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Notizia del 18/12/2009

Una nuova speranza per il trapianto di midollo osseo

Non è un farmaco nuovo, ma una nuova tecnica tutta italiana, che sembra destinata a rendere più certo il futuro dei trapianti di midollo. Si tratta di una terapia che si concentra su una particolare sottospecie di linfociti T, le cellule adibite al controllo immunitario proprie del donatore, che aggrediscono il ricevente causandone la malattia “trapianto contro ospite”.

La scoperta di questo particolare tipo di cellule T e del loro impiego è stata presentata nei giorni scorsi a New Orleans, all'American Society of Hematology, da Massimo Franco Martelli, direttore della Clinica ematologia dell' università di Perugia, ed è stata possibile a partire a un esperimento su un topo e a una collaborazione con l' israeliano Weizmann Institute of Science.

A oggi, il trapianto di midollo (l’unica alternativa per i pazienti affetti da leucemie acute ad alto rischio di recidiva) prevede che vengano rimosse le cellule T per evitare che queste aggrediscano il paziente ricevente: tuttavia, questo compromette spesso la ricostruzione delle difese immunitarie del paziente, non impedendo la comparsa di infezioni che si rivelano letali nel 40-50% dei casi.

La tecnica, che si basa su questo sottogruppo di cellule, sfrutta la loro funzione regolatoria del sistema immunitario sia nel sopprimerne l'azione sia nel favorirne la ricostituzione: a Perugia hanno iniziato la sperimentazione sull’uomo con un gruppo di 28 pazienti sottoposti a trapianto di midollo da donatore parzialmente compatibile (come ad esempio un famigliare). Tre giorni prima dell’intervento di trapianto, sono state loro somministrate i linfociti T regolatori dei donatori (cellule T mature e staminali ematopoietiche, progenitrici del sangue). 26 pazienti su 28 hanno registrato una bassissima incidenza di “malattia contro l’ospite” e una rapida ricostruzione delle difese immunitarie. I risultati fanno ben sperare: modificando ulteriormente la preparazione al trapianto e la scelta dei pazienti, si potrebbe abbassare l’incidenza della mortalità da infezioni sotto il 20%.