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La scienza della seduzione

Il 14 febbraio, festa degli innamorati, il professor Emmanuele Jannini ha intrattenuto il pubblico incuriosito dei «GiovedìScienza» con una conferenza su biologia ed etologia umana delle tecniche di corteggiamento

Emmanuele Jannini L’amore è un’esperienza così universale e forte che tutti ci sentiamo autorizzati a parlarne. È, non a caso, uno degli argomenti principali delle nostre conversazioni, assieme al calcio. Tutti dicono la loro: poeti e filosofi, moralisti e sceneggiatori, mistici e psicanalisti. Solo la scienza ha mantenuto a lungo il silenzio, tenendosene prudentemente alla larga. Come si fa infatti a indagare su qualcosa di tanto soggettivo e non sperimentabile come il fatto di innamorarsi di una certa persona e non di un’altra? Per non parlare del sesso, autentico tabù in molte società occidentali, a cominciare dalla nostra. «Eppure l’argomento non manca certo di spunti di grande interesse scientifico», ha commentato Emmanuele Jannini, coordinatore dell’unico corso di laurea italiano in Sessuologia all’Università dell’Aquila, intervenendo ai «GiovedìScienza» del 14 febbraio scorso, festa di San Valentino. «Fare l’amore assolve alla funzione biologica più fondamentale di qualsiasi essere vivente: quella di lasciarsi dietro dei discendenti». La sessualità, ha aggiunto, «ha assunto inoltre un’importanza del tutto eccezionale nella nostra specie. Insieme agli scimpanzé pigmei siamo gli unici animali che si desiderano e si accoppiano tutto l’anno, non più in una breve stagione degli amori, e nei quali la ricerca del piacere ha raggiunto una centralità senza precedenti».

Secondo alcuni evoluzionisti, addirittura, la sessualità ha influenzato così profondamente la psicologia e la vita sociale della nostra specie che, alla base della rapida corsa evolutiva verso l’intelligenza, potrebbero esserci state proprio le necessità della selezione e della conquista di un partner. «Insomma», ha spiegato l’esperto, «ci saremmo sollevati sopra le bestie non perché eravamo cacciatori e fabbricanti di strumenti, ma perché eravamo seduttori e amanti».

Jannini, autore di oltre 150 pubblicazioni scientifiche e opere divulgative come «La scienza dell’amore» (ed. Baldini&Castoldi, 2000, scritto assieme a Giovanni Carrada) e «Il sesso guarito» (ed. Sperling&Kupfer, 1997), è la testimonianza diretta che da alcuni anni a questa parte anche la scienza ha cominciato a occuparsi dell’amore. Ma è in grado di dirci qualcosa che ancora non sappiamo? E, soprattutto, può darci consigli utili per vivere meglio questa straordinaria dimensione umana? La scienza, ha spiegato il professore, «ha compiuto notevoli progressi nello studio dell’anatomia e della fisiologia dell’amore, per cui oggi cominciamo ad avere un’idea abbastanza precisa di che cosa ci succede quando desideriamo, facciamo l’amore, e ne godiamo».

Il ruolo degli ormoni

Ricerche compiute in tutto il mondo dimostrano, ad esempio, che il cocktail di agenti chimici che fa scattare l’amore romantico non ha nulla a che vedere con ciò che mantiene l’affetto a lungo termine. L’antropologa Helen Fisher, docente alla Rutgers University di New York, tra le massime autorità in questo campo di studi, ha reclutato un gruppo di persone che si dichiaravano «follemente innamorate» da un periodo medio di 7 mesi, sottoponendole a risonanza magnetica funzionale (indagine che consente di scannerizzare l’intero cervello in soli 4 secondi, un tempo sufficientemente breve da poter valutare gli effetti di un’emozione). Durante l’esame ai volontari venivano mostrate alcune fotografie, tra cui una della persona amata. Quando guardavano l’immagine della “dolce metà” si attivava il nucleo caudato, ossia l’area cerebrale collegata alla ricompensa e al piacere, dove risiede un ampio numero di recettori per la dopamina, uno dei nostri principali neurotrasmettitori (sostanze emesse dalle terminazioni nervose per trasmettere informazioni ad altre cellule nervose o muscolari). In percentuali elevate la dopamina crea intensa energia, innalza il livello di attenzione e la motivazione a conquistare ricompense. Per questo, quando ci si è appena innamorati, si può stare svegli tutta la notte o compiere azioni altrimenti impensabili.

