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Previsioni del tempo e stime sui cambiamenti climatici: chi le produce, chi le usa, chi le distorce

Sull’innalzamento delle temperature medie si sta giocando una partita di livello planetario. Il parere di Luca Mercalli, presidente della Società meteorologica italiana

global warming 2 A inizio dicembre i mass media hanno dedicato ampio spazio allo scontro tra il governo italiano e l’Unione europea in merito ai cambiamenti climatici. Durante la riunione dei Ventisette a Bruxelles per definire come raggiungere gli impegni sottoscritti a marzo 2007 a favore dell’ambiente (abbattimento del 20% delle emissioni di CO2, incremento del 20% dell’efficienza energetica, aumento del 20% dell’energia da fonti rinnovabili entro il 2020) l'Italia ha minacciato di bloccare l’intesa, ritenendola troppo penalizzante per l’industria tricolore. «Trovo assurdo parlare di emissioni quando c'è una crisi in atto», ha affermato il presidente del Consiglio. «È come se chi ha la polmonite pensasse di farsi la messa in piega...». Dello stesso avviso Polonia e Paesi dell’ex blocco comunista che chiedevano, e alla fine hanno ottenuto, alcune concessioni, tra cui l’introduzione più lenta e graduale dell'obbligo per le grandi industrie di pagare i diritti di emettere anidride carbonica (oggi sono gratuiti). Il fatto è che mentre i governi del vecchio Continente si accapigliavano nel tentativo di proteggere i mercati interni, già a fine ottobre 55 multinazionali avevano sottoscritto l’appello delle Nazioni Unite perché nel 2009 vengano finalmente gettate le basi per il rinnovo e il rafforzamento del Protocollo di Kyoto.

A questo punto la domanda è d’obbligo: la Terra è in pericolo o no? Dobbiamo intervenire al più presto o possiamo attendere? Polmonite o messa in piega? In un simile guazzabuglio l’opinione pubblica è confusa e non sa chi dare ragione, tanto più in un contesto come quello italiano, tradizionalmente caratterizzato da semi-analfabetismo scientifico, e in riferimento allo studio di un sistema complesso come il clima.

Negli ultimi anni l’informazione sul clima e sul tempo meteorologico ha acquisito un rilievo del tutto particolare, proprio perché tocca questioni cruciali come le fonti di energia, il modello di sviluppo planetario e i rapporti tra Paesi industrializzati e quelli del terzo Mondo. La succitata bagarre tra Italia e Ue, scoppiata già a metà ottobre, offre una testimonianza lampante: il governo italiano ha minacciato il veto all’accordo dell’Unione europea sostenendo che il costo per la stabilizzazione del clima è troppo alto e che la difesa dell’ecologia affossa l’economia. E in tempi di crisi affermazioni simili hanno presa rapida sulla gente, colpita ormai nel quotidiano. Eppure, ha replicato tra gli altri l’economista Jeremy Rifkin, tra i massimi esperti mondiali in materia di politiche energetiche, «è vero esattamente il contrario: solo il green business è in grado di far ripartire l’economia, perché non siamo di fronte a una difficoltà congiunturale, ma a un passaggio epocale, dalla seconda alla terza rivoluzione industriale, dall’era del petrolio e delle autostrade a quella delle fonti energetiche rinnovabili e di Internet. Rinunciare vuol dire condannare il mondo a una recessione violenta». Non a caso il nuovo presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha proposto nei giorni scorsi un programma energetico e ambientale assolutamente innovativo, che vede nell’ "affare verde" un tassello fondamentale della rinascita americana.

Luca Mercalli Sul clima, insomma, si sta giocando una partita di livello planetario, perciò chi fa informazione al riguardo ha una responsabilità enorme. «Già nel 2007 la Commissione Ue ha convocato i responsabili delle previsioni meteorologiche delle principali emittenti televisive, sollecitandoli a inserire sistematicamente nei loro servizi informazioni sui cambiamenti climatici», rivela Luca Mercalli, presidente della Società meteorologica italiana, da alcuni anni ospite fisso di «Che tempo che fa» su RaiTre. «Ciò dimostra anzitutto che l’Unione europea non ha dubbi riguardo al progressivo surriscaldamento terrestre e, in secondo luogo, che l’informazione televisiva ha un vasto potere persuasivo». Ovviamente, aggiunge l’esperto, sostenere che è in atto un cambiamento climatico e che è indispensabile ridurre i consumi energetici e ricorrere a fonti rinnovabili ha conseguenze ingenti su alcuni comparti economici: «L’industria petrolifera, che vende 85 milioni di barili al giorno, è la seconda potenza economica a livello mondiale, dopo quella militare».

