Articoli

Beniamino Franklin: fulmini, alta politica ed il ravizzone

La storia di Beniamino Franklin e dei suoi rapporti con l'Italia

Il nome di Beniamino Franklin evoca nei più il parafulmine, che i nostri vecchi chiamavano appunto asta frankliniana. Ma Franklin (1706-1790) è stato tante altre cose: letterato, statista, finissimo diplomatico, ascoltato sociologo, tipografo, editore, fondatore di ospedali e, perché no?, musico, bon viveur e ghiottone.

Ancora meno note ed inaspettate le curiose e, almeno in un caso protratte nel tempo, intense relazioni con l’Italia ed in particolare con Torino, Napoli e la Calabria. Infatti una sua corrispondenza culturale, quella con il Padre torinese Beccaria, fu particolarmente intensa e, come vedremo, proficua per entrambi e si protrasse per trenta anni.

Franklin, politico, statista e cittadino

Poderoso autodidatta ed uomo avveduto ed intraprendente, a quaranta anni fu in condizione di andare il pensione, ma il suo fu un “ritiro” estremamente attivo. Mandato a Londra e poi a Parigi come ambasciatore prima delle provincie della Pennsylvania e poi della neonata Repubblica americana, riuscì a farsi conoscere e soprattutto rispettare dalla diplomazia europea, arrivando a concludere un trattato di pace con l’Inghilterra ed a far riconoscere il nuovo Stato dalle principali potenze europee. Di un certo interesse il fatto che i primi Stati europei a riconoscere gli Stati Uniti ed a dar loro "libera pratica", cioé accesso ai porti, furono il Regno delle due Sicilie, il Granducato di Toscana e la Svezia.

L’aver tenuto testa alla corte di San Giacomo ed al Parlamento di Londra nelle fasi che precedettero la guerra tra l’Inghilterra e le ribelli colonie di oltreoceano, l’aver trovato in Francia soldi ed aiuti militari per quella guerra, l’aver poi imbastito, da Parigi, la pace, sono fatti che giustificano la fame di alto diplomatico della quale venne circondato dai contemporanei. Anche abile statista, perché anche a lui è dovuta la costituzione degli Stati Uniti, per raggiungere la quale ebbe soprattutto a combattere con i sospetti e le lentezze dei rappresentanti delle altre “colonie”.

Franklin sulla moneta da 100 dollari Beniamino Franklin lo troviamo al recto della banconota da cento dollari, che reca al verso la Independence Hall, l’edificio di Filadelfia ove venne scritta e firmata la Costituzione degli Stati Uniti.

Interessante in lui è la dedizione e la lungimiranza messa in qualsiasi delle molteplici attività nelle quali si cimentò, da responsabile del servizio postale per le colonie americane, a promotore dei servizi di nettezza urbana nella sua Filadelfia o nella costituzione, in quella città, di un ospedale che é tuttora attivo, per il ricovero dei non abbienti e degli stranieri di passaggio. Franklin fonda anche, a venti anni, un giornale, il Saturday Evening Post, che si trova ancora nelle edicole americane.

Prima di darsi alla carriera diplomatica, si era accostato, quasi per caso, alla nuova scienza elettrica, portandovi contributi ancora vitali, ad esempio nella terminologia. Esempio sono le parole positivo e negativo usate da tutti, quando acquistiamo delle pile e le inseriamo in un qualsiasi oggetto elettrico.

Franklin il parafulmine e Beccaria

Franklin e il parafulmine Munito di perspicacia ma ad un tempo sprovvisto di concezioni e pregiudizi accademici, riuscì nell’elettricismo a battere nuove strade e proporre un'originale teoria elettrica, che però non sarebbe mai riuscita ad imporsi nel contesto accademico perché, pur essendosi messo Franklin a studiare il latino, il suo linguaggio e soprattutto il suo modo di esprimersi non era quello dei dotti.

In sua difesa scese Giovanbatista Beccaria, insigne scolopio monregalese, che a buon diritto può essere considerato come il padre della Fisica a Torino ed il padre dell’Elettricismo in Italia. Il Beccaria pubblicò a Torino due trattati sulla nuova scienza elettrica adottando le teorie di Franklin. Questi libri valsero al Beccaria rinomanza mondiale, e dall’altra giustificarono con la logica delle dimostrazioni ed esperimenti accurati le teorie dell’uomo di Filadelfia e le fecero infine accettare.

Le idee e le proposte di Franklin sono infatti il filo conduttore attorno il quale Beccaria costruisce il suo serrato argomentare. Leggiamo due frasi prese da "Dell'Elettricismo Artificiale e Naturale” (Torino 1753) il testo che a detta di contemporanei e di fisici posteriori, fece diventare scienza l'Elettricismo.

