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La "Terza rivoluzione industriale": ne ha parlato a Torino Jeremy Rifkin

Jeremy Rifkin, economista di fama mondiale, è stato ospite d'onore all’inaugurazione dell’Anno accademico 2007-2008 dell’Università di Torino, lo scorso 3 dicembre

Jeremy Rifkin «Entro i prossimi 25 anni determineremo la sopravvivenza della nostra stessa specie. Se non riusciremo a tirare il freno di emergenza, bloccando l’innalzamento delle temperature a +2°C, la sesta estinzione di massa nella storia della Terra, la prima prodotta dall’uomo, spazzerà via in pochi decenni buona parte della biodiversità accumulata dal pianeta in miliardi di anni di evoluzione». L’allarme ha avuto l’effetto di un pugno nello stomaco tra chi assisteva all’inaugurazione dell’Anno accademico 2007-2008 dell’Università di Torino lo scorso 3 dicembre. Anche perché a lanciarlo era un personaggio autorevole come Jeremy Rifkin, economista di fama mondiale, e proprio nel giorno in cui a Bali iniziava la 13ª Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici e sul futuro del Protocollo di Kyoto.

Abbiamo incontrato Rifkin subito dopo la sua lectio magistralis.

Professore, come si fa a “tirare il freno”?

Passando alla Terza rivoluzione industriale. I grandi cambiamenti economici che hanno segnato la storia dell’umanità sono avvenuti nel momento in cui nuovi regimi energetici convergevano con nuovi sistemi comunicativi. Allorché si produce questa sinergia, la società si ristruttura in modalità del tutto inedite. Per esempio, l’avvento del motore a vapore, alimentato dal carbone, fu simultaneo all’introduzione della stampa e produsse la Prima rivoluzione industriale. Se fossimo rimasti alle vecchie forme comunicative e allo scambio orale delle informazioni, non avremmo potuto progettare e soprattutto attuare quello sviluppo vertiginoso fatto di ritmi, velocità, flussi, densità dell’attività economica, reso possibile appunto dai motori a vapore. Analogamente, tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, l’avvento del telefono coincise con l’introduzione del petrolio e del motore a combustione interna: insieme costituirono il meccanismo di comando e controllo che portò alla Seconda rivoluzione industriale. Infine, negli anni Novanta del secolo scorso, si è verificata una nuova rivoluzione nel campo delle comunicazioni. I personal computer, Internet, il World wide web e le tecnologie per comunicare in modalità wireless (senza fili) hanno messo in contatto tra loro i “sistemi nervosi” di oltre un miliardo di persone in tutto il globo e alla velocità della luce. Sebbene i cambiamenti delle comunicazioni abbiano già iniziato ad accrescere la produttività in ogni settore industriale, il loro potenziale è lungi dall’essere pienamente realizzato.

energia eolicaCome attuare dunque la Terza rivoluzione industriale?

Sviluppando e integrando tre “pilastri” fondamentali. Il primo è il ricorso massiccio a fonti energetiche rinnovabili (solare, eolica, idroelettrica, geotermica, da moto ondoso e biomasse): occorre investire soprattutto nella ricerca e nello sviluppo di tecnologie che permettano di sfruttare le nuove fonti in modo efficiente. Nel marzo 2007 l’Unione Europea è stata la prima superpotenza ad assumere un impegno vincolante per arrivare a produrre il 20% della propria energia attraverso le fonti rinnovabili entro il 2020. Il secondo pilastro è sviluppare metodi di accumulazione che facilitino l’erogazione di un servizio continuo e affidabile. Una società basata sull’energia rinnovabile è possibile solo nella misura in cui quell’energia può essere accumulata sotto forma di idrogeno. L’energia rinnovabile, infatti, è di per sé intermittente: il sole non splende sempre, il vento non soffia con regolarità, l’acqua non scorre quando c’è siccità, i raccolti agricoli possono avere anni di magra. Ma se un po’ dell’elettricità generata quando le energie rinnovabili sono abbondanti viene utilizzata per creare idrogeno dall’acqua e dunque “accumulata” per un uso successivo, la società potrà contare su una fornitura continua di elettricità. L’idrogeno, d’altronde, ha un enorme vantaggio rispetto ad altre soluzioni: quando è “bruciato” per produrre energia dà come scarto solo acqua e calore.

E il terzo pilastro?

