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Alla conquista del nanomondo

Alla conquista del nanomondo

Le tecnologie a scala nanometrica ci promettono farmaci mirati, computer ancora più veloci e potenti, materiali dalle proprietà sorprendenti. Quanto la fantascienza è vicina alla realtà?

La parola è nata più di trent’anni fa, ma il suo significato cominciamo a comprenderlo solo ora. Il termine “nanotecnologia” fu infatti coniato nel 1974 dal fisico giapponese Norio Taniguchi per indicare la scienza che lavora a scale sub-micrometriche, inferiori al millesimo di millimetro.

Oggi queste scale stanno diventando realmente accessibili e le nanotecnologie sono un ambito di ricerca che è di gran moda, nel senso che molti investimenti vengono fatti in questo campo perché finalmente le tecnologie ci permettono di accedervi, ma anche nel senso che si fanno rientrare sotto questo “ombrello” ricerche che esistevano già prima. In realtà il termine tocca settori molto vari che vanno dalla medicina all’informatica e alle telecomunicazioni, dall’abbigliamento alle missioni spaziali. E comprende oggetti grandi da qualche centinaio di nanometri a qualche nanometro (un nanometro è pari a un milionesimo di millimetro)

Alla scala dei nanometri si possono manipolare le singole molecole, se non i singoli atomi. Si immagina di poter costruire robot di dimensioni nanometriche in grado di svolgere specifici compiti, come oggi lo fanno gli automi industriali ma operando su scale decisamente più piccole.

Se guardiamo alle applicazioni che ne potranno derivare nei prossimi cinque anni, si tratterà sostanzialmente di fare cose che già si stanno facendo, ma in dimensione un po’ più piccola, passando cioè sotto la soglia del micrometro.

Ma se estendiamo l’arco temporale ai prossimi trent’anni, avremo senz’altro a che fare con tecnologie realmente nuove. Il nanomondo si pone al confine tra due modi opposti di realizzare un oggetto: da una parte per costruire qualcosa di molto piccolo si tolgono dei pezzi da un “blocco” più grande, utilizzando grossi strumenti che aumentano la loro precisione per manipolare elementi più minuti (un approccio chiamato “top down”), dall’altro si arriva a costruire qualcosa partendo dai suoi mattoni, gli atomi, sfruttando le loro proprietà per fare in modo che si assemblino (approccio “bottom up”). La difficoltà, operando alla dimensione degli atomi, è che non valgono più le leggi della fisica classica, ma sono tangibili gli effetti quantistici, che costringono a operare in modo diverso da quello che si fa con oggetti più grandi.

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