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Alle Molinette messo a punto un nuovo trattamento per curare il Mieloma Multiplo

Intervista al dottor Benedetto Bruno, responsabile dell'Unità di trapianto di midollo del Reparto di Ematologia dell'Ospedale Molinette.

Sul numero del 15 marzo della prestigiosa rivista scientifica New England Journal of Medicine, compare l’articolo dal titolo “A Comparison of Allografting with Autografting for Newly Diagnosed Myeloma”, gli autori: un pool di ricercatori italiani. Il primo autore (che in un articolo scientifico è quello che coordina il progetto) il Dr Benedetto Bruno, responsabile del Centro Trapianto di midollo afferente alla divisione di Ematologia del professor Mario Boccadoro all’ospedale Molinette di Torino.

In sostanza, lo studio pubblicato ha sperimentato un trattamento innovativo contro il mieloma multiplo (tumore del sangue, secondo per incidenza, con 4 casi ogni 100 mila persone), basato sulla tecnica dell’allotrapianto. Cioè il trapianto del midollo da un donatore sano, compatibile: un fratello od una sorella. Con questa tecnica le cellule sane del donatore possono aggredire quelle malate del paziente innescando una reazione immunologica.

Il Dr. Benedetto Bruno Dottor Bruno 2 ha lavorato per 4 anni negli Stati Uniti, presso il Fred Hutchinson Cancer Research Center di Seattle dove sono "nati" i trapianti di midollo (terapia fondamentale per la cura di numerose patologie oncoematologiche). Esperienza indispensabile che oggi si è trasformata in un fitto intreccio di collaborazioni e scambi scientifici col prestigioso Centro.

Come è stata strutturata la ricerca?

La ricerca ha permesso di coagulare cinque centri, 4 piemontesi e l'Università di Udine, che credevano nella possibilità di applicare il trapianto di midollo da donatore compatibile nei pazienti con mieloma all'esordio della malattia. Un forte spirito collaborativo tra i gruppi ha permesso di raccogliere una casistica importante nel corso di 5-6 anni.

Lo studio, infatti, condotto su 245 pazienti, ha confrontato il trattamento convenzionale del trapianto autologo col nuovo metodo di trapianto allogenico. "I risultati - conferma Bruno - dimostrano una sopravvivenza più lunga in quei pazienti dove l’esistenza di un fratello o una sorella compatibili ha permesso di procedere all’allotrapianto". Si presume che il nuovo metodo "consentirà nel 20-25% dei casi l’eradicazione definitiva della malattia, cioè guarigione totale di pazienti altrimenti incurabili".

Può illustraci brevemente cosa è dimostrato nell'articolo apparso su New England?

Sì è dimostrata l'efficacia della terapia su un gruppo di pazienti e soprattutto che tale terapia non può essere ignorata dal clinico.

Come è stato intuito che ci fosse la possibilità di procedere all'allotrapianto?

Fino alla fine degli anni '90, l'allotrapianto era gravato da una forte tossicità che portava ad una elevata mortalità. Si era però già intuito che la possibilità di eradicare la malattia con tale approccio fosse unica.

Dalla fine degli anni '90, nuovi schemi di allotrapianto definiti non mieloablativi, perché caratterizzati da una terapia precedente all'infusione delle cellule del donatore meno intensa rispetto al passato, hanno permesso di ridurre drasticamente la tossicità del trapianto convenzionale e permettere l’applicazione della procedura con meno rischi per il paziente.

Può illustrarci il procedimento della terapia? Le varie fasi della cura.

La cura prevede un'iniziale chemioterapia per ridurre la massa tumorale. Una seconda fase prevede la raccolta delle cellule staminali del paziente ed una prima fase di trapianto, definita autologa, dove si sfruttano le cellule del paziente per il recupero dei valori dell'emocromo (le cellule normalmente presenti in circolo). Dopo 2-4 mesi, si esegue la fase allogenica che consiste nell'utilizzo delle cellule del donatore che dovrebbero, nei casi trattati con successo, eradicare la malattia.

Quali sono i vantaggi di questa terapia e quali i suoi limiti?

Il vantaggio è che le cellule del donatore possono attaccare con reazioni immunologiche il tumore fino a sconfiggerlo. Sfortunatamente, non tutti i mielomi rispondono a questo tipo di terapia cellulare. Si spera possa diventare risolutiva in un 20-25% dei pazienti trapiantati.

Inoltre, solo un 30/40% dei pazienti ha un fratello od una sorella compatibile.

E' una terapia adatta per ogni fascia di età e per ogni stadio della malattia?

E' adatta fino ai 65 anni e soprattutto durante le prime fasi della malattia. Se il paziente è in buone condizioni generali si può arrivare, anche se di rado, ai 70 anni.

Quali sono stati i contributi dei vari team?

Tutti i gruppi hanno svolto un'ottima ricerca. La maggioranza dei pazienti è stata seguita presso la Divisione Universitaria di Ematologia dell'Azienda S. Giovanni.

Gli altri gruppi coinvolti sono state le divisioni di Ematologia degli ospedali di Cuneo (primario Andrea Gallamini), Alessandria (Sandro Levis) e quella universitaria di Udine del professor Renato Fanin. Ha collaborato il centro di Oncoematologia dell’Ircc di Candiolo diretto dal professor Massimo Aglietta. Parte dei finanziamenti dello studio derivano da Fondi ottenuti dalla Fondazione Crt, il comitato piemontese Gigi Ghirotti ed il Ministero della Sanità.

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