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L’Istituto di Fisica in corso D’Azeglio

La vita all'Istituto di fisica dell'Università di Torino nella prima metà del Novecento nei ricordi di un giovane studente

Nel novembre 1898, sotto la guida di Andrea Nàccari, si era inaugurato il nuovo Istituto di Fisica di Corso D’Azeglio a Torino, finanziato insieme agli altri istituti del Valentino da un Consorzio cui partecipano Comune, Provincia e Governo. In realtà l’Istituto, la cui costruzione era cominciata nel 1886, era terminato già nel 1893, ma per quattro anni mancarono i soldi per arredarlo.

Corridoio al I piano dell'Istituto di Fisica di Torino Lo studio di Enrico Persico si trovava al I piano, in fondo a sud-est, alla fine di Fisica (al posto dell’entrata del suo studio sta dal 1961 un ascensore). Accanto, sempre dal lato di levante, una scala (distrutta nel ’61) portava dal piano interrato alle soffitte del II piano. Un’altra scala secondaria stava sul lato nord-ovest. E lo scalone tra piano terreno e primo piano, che esiste tuttora anche se alcune stanzette sono state ricavate nel suo corpo, corrisponde all’entrata principale del vecchio Istituto, che era (ed è) sul lato di via Giuria. Al I piano era sistemata la Biblioteca (oggi sala Wataghin) il cui arredo risaliva al 1898. Vi si entrava allora passando per lo studio del prof. Pochettino (e quindi era riservata a lui); accanto si trovava il suo laboratorio (che fu poi, ripulito, il grande studio di Gleb Wataghin).

Di fronte allo studio di Persico un grande stanzone al I piano serviva da sala delle riunioni; ma non fu mai usato. (Nel dopoguerra diventò lo studio in cui tutti i laureati teorici risiedettero all’inizio. Nel ’53 vi troneggiava Tullio Regge che scriveva su di un enorme registro da inventario poggiato su una vecchia scrivania nera a rientranza che lo circondava su tre lati).

I laboratori I e II (fisichette) stavano sul lato nord del piano terreno. Il bidello Giacosa vi imperava: consigliava, redarguiva, insegnava a manovrare gli apparecchi e faceva le esperienze con (o per) gli studenti, cui elargiva il titolo di dottore dall’inizio del IV anno. Al piano terreno stavano anche Colombino (sotto Pochettino) e Dallaporta (sotto Persico). Di fronte a Dallaporta stava un’auletta (fu poi rifatta nel dopoguerra). Lo studio di Lovera, unico assistente con cui il prof. Pochettino discutesse, si trovava invece al I piano a ponente, di fronte al suo studio (nel 1961 fu sostituito da una scala). Bertolino stava anche lui al I piano, in una stanza riscaldata alla fine della “Siberia”, la zona fredda che riempiva quasi tutto il nord.

Il laboratorio del III anno stava nel sotterraneo, ma praticamente si trovava ovunque: il prof. Pochettino assegnava qualche vago compito e lo studente si arrangiava tra apparecchi abbandonati in stanze polverose o chiedeva aiuto agli assistenti o, se era il caso, si rivolgeva al prof. Persico per problemi teorici.

C’erano poi due tecnici (Carlo Vaschetti e Gaetano Masera, che avevano anche un laboratorio privato), Giovanni Giacosa predetto che andò in pensione nel 1952, sostituito da Giacomo Trinchero, il custode Giovanni Botto, sostituito nel dopo guerra da Giuseppe Rocca, e fu tutto.

Chi conosce la vita di allora ricorda tanti stanzoni con apparecchiature accatastate, alcune stanze con qualcuno dentro, e niente vita in comune. Nel caso di Persico, che aveva una conoscenza robusta delle cose importanti, la cosa aveva un lato positivo: Persico aveva molto tempo per lavorare, conosceva perfettamente ogni aspetto operativo della fisica e chi bussava alla sua porta trovava un tesoro di informazioni e di consigli. Ma per la fisica in generale il divario rispetto all’Istituto di Roma, dove sì faceva davvero fisica, rendeva più evidente questa situazione di stagnazione. Testimoni del periodo qui descritto mi hanno assicurato che, a parte gli insegnamenti di Persico, non c’era stimolo ad interessarsi di fisica.

Eligio Perucca (1890-1965) era un personaggio bizzarro, di grande intelligenza e vivacità. Nominato giovanissimo professore al Politecnico, era un bravissimo sperimentatore; purtroppo era essenzialmente un fisico classico. Conosceva bene, per aver sperimentato, la teoria quantistica del corpo nero, come conosceva l’atomo di Bohr-Sommerfeld; conosceva la Relatività speciale, che era però considerata una teoria di interesse matematico. Aveva lavorato con grandissima perizia in molti problemi sperimentali di fisica classica. Non aveva invece dimestichezza con gli sviluppi della meccanica quantistica moderna e dunque non si interessò alla nuova fisica in un periodo delicato.

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