uomo con mazzo fiori Sorprendenti anche i risultati di un altro studio, condotto da Donatella Marazziti, docente di Psichiatria all’Università di Pisa, che da anni si occupa di «disturbi ossessivo-compulsivi» (patologie che provocano comportamenti strani, come lavarsi continuamente le mani o controllare ripetutamente se il gas è chiuso). Attraverso le analisi del sangue si è scoperto che chi soffre di questi disturbi ha un livello di serotonina (altro neurotrasmettitore) inferiore del 40% rispetto alla norma. Poiché anche chi è nella fase di innamoramento profondo presenta una vera e propria ossessione per la persona amata (per es. pensa a lei costantemente durante il giorno), la Marazziti ha pensato di misurare il livello di serotonina negli innamorati e ha ottenuto esattamente le stesse percentuali dei soggetti affetti da disturbi ossessivo-compulsivi. Tradotto “in soldoni”: l’amore, almeno nelle fasi iniziali, rende folli.

Gli scienziati hanno anche stabilito, però, che questa passione “morbosa” è destinata a scemare, in genere entro un anno. Come mai? Cosa accade? Dal punto di vista biologico cala il livello di dopamina e si alza nuovamente quello della serotonina: d’altronde, se lo stato di alterazione chimica iniziale restasse tale, si rischierebbero seri danni psicologici. Cosa capita, allora, a chi continua a stare assieme dopo la “pazzia” iniziale? Alcuni studi hanno evidenziato che nelle relazioni a lungo termine, che funzionano, si alzano le concentrazioni di ossitocina, un ormone che promuove tra l’altro il senso di attaccamento e la cui produzione è stimolata dal contatto fisico con le persone più vicine (es. il partner, i figli).

A questo punto il percorso che la natura, in milioni di anni di evoluzione, ha tracciato per la continuazione della specie pare abbastanza chiaro: innamoramento per attrarre due individui e creare una coppia, sesso per fare in modo che si riproducano e attaccamento per tenerli uniti nell’allevamento della prole. Il quadro è ulteriormente variegato nell’uomo, grazie a doti straordinarie e uniche come la parola e l’immaginazione. Ma anche a questo riguardo la scienza oggi ha parecchie cose da dire, dando un senso ad alcuni comportamenti che di senso pare non ne abbiano affatto. Perché, ad esempio, un uomo mette a repentaglio l’unione di una famiglia per seguire un’avventuretta da quattro soldi? Perché le donne sembrano ormai preferire uomini con lineamenti più femminili?

Per rispondere a queste e altre domande, ha spiegato Jannini, gli scienziati oggi fanno riferimento soprattutto alla psicologia evoluzionistica, «lo strumento più potente ed efficace per capire da dove vengono e come si sono evoluti i nostri comportamenti. Nel corso degli ultimi decenni infatti gli etologi hanno scoperto che anche il comportamento degli animali si è evoluto per selezione naturale».

Perché il tradimento?

sposi «Siamo stati programmati per innamorarci, ma non per rimanere tali», ha ribadito l’esperto. «Le caratteristiche anatomiche e biologiche della nostra specie ci hanno fatto evolvere come animali monogami infedeli. Due spinte assolutamente uguali e contrarie, che in qualche modo si annullano, dandoci la libertà di scegliere un comportamento o l'altro. Di fatto ci sono vantaggi biologici in entrambe le condizioni. Il vantaggio della monogamia è la stabilità, utile per l'allevamento della prole (che, nel genere umano, necessita di tempi particolarmente lunghi); l'infedeltà assicura invece varietà e novità, dunque un continuo rimescolamento di geni». La differenza tra uomini e donne, a tale riguardo, ha precise basi biologiche: «La quantità di spermatozoi emessa in una singola eiaculazione è sufficiente a fecondare l'intera popolazione femminile degli Stati Uniti. Ciò significa che c'è una ridondanza genetica enorme dovuta al fatto che il fine ultimo dell'uomo è diffondere il più possibile il proprio patrimonio genetico». Completamente diversa la condizione della donna «che basa tutto su un'unica cellula uovo e dunque deve essere certa della propria scelta».

