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Anidride carbonica sotto controllo

Gli scambi gassosi tra i vegetali e l’ambiente

Il protocollo di Kyoto è il trattato sottoscritto da 38 Paesi industrializzati per la riduzione delle emissioni globali di gas serra, responsabili di modificazioni dell'atmosfera terrestre. Già a partire dagli anni '70 si è potuto osservare come le intense attività antropiche abbiano avuto un ruolo determinante nelle variazioni climatiche. Il consumo di petrolio e carbone, i due combustibili fossili più utilizzati, genera circa la metà dei gas serra - ossido di azoto, metano, anidride carbonica, ozono troposferico e gas fluorurati (Fao,2002b)- ; la restante parte deriva dall'industria chimica e dalle attività agricole, che, oltre ad innalzare le emissioni, si sviluppano a scapito delle foreste, le uniche in grado di compensare l'accumulo di gas nocivi come l'anidride carbonica.

Il protocollo prevede la possibilità che i Paesi sottoscrittori possano decidere un uso del proprio territorio, in senso agricolo e forestale, in modo da contribuire alla riduzione prefissata.

Per contrastare la superproduzione di anidride carbonica, che da sola costituisce la metà circa di tutte le emissioni dannose, una soluzione indicata dagli esperti è perciò quella di incrementare le riserve di carbonio naturali, cioè suolo e biomasse vegetali, e giungere quindi, anche se in modo indiretto, ad un contenimento dei gas serra, così come previsto dal protocollo. I vegetali fanno la fotosintesi, che consuma anidride carbonica, e respirano, processo con il quale ne riemettono solo una metà nell'atmosfera.

L'altra metà resta negli organismi vegetali come carbonio organico, soprattutto sottoforma di cellulosa, amido e sostanze di riserva. Una parte va a finire nel suolo dove, in seguito ai processi di decomposizione e mineralizzazione, si formano humus, elementi minerali e anidride carbonica, che torna nell'atmosfera.

La sola adozione di buone pratiche agricole, in grado di mantenere un buon livello di fertilità nel suolo, potrebbe ridurre le perdite di anidride carbonica. La quantità di anidride carbonica che i suoli agrari rilasciano è superiore a quella emessa dagli ecosistemi naturali a causa delle lavorazioni meccaniche, che causano una perdita di carbonio organico. Tecniche di lavorazione conservative, molto superficiali, o meglio le non lavorazioni, aiutano a ridurre tali perdite rispetto alle tradizionali tecniche, come l'aratura profonda. Gli avvicendamenti colturali, ovvero coltivare un terreno con una successione di colture diverse, favoriscono un maggior accumulo di carbonio nel suolo. Infatti specie diverse lasciano residui colturali differenti, che vengono attaccati da una più ampia gamma di microrganismi e microfauna, da cui deriva un maggior apporto di carbonio organico nel suolo, come humus.

Ma una parte sicuramente di grande interesse la potrebbero svolgere le aree boschive, a causa dell'imponente biomassa che le caratterizza. Il progetto europeo Euroflux, svoltosi negli anni scorsi con rilevazioni su 15 siti forestali, ha messo in evidenza come la superficie forestale europea sia in grado di "catturare" annualmente il 10% circa delle emissioni di anidride carbonica prodotte dall'attività umana.foresta amazzonica

A livello nazionale, l'Istituto ISAFA, Istituto Sperimentale per l'Assestamento Forestale e l'Alpicoltra, è riuscito a stimare in che modo avviene il sequestro di CO2 da parte delle diverse essenze arboree: i boschi di latifoglie, come faggi o castagni, fissano oltre la metà del gas nocivo, quelli di conifere circa un sesto, la rimanente parte compete alle formazioni miste, agli arbusti, alle aree verdi pubbliche e simili.

Può diventare perciò interessante pensare alle produzioni agroforestali sotto una duplice veste: fonti di energia rinnovabile e serbatoi temporanei per l'anidride carbonica in eccesso. Da non dimenticare infine il contributo che l'arboricoltura da reddito - da legno, come la pioppicoltura, o la frutticoltura - offre nel catturare l'anidride carbonica atmosferica. La parte del carbonio introdotto come anidride carbonica e utilizzato, grazie alla fotosintesi e ai processi metabolici, per costruire le molecole diverse che formano la struttura anatomica degli alberi segue due diversi destini: quello destinato alle cellule di foglie e fiori è immobilizzato per poco tempo, ma quello del legno e delle radici per un tempo molto più lungo. I frutteti, ad esempio, sono produttori di biomasse contenenti carbonio: una parte viene rilasciato in tempi brevi ( ad ogni stagione cadono le foglie e si raccolgono i frutti), l'altra con tempi molto più lunghi ( la vita di un meleto arriva a 20 anni).

La maggior riserva di carbonio si trova nella litosfera, sottoforma di rocce sedimentarie o di depositi di petrolio, metano e carbone. Seguono gli oceani e gli altri componenti l'idrosfera, che contengono il carbonio sottoforma di bicarbonato e carbonati. Nella biosfera e nell'atmosfera, dove gli esseri viventi svolgono il loro ciclo vitale, si trova una parte molto piccola del totale, circa 1/60.000 (CIRED-Università Ca' Foscari di Venezia).

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