"Troverete, cortesi Lettori, che in quest'Opera io fo molte volte menzione del celebratissimo Scrittore d'Elettricità Beniamino Franklin, …" e "Avuta notizia sulla fine di Giugno della ormai notissima esperienza inventata dal valoroso Inglese Beniamino Franklin abitante in Filadelfia Città della Pensilvania in America, …, m'applicai immantinente ad effettuarla anch'io qui in Torino".

Il secondo libro del Beccaria, l’“Elettricismo artificiale", di 439 pagine, uscito nel 1772, fu fatto tradurre in inglese a spese del Franklin a Londra nel 1776, con il titolo “A treatise upon artificial electricity”. Quando Giovanbatista morì nel 1781, fu trovata sul suo comodino la edizione londinese del suo libro.

Questa intensa relazione, rimase sempre epistolare e durò oltre trenta anni; i due all’inizio si scrivevano in latino ed in forma sussiegosa e pomposa, come volevano le convenzioni dell’epoca, (Quod die 11. Septembris 1766 scribebam tibi, FRANKLINI clarissime; extimare me, errare eos, qui putarent, theoriam infirmare tuam), ma poi decisero che ognuno avrebbe scritto nella propria lingua ed arrivarono ad un grado di confidenza tale da raccontarsi anche i piccoli ed i grossi problemi di salute. Beccaria soffriva di emorroidi e appena l’americano sentì che il Torinese aveva ripreso ad andare a cavallo, gli spedisce una lettera di congratulazioni e poco prima gli aveva scritto : "It grieves me to hear the long Continuance of your Illness. Science suffers with you..".

Ma queste sono piccole cose, dinanzi al fatto che da questa corrispondenza che durò trenta anni è nata la scienza elettrica a Torino. Incidentalmente, il governo piemontese, attento ai brontolii della Inghilterra che vedeva male qualsiasi contatto o collegamento con i ribelli dell'altra parte dell'Atlantico, rifiutò il visto al Beccaria, che avrebbe desiderato recarsi a Parigi per trovare Beniamino.

Comunque è in Italia, a Bologna ed a Torino, che troviamo sin dall’agosto del 1752 i parafulmini di Franklin, la cui teoria individuata nel 1749, fu descritta in una lettera, la cui pubblicazione negata dalla Royal Society nel 1750, avvenne privatamente nel 1751. E’ interessante notare che i primi reali esperimenti vennero effettuati a Parigi nel maggio dell’anno seguente e che il primo parafulmine eretto per proteggere una casa fu quello del Beccaria, il 2 agosto del 1752, mentre la prima esperienza americana è della fine dello stesso anno. Nei decenni successivi il Beccaria venne chiamato ad installarli un po’ dappertutto, da San Marco a Venezia, alle polveriere di Toscana ed Austria, al palazzo del Quirinale a Roma; nel resto di Europa la prima “macchina elettrica” si diffuse più lentamente. Il primo articolo nei Proceedings della Royal Society è del 1772, il primo sui Comptes Rendus della Accademia delle Scienze di Parigi, è dell’anno dopo.

A distanza di oltre due secoli non é immediato ricostruire l’impatto che questa invenzione ebbe nella cultura europea. Turgot, parlando di Franklin, disse “Eripuit de coelo fulmen, sceptrumque Tyrannis”, imitato dal Monti che nella sua Ode al Signor de Mongolfier, del 1784, scrive :

"Rapisti al ciel le folgori, che debellate innante, con tronche ali ti caddero e ti lambir le piante” (strofa 116).

Beniamino inventa stufe e strumenti musicali

Altri legami con l’Italia e in particolare con il Piemonte possono essere ricordati, e vanno dalla gastronomia alla letteratura e sociologia, passando per la musica e soprattutto per una forma di artigianato, derivata direttamente dalle proteiformi attività del nostro e che è ancora viva nel lessico e nell'industria del Piemonte, due secoli e mezzo dopo.

Beniamino era anche un melomane, suonava alcuni strumenti musicali, compose anche qualche brano. Ma è passato alla storia della Musicologia per aver inventato nel 1762, quando era ambasciatore a Londra, l’armonica, in inglese la “glass-armonica”.

Questo strumento, ancora vivo in ristrettissimi circoli musicali, è la versione dotta e meccanizzata di un gioco che tutti noi abbiamo praticato, riempiendo all’osteria una serie di bicchieri con varie altezze di acqua o vino, e poi, dopo aver umettato ben bene i polpastrelli, fare risuonare i bicchieri soffregandone il bordo.