La nostra specie ha anche un'altra caratteristica del tutto unica, ha aggiunto Jannini, ed è l’ovulazione femminile “nascosta”: in tutte le altre specie le femmine emettono segnali visivi, olfattivi o canori per segnalare ai maschi la propria fecondità; tra gli uomini ciò non accade. Anche questo è frutto della selezione naturale e serve a evitare ciò che capita nel resto del mondo animale quando un maschio diventa dominante: mangia o uccide tutti i cuccioli non suoi per essere sicuro di imporre i propri geni. «Nella nostra specie questa strategia è stata sostituita dal controllo sociale: poiché la donna non lancia segnali evidenti quando è feconda, il maschio che intenda scongiurare la possibilità di allevare figli non propri può ricorrere al matrimonio, che dunque non è affatto una “catena”, ma una forma di tutela. Basti pensare che, nel mondo occidentale, una persona su dieci ha un DNA incompatibile con quello del presunto padre biologico. L'infedeltà femminile, insomma, esiste e alla base ha le stesse ragioni di quella maschile: la tendenza al continuo rimescolamento genetico. In pochi altri ambiti la natura ci prende in giro come in amore: non siamo stati programmati per essere sempre felici e retti, ma per lasciarci dietro quanti più figli possibile».

cervo E qui entra in gioco la “scienza della seduzione”, che studia anzitutto gli ornamenti di tipo sessuale: «Veri e propri cartelloni pubblicitari della bontà dei nostri geni», ha spiegato il professore. «Per lo più si tratta di handicap ai fini della pura sopravvivenza, caratteristiche cioè che apparentemente rendono meno efficiente chi li porta. Si pensi, ad esempio, ai palchi dei cervi, che possono ostacolare la fuga attraverso gli alberi della foresta, o alle penne del pavone, tanto lunghe da impedirgli persino di volare. Il segnale biologico sottostante a tali ornamenti è: scegli me perché, nonostante questo handicap fisico, ho geni tanto buoni da sopravvivere comunque». Gli ornamenti sessuali servono per competere o all'interno dello stesso genere (es. palco di corna dei cervi) o nei confronti dell'altro genere (es. coda del pavone).

Nell’uomo, ha proseguito Jannini, si può citare l'esempio del baculum, l'osso del pene presente in tutte le specie a supporto della riproduzione (sostiene l'erezione e, talvolta, è accompagnato anche da muscoli volontari). L’homo sapiens l’ha perso nel corso dell'evoluzione. «Pare un handicap», ha spiegato Jannini, «in realtà è un indicatore della salute maschile. Siccome gran parte delle malattie fisiche e psichiche agisce sull’efficienza erettile, la presenza dell'erezione è un'ottima manifestazione dello stato di salute dell'individuo. C'è, insomma, una perfetta identificazione tra un handicap (la perdita del baculum) e il vantaggio genetico (se c'è l'erezione, significa che un lungo elenco di malattie è assente e i geni sono particolarmente buoni)».

Ma lei cosa vuole da lui?

«Fondamentalmente la sessualità femminile è selettiva», ha affermato l’esperto. «L'uomo cioè tende a proporsi, mentre la donna tende a disporre delle proposte». Questo si spiega ancora una volta con la storia dell’evoluzione: la nostra specie ha conquistato la posizione eretta, ma il canale del parto (la dimensione del bacino) non si è evoluto di pari passo, «perciò le donne sono costrette a partorire figli immaturi, che necessitano di cure parentali estremamente lunghe. Dunque la donna deve scegliere il proprio partner in modo oculato». Ferrari Il maschio pertanto deve dimostrare anzitutto di essere fedele e affidabile. Come? Sfoggiando un surplus «in atto» (es. ricchezza, potere...) o un surplus «in potenza» (intelligenza, umorismo, coraggio, creatività artistica...). In entrambi i casi, ha spiegato Jannini, si tratta di ornamenti sessuali inutili dal punto di vista della sopravvivenza individuale. Uno studio condotto sugli annunci matrimoniali pubblicati nei quotidiani statunitensi ha appurato che il maschio tende a rappresentare se stesso proprio attraverso censo e intelligenza.

