grazie ai nuovi esami radiografici. Secondo la ricostruzione del professor Egarter Vigl la freccia, scoccata alle sue spalle da una trentina di metri di distanza, gli trapassò la scapola sinistra, producendo un foro di 2 cm, senza trafiggere il polmone. La ferita causò comunque un'emorragia piuttosto massiccia e probabilmente anche la paralisi del braccio sinistro. Doveva essere inoltre assai dolorosa, ma l'agonia di Ötzi si protrasse solo per pochi minuti.

Perché fu ucciso?

Il movente, come spesso accade, è un mistero. Quel che si può dire è che Ötzi stava fuggendo. Lo si deduce dall'attrezzatura che aveva con sé, ancora incompleta: prima di partire aveva cercato di costruirsi in fretta e furia un arco e qualche freccia. La profonda ferita da taglio alla mano destra lascia supporre, inoltre, che abbia avuto una colluttazione poco prima di morire. Ma il motivo che spinse il suo assalitore a colpirlo alle spalle resta avvolto nel buio. Era in corso una guerra tra tribù? Un conflitto personale? O forse stava accudendo un gregge che qualcuno voleva rubargli? Certo è che nulla fu sottratto all’attrezzatura che aveva con sé, nemmeno la preziosissima ascia di rame.

Può dirci qualcosa in più su quest’ascia?

È l'oggetto più pregiato che Ötzi portava appresso ed è anche l'unica al mondo risalente al Neolitico giunta integra fino a noi. ascia in rame Per il tipo di lama si ritenne inizialmente che l'ascia fungesse da emblema di rango sociale, che fosse cioè un oggetto rappresentativo riservato solo alle classi guerriere o dominanti. Ma le tracce d'uso evidenti e gli esperimenti effettuati attraverso una ricostruzione precisa dell'oggetto hanno dimostrato che una simile ascia poteva servire addirittura ad abbattere gli alberi.

E il resto dell’attrezzatura cosa rivela?

Ötzi era perfettamente equipaggiato per l'alta montagna. Per proteggersi dal vento e dal freddo indossava un mantello di pelo di capra con motivi a righe e un copricapo di pelle d'orso. Portava calzoni di pelle di capra che gli consentivano piena libertà di movimento e calzature sofisticate: otzi scarpe l'interno era una rete fatta di corda intrecciata e imbottita di fieno per riparare dal freddo, mentre l'esterno era in robusta pelle di cervo. Cinghie di cuoio incrociate fungevano da "battistrada" per la suola. Tutti i vestiti, caratterizzati da grande funzionalità, erano tagliati con estrema precisione e confezionati con grande cura. Segno, per quell’epoca e cultura, di una rigorosa specializzazione del lavoro. Quanto agli strumenti, Ötzi disponeva di un'attrezzatura idonea a sopravvivere lontano dalla civiltà anche per lungo tempo. Aveva con sé tutto il necessario per accendere un fuoco e per costruirsi armi. Nel marsupio trasportava dell'esca da fuoco, lame e punte di selce, nonché gli utensili per lavorarle. Il pugnale era sempre a portata di mano nel fodero di rafia; nella faretra sono stati rinvenuti tendini animali, una manciata di punte di corna di cervo e 14 frecce, di cui solo 2 già pronte all'uso, mentre le altre erano ancora da finire, così come l'arco. Per ogni oggetto veniva usata la varietà più idonea di legno: tasso privo di resina e compatto per l'arco e il manico dell'ascia, viburno diritto per le aste delle frecce, frassino duro per l'impugnatura del pugnale, nocciolo molto elastico per l'intelaiatura curva della gerla. È chiaro che gli uomini del Neolitico disponevano di conoscenze approfondite sulla natura che sono andate per lo più perse con la civiltà moderna.

A Bolzano Ötzi attira in media 230 mila visitatori all’anno. Cosa suscita tanto fascino?

Ötzi è l’occasione affascinante e commovente di incontrare “di persona”, faccia faccia, un testimone del nostro passato. Per uno strano destino quest’uomo si è sottratto all’anonimato della storia per rivivere nelle nostre menti.

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