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Galileo segreto

Galileo Galilei raccontato con la toponomastica

Tutte le città italiane hanno una via Garibaldi, ed è un’ottima cosa. Meno positivo invece è il fatto che non Galileo Galileialtrettanto onorato sia Galileo Galilei, il fondatore del metodo scientifico moderno e, con Newton e Einstein, uno dei più grandi scienziati di tutti i tempi. Fortunatamente però Torino di Galileo Galilei si è ricordata e gli ha dedicato il bel corso verdeggiante che fiancheggia la riva sinistra del Po dal Ponte Balbis, quello dell’Ospedale Molinette, al Ponte Isabella, che collega corso Dante a corso Moncalieri.

Ci piace sostenere che, con poco sforzo, si potrebbe approfittare della nostra toponomastica stradale per creare una specie di "science center" diffuso. Basterebbe una adatta segnaletica per renderci familiari quelle personalità scientifiche – come Lagrange, Ferraris,Plana, Beccaria – che hanno dato contributi grandi o piccoli alla nostra conoscenza della natura.

Nel caso di Galileo Galilei, tuttavia, il compito diventa difficile per la statura stessa del personaggio. Non sarebbe semplice sintetizzare le sue scoperte, dai satelliti di Giove alle fasi di Venere, dai crateri della Luna alle macchie solari, per non parlare della sua quarantennale battaglia a favore del sistema copernicano o dei fondamenti da lui dati alla meccanica e a molti altri ambiti della fisica.

I debiti che abbiamo con il grande pisano sono enormi: Galileo è stato un genio della modernità. C’è però anche un Galileo meno noto, un Galileo segreto che, come ogni uomo, ha le sue luci e le sue ombre. E non è meno interessante del Galileo grande scienziato. Per esempio, le «Lettere al padre» di Virginia Galilei pubblicate a cura di Bruno Basile (Salerno Ed., Roma) ci rivelano le miserie dell’uomo, come se lo spiassimo dal buco della serratura.

Corso Galileo Galilei - TorinoGalileo fu robusto amatore nonostante le sue febbri reumatiche e gli acciacchi che frequentemente lo affliggevano. A Padova si divideva tra la cattedra universitaria (un mobile imponente, quasi un pulpito, che ancora si può vedere a Palazzo della Ragione) e il talamo di Marina Gamba, dalla quale nell’anno 1600 ebbe Virginia, e poi Livia e infine Vincenzio. Spiace dover dire che considerò queste tre creature poco più che impicci, anche se nel 1619 legittimò il maschio. Virginia invece divenne la clarissa suor Maria Celeste nel 1616 e Livia suor Arcangela l’anno seguente.

Questi erano i crudi costumi dell’epoca, certo, e tuttavia spiace vederli praticati senza alcun imbarazzo da un genio della scienza. Uomo di successo, Galileo guadagnava molto, ma spendeva di più: oltre a finanziare la convivenza con Marina Gamba, dovette procurare la dote alle sorelle e soccorrere il fratello Michelangelo, liutista di valore ma povero in canna e con sette figli da mantenere. Tutto ciò spiega forse l’avidità di denaro dello scienziato ma non il suo comportamento: avuto un incarico meglio retribuito in Toscana, abbandona Marina (che va sposa a Giovanni Bartoluzzi, agente commerciale dei nobili Dolfin) e torna a casa dalla mamma, come usano fare i ragazzi italiani quarantenni quando divorziano. Da queste lettere si intuisce in lui anche grettezza, insensibilità, egoismo. Che suor Maria Celeste ricambia con un affetto devoto e inviandogli dolci cucinati con le sue mani e, una volta, persino una rosa. Fu lei a trovargli, a un passo dal convento, la villa «Il Gioiello» dove trascorse gli ultimi anni, sperimentando finalmente, anche lui, quella clausura che aveva inflitto alle figlie.

Libro Galileo GalileiE’ anche interessante notare che la vocazione astronomica di Galileo fu tardiva. Da bambino amava la meccanica: giocava costruendosi modellini di barche, mulini e argani. Poi studiò musica, disegno, lettere antiche e medicina. Solo a vent’anni si convertì alla matematica. Ma il gusto per la buona letteratura gli rimase. In veste di critico letterario scrisse un saggio in lode dell’«Orlando furioso» dell’Ariosto e un altro a denigrazione della «Gerusalemme liberata» del Tasso, nonché «Postille al Petrarca». Come poeta ci lasciò nove testi, che potete leggere nel volumetto «Rime», Salerno Editrice. Sono sei sonetti, due canzoni e un capitolo in terza rima intitolato «Contro il portar la toga».

All’epoca Galileo era già professore ma come spirito era ancora un goliardo. Nella toga accademica, che avrebbe dovuto indossare anche fuori delle aule per decreto del rettore dello Studio di Pisa (1590) vede solo controindicazioni. E’ un lusso pretenzioso che copre gli abiti sottostanti, miseri e laceri a causa della magra paga dei professori in una Università sempre più degradata (niente di nuovo sotto il Sole). Ma soprattutto la toga diventa imbarazzante quando si va a trovare qualche signorina di facili costumi e si deve attendere il proprio turno davanti alla sua porta, sotto l’occhio dei passanti.

Antonio Marzo, curatore delle «Rime» galileiane, fa notare come la canzone si ispiri allo stile burlesco del Berni e come vi abbondino i doppi sensi libertini. Un doppio senso si nasconde anche nella terzina «Lo stile dell’invenzione è molto vario, / ma per trovare il bene, io ho provato / che bisogna proceder pel contrario». Pare che l’allusione sia a rapporti contro natura, o meglio extra natura. Insomma, un Galileo a luci rosse. Ma io preferisco vederci un invito al pensiero divergente, al «pensiero laterale» teorizzato dallo psicologo Edward De Bono, a quel saper cambiare punto di vista per risolvere un problema che è tipico delle persone intelligenti ed è quindi anche il vero segreto delle grandi scoperte scientifiche. Se passate per corso Galileo Galilei a Torino, fateci su un pensierino.

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