Riguardo all’aspetto fisico, la scelta delle donne è diversa nel corso della vita e nelle diverse epoche. In prossimità del parto, ad esempio, ricade su uomini con lineamenti di tipo più femminile (garanzia di stabilità, quiete e protezione), nei periodi di maggiore fecondità predilige caratteristiche più mascoline come la mascella pronunciata (indice di potenza, virilità e buon patrimonio genetico). Analogamente in passato, quando la donna dipendeva maggiormente dall’uomo dal punto di vista economico, le caratteristiche maschili più apprezzate erano legate alla forza e prestanza fisica, oggi sono più orientate alla bellezza e mitezza del carattere.

E lui cosa vuole da lei?

Monica Bellucci2 «Le femmine della nostra specie», ha chiarito Jannini, «raggiungono il massimo della fertilità attorno ai 20 anni e hanno un calo vertiginoso subito dopo i 30. Dunque i maschi della nostra specie, alla ricerca delle caratteristiche biologiche che garantiscono maggiormente la salute riproduttiva della femmina, tendono a prediligere le donne giovani e attraenti». Questo spiega perché la seduzione femminile punta soprattutto su bellezza e strategie anti-età. «L'uomo sia per una notte sia per la vita tende a scegliere soggetti che meglio rappresentano la buona salute riproduttiva femminile, e cioè: giovinezza e un rapporto ottimale tra la vita e i fianchi di 0,67-0,69 (corrispondente al famoso 90-60-90). I giurati di Miss America dagli anni Cinquanta a oggi hanno sempre scelto, seppure inconsciamente, questa proporzione, al di là delle variazioni che nel tempo si sono registrate nella misura del seno e nell’altezza».

Conclusioni

I meccanismi descritti dalla scienza indicano tendenze generali tipiche della specie, ma «la cultura e le nostre scelte personali», ha ammonito Jannini, «possono sempre modulare l’intensità degli schemi base maschili e femminili, e in circostanze particolari sovvertirli completamente. Senza contare che nessun comportamento è esclusivamente maschile o femminile, sebbene si riscontri in percentuale maggiore in un sesso piuttosto che nell’altro». Ma, soprattutto, «nulla di quanto scoperto fino a oggi può aiutare a prevedere né tanto meno a controllare il comportamento sessuale di una persona. Potrà tuttavia aiutare a comprendere meglio noi stessi e gli altri. Tanto per fare un esempio banale, un uomo che ha un’avventura pensa di cercare soddisfazione della propria vanità, non certo un figlio. Eppure è proprio la possibilità di avere un discendente ad avere “creato” la sua spinta a cercare quell’avventura».

uomo con passeggino Un’ultima considerazione riguarda il ruolo maschile, che sta cambiando e passa poco alla volta da Marte ad Apollo, dalla forza alla tenerezza, dal sesso alle coccole, dalla clava ai pannolini. Secondo Jannini è il frutto della “Viagra revolution”: «Proprio come l’introduzione della pillola anticoncezionale ha portato alla prima rivoluzione sessuale, liberando le donne dalla paura di gravidanze indesiderate e rendendole più sicure, così il Viagra ha affrancato gli uomini dall’ansia di prestazione e li ha resi più forti. Se svanisce il terrore di scollegamento tra desiderio ed erezione, l’uomo può smettere di guardarsi tra le gambe e cominciare ad affrontare una vera relazione con la partner». Così, secondo l’esperto, «il rapporto uomo-donna si sta modificando e porta progressivamente il maschio a non avere paura dei sentimenti e della tenerezza. Abbiamo ripetuto per trent’anni che il maschio è in fuga, ha paura, scappa, è il sesso debole, non regge il confronto con le donne… Non è più così». Anche i sondaggi paiono confermarlo: i maschi sono presenti nelle cure parentali come non mai dall’avvento della società patriarcale e ben otto italiani su dieci, di entrambi i sessi, sono d’accordo nel ritenere che «un uomo che cambia i pannolini al figlio non perde forza né virilità» (dati GPF, 2007).

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