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Atoms in the Family

La prima biografia ufficiale di Fermi scritta dalla moglie Laura. Prima di questa c'era stata solo la breve biografia che si scrive per i vincitori del premio Nobel (assegnato a Fermi nel 1938 per le sue scoperte del 1934 sulla radioattività artificiale indotta dai neutroni).

"Un giovane dalle gambe corte, con vestito e cappello neri, spalle tonde e collo proteso in avanti". Senza dubbio non è un bel modo di introdurre il più grande fisico italiano e uno dei più incisivi sulla fisica di tutti i tempi a livello mondiale. Ma a questa autrice possiamo concederlo: era un pomeriggio degli anni venti, Laura Capon partecipava a una scampagnata fuori Roma con degli amici tra i quali c'era quel giovane, che "decideva" che si sarebbe giocato a pallone. Alla fine il goffo ragazzotto (già professore universitario a Firenze) avrà problemi a una scarpa e lei, mai giocato prima, salverà la partita con una "parata" di petto.

Già nelle primissime pagine la Capon introduce un elemento che ritornerà spesso nel libro e nella sua vita: "Quella fu l'unica volta che feci meglio di lui". Si legge tra le righe quasi un senso di inferiorità, ma consapevole e non sofferto. Per comprenderlo si deve considerare che quel giovane, il futuro marito di Laura, era un genio come pochi ne ha visto la scienza: Enrico Fermi.

C'è spesso, nelle parole di Laura, una sorta di giustificazione per sé e per Enrico, come se volesse rassicurare il lettore che sì, a volte si sentiva un po' indietro, ma era normale con uno così; che lui sì, lo faceva notare, ma ci giocava un po' su con ingenuità e contemporaneamente senza falsa modestia. Nelle parole di Laura, Fermi rischia a volte di apparire effettivamente antipatico e pieno di sé. Magaari per certe cose lo era, ma non per quello che sapeva fare meglio: la fisica.

Enrico darà prova di questa sua caratteristica al loro secondo incontro: due anni dopo la famosa partita di pallone i Capon erano in vacanza in montagna con i Castelnuovo, i familiari di Guido, il celebre matematico. C'era anche Fermi (già noto nei "salotti" scientifici romani) che anche in quell'occasione sfoggiava la sua voglia di fare il leader e il protagonista. La stessa che avrebbe esercitato al meglio di lì a pochi anni con i "ragazzi di via Panisperna" e qualche anno più in là con i suoi allievi di Chicago.

Dai racconti di Laura, sembra che Enrico in un certo senso sfogasse la sua voglia di primeggiare sulle sue abilità fisiche, ponendosi sempre davanti agli altri in modo apparentemente arrogante. Mentre tendeva a non enfatizzare troppo le sue doti intellettive, quelle sì eccezionali e riconosciute dal mondo accademico di Pisa, Firenze, Roma e anche all'estero.

"Tre minuti di riposo!", dichiarava la guida montana Enrico Fermi. "Ora ci siamo riposati tutti. Andiamo!", diceva poi non appena gli ultimi arrivavano al posto della sosta. Laura sembra divertita nel raccontare l'esibizionismo infantile di quel ragazzo che cominciava a piacerle, e nel sottolineare come nessuno protestava e tutti si fidavano di lui. "Non sei mai in affanno? Non ti va mai il cuore in gola?", chiedeva una ragazza del gruppo. "No", rispondeva lui col tipico ghigno, "il mio cuore dev'essere stato fatto apposta; è molto più resistente di quello di chiunque altro". E più avanti, con tono accondiscendente verso gli altri incapaci di distinguere un uccello tra le foglie di un albero: "i miei occhi devono essere stati fatti su ordinazione; possono vedere più lontano di chiunque altro".

Inevitabilmente si arrivava alla sua vera superiorità rispetto alla media: "E che mi dici del tuo cervello? Anche quello è fatto su ordinazione?". Allora Fermi smetteva di giocare al primo della classe, o almeno non più con quel tono sfacciato che usava per pavoneggiarsi delle sue abilità fisiche. Incapace di essere falsamente modesto, Enrico si lanciava allora in una delle sue attività preferite: classificare. Divideva le persone in quattro classi di intelligenza, ponendosi (senza dirlo troppo forte) nella quarta, quella dei migliori: "Non potrei mettermi nella terza, non sarebbe onesto". Rassicurava poi "Miss Capon", un po' per provocarla e un po' per farsi perdonare eventuali gaffes, che la classe quarta non era così esclusiva e comprendeva anche lei. Apparentemente non c'è alcuna forma di rancore nelle parole di Laura quando ammette quasi svelando un segreto al lettore che in seguito Enrico doveva sicuramente averla declassata in terza. In ogni caso lei non si faceva pregare e raccoglieva la provocazione: "Se anch'io sono nella quarta dev'esserci una quinta classe a cui solo tu appartieni". Anche se dette in un clima semiserio, queste piccole schermaglie riflettono la reale, sincera onestà intellettuale di Fermi.

