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Nanotecnologie: un alleato buono o cattivo?

Con il Progetto NANOMMUNE la Comunità Europea indaga sugli eventuali effetti nocivi legati alla ingegnerizzazione delle tecnologie su scala nanometrica

 

Le nanotecnologie sono sempre più al centro dello sviluppo innovativo in numerosi campi della scienza, dalla medicina alle bio-tecnologie, dalla chimica alle scienze dei materiali, dalla cosmesi all’alimentazione. 

Se negli ultimi anni l’interesse degli scienziati si è concentrato soprattutto sull’altissimo potenziale offerto dall’applicazione di queste tecnologie a scala nanometrica, oggi inizia ad aprirsi il dibattito sul problema della sicurezza, ci si interroga, infatti,  rispetto ai potenziali effetti pericolosi che esse potrebbero nascondere per la salute umana.

Progetto NANOMMUNECosì la Comunità Europea ha dato vita a “Nanommune” (Comprehensive assessment of hazardous effects of engineered nanomaterials on the immune system), un progetto che sta valutando il potenziale dei nanomateriali ingegnerizzati (NI), vale a dire dei prodotti che si avvalgono delle nanotecnologie nel loro ciclo produttivo, di influire negativamente sul sistema immunitario umano. Il progetto, della durata di 3 anni, è coordinato dal Karolinska Institutet di Stoccolma e riunisce 10 istituti partner nell'UE e negli Stati Uniti per studiare approvvigionamento, sintesi e caratterizzazione fisicochimica dettagliata di diverse categorie di nanomateriali.

MacrofagoIl nostro sistema immunitario è progettato per rispondere alle minacce sotto forma di patogeni o agenti esterni. Partendo da questa premessa, Nanommune sta lavorando per dimostrare che il riconoscimento o il non riconoscimento dei NI da parte delle cellule responsabili delle difese immunitarie è un fattore determinante per la loro distribuzione e per gli effetti nocivi.   In particolare si lavora su come i macrofagi, sensori che rilevano una minaccia e avviano una risposta immunitaria rilevante, possono essere consapevoli dei nanomateriali o possono riconoscerli.

Viene usato un approccio multidisciplinare per monitorare questi potenziali pericoli e per determinare i profili nanotossici dei NI. L'obiettivo finale è creare una base di sistemi di lettura per prevedere il potenziale tossico dei NI.

Gli studi sono al momento concentrati sui nanotubi, strutture costituite da fogli di nanoatomi di carbonio Nanotubo in carbonioarrotolati.  Si tratta di capire se questi possano provocare dei disturbi, ad esempio a livello polmonare se inalati,  o se possano essere origine di tumori se impiegati nel campo medico e farmacologico.

Un passo avanti positivo si è avuto per ora con la scoperta, fatta dal team del professor Bengt Fadeel, coordinatore di Nanommune, che le nanostrutture possono essere biodegradate in acqua e anidride carbonica dall’enzima mieloperossidasi,  lo stesso che alcuni tipi di globuli bianchi usano per neutralizzare i batteri nocivi.

Non si tratta di ingenerare allarmismi, ma di procedere con un approccio nuovo da parte degli scienziati nei confronti dello studio di nuove tecnologie: lo sviluppo dell’ingegnerizzazione delle nanotecnologie va di pari passo con un approfondimento sugli eventuali effetti secondari che possono derivarne.

Questa volta la scienza sembra aver imparato da errori commessi nel passato, quando nuovi materiali, vedi l’esperienza con l’amianto, venivano impiegati in modo massiccio senza i dovuti preventivi controlli di tossicità sull’uomo. E i risultati non potranno che essere  a vantaggio della sanità pubblica, dei ricercatori e dell'industria.

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