Il terzo pilastro è in fase di sperimentazione presso alcune aziende europee: si tratta della riconfigurazione delle reti energetiche secondo gli schemi di Internet, per permettere alle imprese e all’utenza privata di produrre la propria energia e di scambiarla. Il nuovo piano energetico dell’Ue, ad esempio, prevede che le reti attuali siano scorporate o per lo meno rese progressivamente indipendenti dai produttori di energia, così che nuovi attori (specialmente piccole e medie imprese e singoli cittadini) abbiano l’opportunità di vendere energia alla rete con la stessa facilità e trasparenza con cui oggi produciamo e distribuiamo informazioni su Internet. Un simile sistema di reti “intelligenti”, pienamente integrato su scala continentale, permetterà a ogni Stato membro dell’Ue sia di soddisfare il proprio fabbisogno interno sia di condividere l’eventuale eccedenza produttiva con il resto del mondo. Il risultato sarà la piena sicurezza energetica, grazie alla totale indipendenza dal petrolio e dal gas. Si passerà dalla geopolitica alla politica della biosfera. In realtà, l’impatto più significativo della Terza rivoluzione industriale si avrà sulle nazioni in via di sviluppo. È quasi incredibile, ma oltre la metà della popolazione mondiale non ha mai visto un telefono e un terzo della razza umana non ha accesso all’elettricità. La disponibilità di energia, d’altronde, è condizione indispensabile per lo sviluppo economico: in Sudafrica, per esempio, ogni 100 nuove abitazioni elettrificate si creano da 10 a 20 nuove imprese. L’elettricità libera l’uomo dal bisogno di dedicare la maggior parte del proprio tempo a quotidiane operazioni di sopravvivenza. Passando all'energia rinnovabile generata localmente si potranno dunque aiutare milioni di persone a uscire dalla povertà. Questa è la quintessenza della politica per lo sviluppo sostenibile e per la ri-globalizzazione del mondo dal basso verso l’alto.

Nel suo discorso all’Ateneo torinese, in realtà, lei ha aggiunto un quarto pilastro: l’istruzione…

Sì, è fondamentale anche la mobilitazione del sistema scolastico, a ogni livello. Negli anni Sessanta il presidente John Kennedy dichiarò di voler portare l’uomo sulla Luna e invitò le agenzie formative americane a formulare nuovi programmi per preparare le giovani leve a conseguire tale obiettivo: nell’arco di dieci anni gli Usa sbarcarono sul suolo lunare. Il modulo di atterraggio dell’Apollo 11 mentre si allontana dalla Luna. La missione della scuola nel XXI secolo sarà salvare il pianeta e la specie umana. Le nuove tecnologie potranno essere efficaci solo se cambieremo il nostro modo di concepire la realtà. Dobbiamo cominciare a pensare da veri “homo sapiens” e acquisire la consapevolezza della nostra vulnerabilità, della nostra dipendenza dagli altri e dalla biosfera. Per troppo tempo abbiamo vissuto nella convinzione di essere “isole” indipendenti. Le neuroscienze ci stanno insegnando che non è così: fin dalla nascita abbiamo bisogno degli altri esseri umani. I primati hanno neuroni specifici («neuroni specchio») per stabilire un legame empatico con altri soggetti della stessa specie: siamo legati gli uni agli altri da una sorta di cablaggio sinaptico. Questo dovrebbe aprire i nostri orizzonti, proprio come accadde con le immagini della Terra scattate dalla navicella spaziale Apollo: per la prima volta passammo da una visione prospettica al pensiero “olistico”. L’età rinascimentale ci aveva abituati a osservare il mondo solo dal nostro punto di vista; quando l'Apollo scattò quelle fotografie, ci vedemmo dal di fuori e cominciammo a renderci conto di essere inseriti in un sistema più ampio. Ora dobbiamo acquisire la consapevolezza di essere tutti parte di una rete globale e interdipendenti.

Il 24 ottobre scorso l'Europarlamento ha approvato la risoluzione (non vincolante) del popolare tedesco Herbert Reul, secondo cui «l’energia nucleare è indispensabile per garantire a medio termine il fabbisogno energetico dell’Ue» e rispettare gli impegni di Kyoto. Cosa ne pensa?

Il nucleare è una tecnologia figlia della Guerra fredda, non ha futuro. Bastano quattro punti per dimostrarlo. Primo: per ottenere un rallentamento visibile del riscaldamento climatico bisognerebbe costruire due impianti nucleari ogni 30 giorni per i prossimi 70 anni, al costo di 2 miliardi di dollari a centrale. Sono consulente di molte industrie che producono energia: nessuna di queste crede realmente che potremo costruire migliaia di nuove centrali nucleari. Secondo punto: dopo decenni di ricerca e miliardi di spese non sappiamo ancora come eliminare le scorie radioattive e non possiamo pensare di rinviare il problema alle generazioni future. Terzo: due anni fa il governo australiano ha fermato in extremis un attacco terroristico all'impianto nucleare di Sidney. La proliferazione delle centrali è una manna per i fanatici malintenzionati. Quarto: non c'è abbastanza acqua per fare raffreddare gli impianti nucleari. In Francia, ad esempio, il 40% di tutta l’acqua consumata annualmente è usato per raffreddare i reattori. Nell’estate torrida del 2003 gli impianti atomici si sono dovuti fermare.