Eppure, sottolinea Mercalli, «oggi sappiamo che il clima sta cambiando quasi con la stessa certezza con cui sappiamo che la Terra è sferica». Persino l’Arabia Saudita, tra i principali produttori di petrolio, ha siglato un anno fa il IV rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc) sui cambiamenti climatici causati dalla combustione di fonti fossili. «L’Ipcc ha spiegato chiaramente che l’innalzamento delle temperature, se non adeguatamente fronteggiato, porterà a migrazioni e guerre in tutto il mondo. Proprio per questo ha meritato il Nobel per la pace nel 2007». Ciò nonostante, prosegue l’esperto, sulla stampa italiana si leggono ancora titoli del tipo «Clima: contrordine, nei prossimi 10 anni farà più freddo»: «Un’informazione irresponsabile, perché interpreta in modo scorretto la ricerca scientifica (in quel caso lo studio non negava affatto la presenza del surriscaldamento, ma sosteneva solo che potrebbe essere meno rapido del previsto) e perché si presta a essere impugnata dai politici di turno per far passare determinate leggi. Il risultato è che il cittadino medio è disorientato e, nella migliore delle ipotesi, deciderà di ignorare il problema».

«Fare una buona informazione è un dovere etico», aggiunge Mercalli. «È essenziale per far sì che la gente cambi stile di vita e induca i governi stessi a prendere provvedimenti per contenere l’innalzamento della temperatura globale entro +2°C nel prossimo secolo anziché i potenziali +6°C, che corrisponderebbero probabilmente a un netto ridimensionamento della presenza umana sul pianeta. Abbiamo solo una decina d’anni per limitare la variazione climatica: non possiamo continuare a giocare a rimpiattino».

previsioni meteo Ma se è vero, come è vero, che le previsioni del tempo non possono andare oltre i 5 giorni, quanto sono attendibili le stime sul lungo periodo? «In questo caso», spiega Mercalli, «le previsioni non dicono che tempo farà un determinato giorno del 2050, ma valutano il bilancio termico generale del pianeta e sono ragionevolmente attendibili per scegliere una linea di azione a lungo termine». Ciò che ancora manca, ammette, «è la previsione stagionale: nessuno oggi può dire che tempo farà nei prossimi mesi. La ricerca sperimentale a questo riguardo sta procedendo: speriamo giunga a risultati attendibili tra alcuni anni».

Mercalli, peraltro, ricorda che ancora negli anni Ottanta le informazioni sul “tempo del giorno dopo” erano imprecise: «Non a caso erano collocate accanto all’oroscopo: stime a cui si poteva credere o meno, nonostante lo sforzo scientifico. Da allora, grazie anche ai supercomputer, siamo passati a previsioni del tempo buone entro i 4-5 giorni, ma quasi nessuno ci ha fatto caso. Eppure non è un risultato così scontato: sono occorsi anni di simulazioni, acquisizione di misure in ogni recesso dell’atmosfera e degli oceani, e calcoli complessi». Comunque, anche in questo ambito, restano alcuni margini di incertezza legati a vari fattori. Anzitutto la complessità e la parziale caoticità del sistema atmosferico, e, altrettanto rilevante, il problema delle stazioni di rilevamento dei dati atmosferici per uso previsionale: ce ne sono 15 mila in tutto il mondo (collocate per lo più negli aeroporti), ma alcune zone restano clamorosamente scoperte (es. oceani, vaste aree del continente africano, zone polari...). A questi elementi, in Italia, si aggiunge la molteplicità delle fonti informative, più e meno attendibili: Aeronautica militare, Arpa regionali, ma anche dilettanti e impostori via Web. Infine ci sono le inesattezze dovute alla necessità di mediare tra dettaglio e sintesi per comunicare con il pubblico più allargato: «Oggi vanno di moda le frettolose icone grafiche», spiega il meteorologo, «ma spesso inducono in errore: sarebbe meglio usare le parole del bollettino meteorologico, proprio come si fa con le diagnosi delle malattie. Diversamente i fraintendimenti sono dietro l’angolo».

Una volta si diceva che «il tempo fa come vuole». Oggi sappiamo che anche l’uomo fa la sua parte: è bene che cittadini, giornalisti, imprenditori, ricercatori e politici ne tengano conto.

Per saperne di più: www.cmcc.it; www.climalteranti.it; www.nimbus.it.

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