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La ricerca tradita

Le amare riflessioni di un gruppo di scienziati italiani tra i più citati nella letteratura scientifica internazionale

«La ricerca tradita» (ed. Garzanti, 2007, pp. 250, 16.6 euro), a cura dell’astronomo Tommaso Maccacaro, è il frutto delle riflessioni di un manipolo di scienziati nelle più varie discipline (astrofisici, biologi, economisti, fisici, immunologi, matematici, medici), segnalati dall’Institute for scientific information (Isi) di Philadelphia come tra i più citati nella letteratura scientifica del loro campo di lavoro. Riuniti nel «Gruppo 2003», sono accomunati, oltre che dall’eccellenza scientifica, da una profonda preoccupazione per lo stato della ricerca in Italia: da quattro anni si battono per il suo rilancio, considerandola elemento essenziale del progresso intellettuale, materiale e civile del Paese. Nel 2003 il Gruppo ha stilato un «Manifesto» di cui «La ricerca tradita» rappresenta un’evoluzione e un approfondimento. Il volume non si rivolge solo agli “addetti ai lavori”, ma a tutti quelli che attribuiscono al miglioramento della qualità della ricerca un ruolo cruciale per far ripartire lo sviluppo del Paese.

La premessa è nelle tesi della nuova scuola di pensiero economico detta «endogenista», secondo la quale i fattori strutturali come l’istruzione sono elementi indispensabili per sostenere la crescita economica. Non basta lavorare più ore o investire in nuovi processi e prodotti: come spiega Guido Tabellini nel capitolo su «Ricerca e sviluppo economico», per crescere di più bisogna conoscere di più. Serve essere mediamente più istruiti. Ecco, quindi, che la quantità e la qualità dell’istruzione della forza lavoro di un Paese entrano di peso nella sua funzione di produzione. Stime econometriche compiute su un campione di 60 Paesi e su un periodo di 40 anni indicano l’esistenza di una correlazione positiva tra l’andamento della crescita pro-capite del Pil, il numero medio di anni di frequenza scolastica e la qualità dell’istruzione misurata attraverso i risultati di consolidati test internazionali, quali l’indagine «Pisa» dell’Ocse.

studente superiori A pagina 58 del Documento di programmazione economico finanziaria (Dpef) per gli anni 2008-2011 si ricorda come, nonostante i progressi degli anni recenti, la nostra condizione resti a di sotto della media europea, a partire dalla “quantità” di istruzione della forza lavoro. La quota dei giovani italiani tra i 18 e i 24 anni con al massimo un titolo di istruzione secondaria inferiore è pari al 20,6% contro il 15,1% della media Ue e un obiettivo di Lisbona del 10%. Riguardo alla “qualità” dell’istruzione, i risultati dei test dell’Ocse attestano che nel 2003 ben il 23,9% dei quindicenni italiani non andava oltre un livello minimo di competenze nella lettura. Ritardi ancora più pesanti si riscontrano nelle conoscenze matematiche. Eppure, come sottolinea Ernesto Carafoli nel capitolo dedicato alla «Valutazione meritrocratica», nel 2006 più del 97% dei maturandi ha superato l’esame e la percentuale è in aumento costante negli ultimi anni. «Non solo», scrive Carafoli: «ben il 10% dei promossi ha ottenuto il punteggio massimo, mentre solo il 10% ha superato l’esame con il minimo dei voti. Parrebbe proprio una fabbrica di geni questa scuola secondaria italiana», se i confronti internazionali non svelassero il contrario. «E allora?», si domanda il professore. «Non sarà per caso che le formule di valutazione che portano alle percentuali bulgare di promozione all’esame di maturità in Italia mancano completamente di serietà? E la scuola non è un corpo avulso dalla realtà italiana…».