Franklin costruì un oggetto, nel quale una serie di coppe di vetro di dimensioni progressivamente calanti, da sinistra verso destra, ed infilate su di un asse orizzontale, venivano poste in rotazione tramite un pedale, come avviene per la mola dell’arrotino od il filarello per la lana. Lo strumento ebbe un certo successo e voga, ma a noi interessa perché fu dedicato al Beccaria. Nel 1762 dedica pubblicamente lo strumento a Giovanbatista e dice " in onore della vostra lingua armoniosa, ho preso dall'italiano il nome dello strumento, chiamandolo l'Armonica". Il fatto ebbe una certa risonanza nella sonnacchiosa Torino e valse al Beccaria un aumento di stipendio.

Stufa Franklin L'altro legame, tuttora vivo, a duecentocinquanta anni dal fatto iniziale, si perpetua a Castellamonte, nel Canavese, ove degli artigiani ceramisti, costruiscono ancora la "Franklin", una stufa con circolazione dei fumi, che fu ideata appunto da Beniamino nel 1742. I curiosissimi fratelli Verri ne fecero arrivare un esemplare a Milano dall’Inghilterra, dove era stata copiata; il Granduca Pietro Leopoldo di Toscana ne ordinò un paio e così la "stufa di Pennsilvania" come era chiamata si diffuse in tutta l'Italia del Nord, tanto è vero che viene ancora fabbricata a Castellamonte, in provincia di Torino.

La stufa divenne presto popolare. Ugo Foscolo, mentre, tremando di freddo, compone nel dicembre del 1808, la celebre prolusione al corso universitario di Eloquenza a Pavia “Dell’origine e dell’Uffizio della Letteratura”, prorompe : “Sospiro una franklin”. In Lomellina e in mezzo Piemonte, questa stufa fu usata ed era popolare sino agli anni ’50.

Chi scrive si ricorda di aver visto nei mercatini di robivecchi torinesi a metà degli anni '50 delle franklin, con i caratteristici tre tubi metallici inclinati: altre ne avevo viste da rivenduglioli a Pinerolo, ma allora non sapevo che mi stavo trovando dinanzi ad un pezzo di archeologia industriale. Se lo avessi saputo, non avrei avuto i soldi e poi non avrei saputo dove metterla.

Sembra, infine, proprio vero che il solito Franklin abbia inventato gli occhiali bifocali. Il suo paio é preservato alla American Phylosophical Society, ovviamente fondata da lui, a Filadelfia.

Le fortune italiane del buon Riccardo

Non è facile tradurre in italiano il titolo di un opuscolo periodico, una specie di almanacco, avviato dal Franklin nel 1732 e del quale curò ininterrottamente la pubblicazione per 25 anni.

Il titolo originale é Poor Richard’ Almanach, ma Riccardo non è ne’ povero di mezzi ne’ povero di spirito. La pubblicazione è un centone di notiziole, curiosità, aneddoti, proverbi popolari, e soprattutto di novellette di carattere edificatorio, lunghe non più di una pagina. Questa raccolta ebbe un gran successo negli Stati Uniti e un po’ ovunque, ma in particolare in Italia. La classe colta italiana, quella che stava facendo il paese morale, anche se quello politico di avverò solo tra il 1850 ed il 1870, sentiva acutamente la mancanza di testi facili da “dare” alle persone quasi illetterate, per le quali anche le vicende di Fermo e Lucia sarebbero state di non agevole accesso e non si prestavano soprattutto ad una lettura facile nella quale una vicenda, morale compresa, si esaurisse in una paginetta. Tra gli interessati a questo risvolto dell’americano, troviamo Balbo, Bonghi, Cattaneo, Cantù, Gioberti e tra i letterati Alfieri, Leopardi Guerrazzi, Monti e Parini; Goldoni e Metastasio nei loro soggiorni parigini, andavano a cena da Lui.

Per questi motivi, a molte decine, per tutto l’800, si contano le edizioni popolari in lingua italiana di fascicoletti legati al buon Riccardo, mentre decine sono le edizioni della Autobiografia del Beniamino, che si continua a ristampare da oltre due secoli. Esaminando la editoria in lingua italiana tra il 1780 ed il 1980, e sono due secoli, di libri di Franklin o su Franklin se ne sono almeno 320, di questi una trentina riguardano il Franklin elettricista ed i restanti, quasi trecento, Franklin moralista, contando tra questi le numerose edizioni della sua autobiografia.

C’è in proposito una storia divertente: nell’epoca della Repubblica cisalpina e del Regno d’Italia (quello napoleonico), Franklin era all’indice, per tanti motivi.

Ma anche in quegli anni troviamo qualche cosa dell’Uomo o sull’Uomo: sono libri stampati presso la Stamperia del Seminario di Padova, che godeva dei privilegi della extraterritorialità !

Franklin massone, urbanista e di nuovo statista anche colto

Almeno tre vicende interessanti legano Franklin al Meridione, ognuna delle quali meriterebbe un lungo e soprattutto documentato discorso.