Sono questi aneddoti che rendono gradevole la lettura di Atomi in famiglia.

Anche su questo libro, e non solo sui suoi ricordi personali, si baserà molti anni dopo Emilio Segré per le note biografiche in apertura di Fermi - Note e Memorie (la raccolta di tutte le opere di Fermi) e della biografia scientifica più celebre, Enrico Fermi, fisico. Ma i ricordi di Laura, quando non coinvolgono argomenti prettamente scientifici, sono a volte più attendibili di quelli dell'amico, ex studente e collega Segré. Sia per ovvie ragioni personali, sia perché buttati giù con Fermi ancora vivente, e pubblicati nello stesso 1954, anno della sua morte.

Gli aneddoti ci lasciano delle immagini insolite, che dipingono dei tipici momenti di vita di Fermi con Laura e i loro amici. Come quella volta con Franco Rasetti, l'amico dai tempi dell'università a Pisa. L'onnisciente Rasetti e l'infallibile Fermi a confronto; il "Cardinal Vicario" (ma anche il "Venerato Maestro") e il "Papa"; l'enciclopedia vivente di scienze naturali e l'enciclopedia vivente di matematica e fisica. Ma quella volta persero entrambi il dollaro scommesso su un dilemma di cultura generale americana e, come ironizza Laura, "finì il mito dell'onniscienza di Franco e dell'infallibilità di Enrico". Erano già in America e il dilemma di turno (ossessione dei due amici che da sempre si divertivano a coinvolgere le ragazze in giochi o indovinelli di cultura generale) era l'origine del nome della linea geografica "Mason-Dixon line". Derivava dai due fiumi Mason e Dixon come sosteneva l'onnisciente o dai senatori Mason e Dixon come sosteneva l'infallibile? Nessuno dei due: erano entrambi astronomi inglesi. Ma Fermi, con logica e ironia ineccepibili reclamava il suo dollaro: "E' più plausibile che degli astronomi inglesi diventino senatori, piuttosto che ... dei fiumi!". Semplici battute del genere, che non necessitano dell'arguzia di un genio del calibro di Fermi, ce lo rendono più umano, più vicino a noi. Come ripete spesso Laura nel libro, "Enrico non era un buon perdente".

Non mancano le numerose vicende della Società Antiprossimo fondata da Franco ed Enrico a Pisa, con la quale si divertivano semplicemente a tormentare gli altri. Le doti eccezionali di Enrico non erano conseguenza di una vita ritirata e dedita esclusivamente allo studio. Il talento di Fermi era puro e parte della sua mente fin dai tempi del liceo, dove aveva imparato quasi tutto quello che gli serviva con l'amico Enrico Persico. Aveva quindi tutto il tempo di dedicarsi alla vita goliardica. Così, tra teorie relativistiche e quantistiche che dominava meglio dei professori, tra esperimenti di fisica che programmava e realizzava da solo (già allora leader di un mini-team formato da Rasetti e Nello Carrara), trovava anche il tempo di rischiare l'espulsione dalla Normale di Pisa per una fialetta puzzolente! Non mancano ricordi simili anche nell'ambiente di via Panisperna, con un giovanissimo e "roseo" Edoardo Amaldi in abito di velluto da donna, una performance in una sorta di gioco dei mimi dopo la quale, dice la Capon, "non potei più prendere Amaldi sul serio".

Oltre agli aneddoti e le vicende dei primi anni di matrimonio, la fama "eterna" con la statistica quantica (1926), la teoria dei raggi beta (1933), le ricerche coi neutroni (1934), il Nobel (1938), la pila (1942), ci sono ovviamente anche i ricordi tragici legati al nazifascismo: le leggi razziali (che colpivano lei, ebrea), la guerra, l'emigrazione forzata negli Stati Uniti per l'impossibilità di sostenere la ricerca e la politica italiana. Grande spazio è dedicato poi ai segreti del Progetto Manhattan (le mogli non dovevano sapere cosa si costruiva a Los Alamos) e alle vicende legate alla pila prima e alla bomba poi, con le prime difficoltà di ambientamenteo in America.

Manca invece ogni accenno al cancro che colpì Fermi nel pieno della sua maturità di uomo e di fisico, ma che non lo allontanò dalle sue attività preferite: insegnare, calcolare. Sul letto di ospedale dove concluse i suoi giovani terminava alcune lezioni di fisica e passava il tempo a calcolare il flusso della flebo.

Il volume è stato ristampato nel 2001 dall'Associazione per l'insegnamento della Fisica (AIF), che ha acquistato i diritti dalla Chicago University Press. E' riservato ai soci AIF, ma può essere richiesto alla sede dell'Associazione (presso ITIS L. Da Vinci, Mantova) (Ringraziamo Antonio Gandolfi per la segnalazione)

In copertina


Laura Fermi
The University of Chicago Press
1954


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