Ma c’è chi punta ai reattori di “quarta generazione”…

È una sciocchezza. Questa tecnologia potrebbe forse essere matura tra 20 anni. Ma sarà troppo tardi. Noi dobbiamo agire adesso. Non abbiamo tempo da perdere dietro alle vecchie tecnologie del XX secolo. Dobbiamo concentrare i nostri sforzi e le nostre risorse sulle nuove fonti a emissioni zero.

Riepilogando: nella migliore delle ipotesi abbiamo 15 anni di tempo, ma il nucleare non è una soluzione e da qui al 2020 produrremo solo il 20% dell'energia da fonti rinnovabili. Da dove ricaveremo il restante 80%?

Di fatto, per un certo periodo, vivremo a cavallo di due rivoluzioni industriali: fino al 2050 saremo ancora nella Seconda e ricorreremo a uranio, gas e petrolio. Non a caso l’obiettivo dell'Unione europea entro il 2020 è migliorare del 20% l’efficienza energetica dei vecchi combustibili. Nello stesso periodo però, come s’è detto, l’Ue si impegnerà a coprire il 20% del mix energetico con le energie rinnovabili e a ridurre i gas serra del 20% (rispetto ai livelli del 1990). Per un certo lasso di tempo dunque vivremo entrambe le rivoluzioni, proprio come quando siamo passati dai motori a vapore a quelli a scoppio: i due sistemi hanno convissuto per almeno mezzo secolo.

Cos’altro si può fare per contenere il riscaldamento globale?

Qualcosa di cui nessuno parla. Il surriscaldamento terrestre, infatti, non è solo dovuto all’incremento di CO2, ma anche al metano, che ha un effetto climalterante venti volte più potente dell’anidride carbonica. Tutti ormai sappiamo che le fonti principali di CO2 sono l’edilizia e i trasporti. Ma pochi sanno che la prima causa dell’emissione di metano nell’atmosfera è l’allevamento di animali. mucca Uno studio delle Nazioni Unite dello scorso dicembre ha dimostrato che la produzione di carne è al secondo posto nella classifica generale delle cause del riscaldamento globale, subito dopo gli edifici e prima dei mezzi di trasporto. Già nel libro «Ecocidio» (2001) spiegavo che un terzo di tutta la terra coltivabile del pianeta serve a produrre cereali destinati all’alimentazione degli animali, che a loro volta forniranno cibo per le persone. È un ciclo estremamente dispendioso: richiede enormi quantità di pesticidi e fertilizzanti, che contribuiscono all'effetto serra. Ma soprattutto aumenta l’immissione di metano nell’atmosfera attraverso la flatulenza fisiologica degli animali. Purtroppo nessun leader politico ne parla. Non ci sono proposte. Ho consultato personalmente diversi capi di Stato, ma si passano la responsabilità dall'uno all'altro. La buona notizia è che l'Italia ha già una valida soluzione ed è la dieta mediterranea, che prevede il consumo di grandi quantità di ortaggi e piccole porzioni di carne: se ci convertissimo tutti a questo regime alimentare (o a quello asiatico, altrettanto valido), riusciremmo a incidere in modo significativo sul riscaldamento globale. Certo non si possono fare sempre leggi ad hoc, ma ci sono comunque altri modi per essere incisivi: si possono modificare, ad esempio, abitudini consolidate attraverso l’educazione alimentare, ma si può anche penalizzare chi consuma troppa carne, proprio come si fa con i fumatori.

A che punto è l’Italia lungo il percorso che porta alla Terza rivoluzione industriale?

L’Italia è l’Arabia saudita delle energie rinnovabili: avete sole in abbondanza soprattutto al Sud, mare che bagna tutta la penisola, energie idriche sulle montagne, depositi geotermici in Toscana… Nessun altro Stato europeo ha un potenziale di fonti rinnovabili altrettanto elevato e così poco sfruttato. Sono consulente del governo italiano da alcuni anni: è ora di passare dalle parole ai fatti. Non è una questione di governo, ma di partiti. Le varie fazioni devono arrivare a un accordo. L’Italia era leader nella Prima e nella Seconda rivoluzione industriale: deve esserlo anche nella Terza.

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