Il discorso, secondo Carafoli, andrebbe esteso ulteriormente, guardando la barriera indistinta che separa il rifiuto della valutazione dai comportamenti che sconfinano nella disonestà. «Perché è chiaro che, se viene meno il concetto di valutazione meritocratica, un qualche strumento, oltre alla congenita “manica larga”, vi deve pure essere per consentire il funzionamento della società. Ed ecco l’istituto tipicamente italiano della raccomandazione. Il percorso di vita dell’italiano-tipo è basato sull’intercessione, sulla richiesta e sulla concessione di favori». La considerazione finale è che «in tema di valutazione meritocratica, per adeguare il sistema ricerca in Italia alla “normalità” dei Paesi con cui dobbiamo confrontarci, rimane ancora tutto da fare».

Il volume non risparmia critiche a nessuno: dalla scuola agli scienziati (ancora poco propensi alla comunicazione e talora supini al volere dei finanziatori privati), dai mass media all’industria privata (che dà solo un minimo contributo alla ricerca, demandando quasi completamente l’onere allo Stato). Ma, ovviamente, limitarsi a fotografare l’esistente e denunciare la situazione di grave dissesto del Paese non può bastare, così come non bastano i generici appelli al rilancio degli investimenti in R&S. Ciascun autore identifica precise linee-guida per invertire la rotta.

ricercatrice asiatica Tommaso Maccacaro spiega, ad esempio, che «il meccanismo concorsuale, una delle ragioni principali della chiusura del nostro sistema nei confronti del resto del mondo, non è riformabile e la dimostrazione risiede nel fatto che è stato oggetto per anni di continue modifiche con cui il legislatore inutilmente cercava di controllare il comportamento delle commissioni». Come uscirne? Abolendo del tutto i concorsi, «imbarazzo e vergogna del nostro sistema», e liberalizzando le assunzioni in senso anglosassone: «libera scelta con relativa acquisizione individuale di responsabilità, utilizzando valutazione e finanziamenti per esercitare quel giusto controllo che il legislatore non è riuscito a imporre con la normativa, e soprattutto per incentivare efficacemente l’assunzione di personale meritevole e disincentivare (più che cercare inutilmente di impedire) l’impiego di personale mediocre, aprendosi contestualmente al mercato internazionale». E aggiunge: «Se un programma per il rientro dei cervelli italiani all’estero è apprezzabile, ancora più lo sarebbe un programma che attirasse in Italia cervelli di qualsivoglia nazionalità. La presenza di ricercatori stranieri arricchisce il Paese che li ospita e favorisce la crescita scientifica di quello di provenienza, in una logica di apertura e di scambi che costituiscono l’essenza stessa della ricerca. Oggi il “primato” degli Usa nel settore scientifico e tecnologico sarebbe in discussione se non vi fosse il contributo di studiosi provenienti da tutto il resto del mondo».

Pier Mannuccio Mannucci e Franco Brezzi, nei rispettivi interventi, invocano maggiore sensibilità politica nei confronti del settore, mentre Silvio Garattini propone la creazione di un’Agenzia italiana per la ricerca scientifica che raggruppi in un’unica entità, affidata a un comitato scientificamente competente e svincolato dai condizionamenti politici, tutte le funzioni di valutazione dei progetti di ricerca e dei loro risultati, occupandosi anche di erogare le risorse, «attualmente disperse in troppi rivoli, spesso non interfacciati». E se Roberto Satolli chiede minori condizionamenti economici sui risultati della ricerca, Giuseppe Remuzzi e Brunangelo Falini confidano in una migliore comunicazione da parte degli scienziati. Ernesto Carafoli, infine, caldeggia l’introduzione della valutazione basata sul merito e sulla responsabilità individuale delle scelte a ogni livello.

«Se il fine è chiaro e c’è la buona volontà, i mezzi si trovano», conclude Brezzi. Troppo facile? «Chiedo scusa», riprende l’ironico professore. «Temo di aver usato l’indicativo per un periodo ipotetico del terzo tipo. Perdonatemi. Lo chiamavano l’”ottimismo della volontà”».

In copertina


Tommaso Maccacaro, a cura di
Garzanti
2007
250
978-88-11-74067-4

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