Beniamino era, tra le tante altre cose, massone, con cariche importanti presso la Loggia delle nove Sorelle. In questo ambito, intratteneva relazioni con Domenico Cirillo, medico, botanico ed una delle più illustri vittime della repressione del 1799.

Relazioni, sempre epistolari queste, ma intense ed importanti, lo statista americano ebbe con Gaetano Filangeri. Franklin segue la progressiva comparsa dei libri de La Scienza della Legislazione e ne ordina, tramite il proprio banchiere di Parigi, numerose copie e vagheggia una traduzione in inglese di questo trattato che certamente fu il maggiore contributo italiano a quella che allora si chiamava “statistica”, la scienza dello Stato. Appena stampata una copia della Costituzione della nuova Repubblica stellata, Franklin ne manda una copia al Filangeri. Sono stati effettuati studi per rintracciare influenze del pensiero del Filangeri nella costituzione degli Stati Uniti.

Una cittadina calabrese porta il nome di Filadelfia; anche in questo caso esiste una influenza del massone Franklin tramite il massone Giovanni Andrea Serrao, vescovo di Potenza, anche lui, “bruciato” nella reazione del 1799. Serrao era di Castelmonardo, un paese che fu completamente distrutto nel terremoto del 1783 e che venne riedificato, per iniziativa del Serrao, in altra località per essere chiamato Filadelfia. Filadelfia di Calabria, in provincia di Vibo Valentia, riprende infatti l'impostazione e l’orientamento della pianta che William Penn aveva dato alla Filadelfia americana alla fine del ‘600 e che è in fondo quella di centinaia di cittadine americane.

E il ravizzone?

Campo di ravizzone La curiosità di Franklin andava in tutte le direzioni, compresa anche quella della buona tavola e dei vini: abbiamo le distinte della sua cantina di Passy, nei dintorni di Parigi, dove, memore del primo mestiere, aveva impiantato una tipografia.

Ma il suo non era solo l’interesse di un ghiottone, voleva conoscere tutto ed in particolare vedere se non si potesse trovare qualche verdura o pianta europea da acclimatare in America.

Aveva conosciuto a Parigi la cucina italiana; a casa dell’Ambasciatore del Re di Napoli, i “vermecelli” e maccheroni, a casa dell’Ambasciatore di San Marco, la polenta, ma soprattutto era interessato al “parmesan cheese”. E così, dagli Stati Uniti, lamenta che a Filadelfia non ci sia un “macaroni maker”, chiede come si faccia il parmigiano e lamenta, in un libretto, che gli americani siano stupidi perché usano il granoturco solo per la alimentazione degli animali, mentre ....la polenta.

Sente parlare da suoi amici italiani (del Nord) del ravizzone, dell’ottimo olio che se ne ricava, ma commette l’imprudenza di chiedere al suo amico Filippo Mazzei di mandargli le sementi. Ma Mazzei è fiorentino, non conosce ne’ il ravizzone, ne’ sa che è simile alla colza e gli dice che il ravizzone non esiste. Scambio concitato di lettere ed alla fine Beniamino si rassegna di non poter introdurre questa nuova pianta nelle pianure del Nord-america.

Beniamino Franklin due secoli dopo

Gli americani, quelli colti e conoscitori di cose italiane, amano tracciare tre paralleli, tra Garibaldi e Washington, tra Filadelfia e Torino e tra Franklin e Cavour.

C’e un nocciolo di verità: Washington fu la spada della Rivoluzione americana, il nostro Tessitore realizzò l’unione del Paese e assicurò le necessarie coperture internazionali e Torino e Filadelfia, ambedue non la città più colta e più “letterata” del Paese, furono la culla delle rispettive nazioni. Gli americani adorano Franklin e vedono in lui il prototipo del cittadino americano. Non a torto.

Beniamino, nelle vicende culturali, scientifiche e politiche della seconda metà del Settecento ebbe indubbiamente un ruolo tutto suo e in buona parte sconosciuto, almeno qui in Italia. A distanza di due secoli resta un esempio di insaziabile curiosità e di una immane capacità nel realizzare le cose e nel risolvere le difficoltà che incontrava. Affrontava i problemi di qualsiasi dimensione, dal fare accettare ai puritani spese belliche, a trattare prestiti con il Re di Francia od a decidere l’algoritmo con il quale i “frontalieri” di una strada dovevano suddividere le spese necessarie per far scopare la strada stessa, con duttilità ed intelligenza e con una elasticità mentale che univa spregiudicatezza nei metodi unita ad una ferma convinzione della “bontà” dei risultati finali.

Per queste cose, a distanza di due secoli, pur operando egli in un contesto politico e sociale diversissimo dal nostro, Beniamino resta un esempio di corretto vivere civile.

Suggerimenti