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In un cerchio di DNA il segreto del nostro passato

Il nostro genoma è ricco di relitti storici, ma se vogliamo studiare reperti preistorici allora è meglio se ci affidiamo al DNA mitocondriale, un piccolo genoma circolare che ospitiamo nelle nostre cellule dalla notte dei tempi e che si tramanda dalle madri ai figli.

DNA mitocondriale Oltre al genoma organizzato nelle caratteristiche forme a X dei cromosomi, il DNA nucleare, nelle nostre cellule esiste una molecola di DNA circolare molto piccola chiamata DNA mitocondriale.

Se il genoma nucleare è composto da circa tre miliardi di paia di basi, quello mitocondriale non ne ha nemmeno diciassettemila. Se quello nucleare ha circa 25000 geni al suo interno, quello mitocondriale ne ha appena una sessantina.

Eppure è una molecola molto importante, che abbiamo ereditato dalle nostre madri e che se non funziona bene sono problemi: infatti, alcuni geni importanti per il funzionamento del muscolo si trovano proprio qui.

Ma non è importante solo perché essenziale al nostro funzionamento, ma anche perché è un punto di riferimento per le analisi genetiche in paleontologia.

mitocondrio Questo perché è una molecola molto piccola che non si danneggia facilmente come accade a quello genomico. Inoltre, le copie del genoma mitocondriale dentro la cellula possono essere anche diecimila, a differenza delle due del genoma umano. Questo perché la quantità di mitocondri, e quindi di DNA mitocondriale (ogni mitocondrio ha il suo anello di DNA) dipende dalle esigenze energetiche della cellula. Le sue caratteristiche così particolari si pensa che derivino da un processo avvenuto diversi milioni di anni fa chiamato endosimbiosi.

Quando sulla terra le uniche forme di vita erano organismi simili ai nostri batteri, iniziò un processo di specializzazione. A seconda dell'ambiente in cui si trovavano certi batteri sopravvivevano o morivano sulla base dei vantaggi o svantaggi evolutivi che avevano. In questo modo si sono sviluppati dei batteri in grado di usare la luce come fonte di energia, mentre altri hanno sviluppato la capacità di muoversi. Si ritiene che l'incontro di batteri con funzioni diversi abbia portato ad un processo di inglobazione, in cui un batterio è entrato a far parte dell'altro. In questo modo, per esempio, il batterio che aveva imparato a muoversi potrebbe aver inglobato quello in grado di usare la luce come fonte di energia, acquisendo questa nuova funzione. A questo punto, il batterio aveva un vantaggio sopra tutti gli altri perché poteva spostarsi per trovare la luce.

Si pensa che l'origine del mitocondrio possa essere stata simile: un batterio in grado di produrre energia inglobato da un altro che aveva altre caratteristiche. Con l'evoluzione il sistema si è affinato e i mitocondri potrebbero aver perso tutte le caratteristiche non necessarie all'interno della cellula, continuando però a fornire il proprio contributo in termini energetici, come una specie di affitto in cambio del quale ottenere dalla cellula alimenti, ospitalità e tutte le comodità che da solo non avrebbe potuto avere.

Cromosomi osservati al microscopio. Ovviamente, in tutti questi secoli, il DNA del batterio originale sarebbe rimasto, riducendosi anch'esso al minimo indispensabile, e diventando il DNA mitocondriale.

Il DNA mitocondriale che troviamo nelle nostre cellule è ereditato interamente da nostra madre: tecnicamente si dice che si tratta di una trasmissione matrilineare.

Questo perché gli spermatozoi non portano con sè molti mitocondri, forse perché sarebbero troppo ingombranti e loro hanno bisogno di muoversi agilmente per arrivare per primi al traguardo. I pochi che portano stanno attaccati alla coda, dove forniscono l'energia per il movimento. Ma durante la fecondazione la coda resta fuori, con tutti i mitocondri. Pertanto, gli unici ereditabili sono quelli presenti dentro l'uovo al momento della fecondazione.

Questa caratteristica è molto importante per i genetisti, infatti il genoma mitocondriale non va in contro come quello del genoma a ricombinazione (lo scambio di parti tra il genoma materno e quello paterno in seguito alla fecondazione), ma viene ereditato integralmente e senza modifiche sostanziali, se non piccole mutazioni che si accumulano fisiologicamente. Pertanto può essere utilizzato per costruire gli alberi genealogici: se il DNA mitocondriale di una persona è uguale a quello di un'altra, allora molto probabilmente sono parenti. Sul piano evolutivo, invece, si analizzano le somiglianze: con il passare dei secoli nel DNA mitocondriale si sono accumulate delle mutazioni che sono come delle tracce che ci permettono di ripercorrere la storia dell'umanità. Questo ragionamento ha portato ad ipotizzare che in passato sia esistita un'Eva mitocondriale, cioè una donna il cui DNA mitocondriale rappresenta l'origine comune di tutti quelli presenti negli uomini e nelle donne oggi viventi. Secondo i calcoli più recenti dovrebbe essere comparsa sulla terra circa 14000 anni fa in centro Africa. Ovviamente non si tratta dell'antenata da cui tutti deriviamo, ma una delle antenate, il cui DNA mitocondriale è arrivato a noi.

Altri studi effettuati sulle ossa fossili di Neanderthal hanno dimostrato una differenza molto elevata nel DNA mitocondriale rispetto a quello della nostra specie, a supporto della tesi che tra le due specie non ci sia stata commistione.

Gli studi evolutivi basati sul genoma utilizzano generalmente la tecnica dell'orologio molecolare. Durante l'evoluzione nei genomi si accumulano delle mutazioni con un tasso costante nel tempo sia per il DNA mitocondriale che per quello nucleare. Quindi, conoscendo la differenza genetica tra due genomi si calcola la differenza equivalente in anni: è sufficiente rapportare le differenze trovate nei genomi al ritmo di accumulo delle mutazioni.

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