L’importanza della scienza nel caso di Yara

 

 

Massimo Giuseppe Bossetti è balzato agli onori della cronaca come principale responsabile per l’omicido della piccola Yara Gambirasio, avvenuto ormai quasi 4 anni fa.
I misteri da chiarire sono ancora molti ma in 4 anni non si può certo dire che gli investigatori siano rimasti con le mani in mano. La scienza in questi casi è di estremo aiuto e per fermare il sospettato si è fatto uso dell’ormai celebre test del Dna, il test che più viene utilizzato in questi casi di cronaca nera.
I test del Dna possono essere di vario tipo a seconda del quesito a cui sono chiamati a rispondere.

L’importanza della scienza nel caso di Yara

Nella genetica forense si usa oggi principalmente un tipo di test che va a indagare i cosiddetti microsatelliti, corte sequenze di Dna composte da una a otto basi azotate (i principali "mattoni" del Dna) ripetute in tandem per un piccolo numero di volte.
Esse differiscono da un individuo all’altro nel numero di ripetizioni e ciò rende il profilo genetico di ogni essere vivente unico nel suo genere.

Il test viene eseguito tramite la tecnica della Pcr (Polymerase Chain Reaction) che prevede l’estrazione del Dna dal materiale organico di partenza (sperma, capelli, urine, sangue, ecc.) che viene poi denaturato in una soluzione tampone contenente primer, ovvero corte sequenze che riconoscono specifiche regioni del Dna da analizzare alle quali si aggiungono basi azotate con un enzima chiamato polimerasi.
Da quantità minime di Dna tramite cicli ripetuti si ottengono quindi quantità sufficienti per poter analizzare e confrontare i profili genetici dei sospettati, come è stato fatto per il muratore accusato dell’omicidio della giovane bergamasca.

Questo Dna prelevato dalla soluzione Pcr viene poi analizzato con metodiche differenti quali l’elettroforesi, il sequenziamento diretto delle basi azotate o la spettrometria di massa.
L’obiettivo è quello di distinguere filamenti di Dna che differiscono tra loro anche di una sola base azotata e di confrontarli con quelli di individui diversi per capire per esempio se il Dna di un reperto coincide con quello di un individuo sospettato (genetica forense), come una mutazione si distribuisca in un gruppo d’individui (genetica di popolazione) o se il Dna di alcuni geni differisca o meno da sequenze di riferimento provenienti da un database pubblico (genetica medica).

Il margine d’errore può insorgere quando il Dna recuperato è degradato o recuperato in tracce minime, altrimenti la sua valenza è praticamente accertata.
Seppur conosciuto già a partire dagli anni ’80 ha iniziato ad essere utilizzato dalle polizie scientifiche di tutto il mondo solo a cavallo degli anni 2000 ma già in Inghilterra, dove venne messo a punto dallo scienziato Alec Jeffreys nel 1985, fu utilizzato pochi anni dopo il primo screening di massa, simile a quello al quale sono stati sottoposti gli abitanti di Brembate durante le indagini preliminari, per cercare di restringere la rosa dei possibili colpevoli.