Recensioni

Il teorema del pappagallo

Un libraio-filosofo ottuagenario, una "burbera benefica" dal passato nebuloso, tre ragazzini, un tassista e un pappagallo. Un mistero amazonico e tanta, tanta matematica.

Il signor Pierre (πR) Ruche ha circa 80 anni, è costretto su una sedia a rotelle ed è un vero appassionato di libri. Possiede una piccola libreria molto invitante nel quartiere di Montmartre, a Parigi. Intorno a lui vive una famiglia “adottiva”, colorata e giovane. Perrette, impiegata nella libreria, ha tre figli: Jonathan, Lea e il piccolo Max, figlio adottivo e audioleso. A completare il gruppo un tassista, Albert, che in quanto a viaggiare senza mai muoversi dalla città in cui è nato è secondo solo a Salgari. E infine, naturalmente, c’è il pappagallo del titolo. Nome: Nofutur. Inquietante. Nofutur è stato salvato per caso da Max, che lo ha sottratto dalle grinfie di un paio di loschi figuri, alquanto imbranati, che lo volevano catturare senza troppi complimenti.

Il teorema del pappagallo si dipana come una vera e propria detective-story matematica in una Parigi che ricorda da vicino quella descritta nelle avventure della famiglia Malaussene da Daniel Pennac. A turbare l’equilibrio della famiglia, giungono infatti una serie di lettere di Elgare Grosrouve un antico amico del signor Ruche.

L’amico matematico, perso di vista molti anni prima, annuncia al signor Ruche che gli ha inviato la sua intera biblioteca di libri di matematica, preziosi e antichi, certo che l’amico né li venderà né li leggerà, preservandoli dall’usura. Gosrouve racconta di essersi rifugiato nella foresta amazzonica, a Manaus in Brasile e, dopo una vita avventurosa, “ in questa atmosfera in cui la carne si corrompe, in cui i corpi si disfano per l’umidità (…) mi sono aggrappato a essere immateriali, a entità ideali che né il caldo soffocante né l’umidità potevano corrompere (…). All’esuberanza informe ho voluto contrapporre il rigore controllato.”

E che cosa c’è di più cristallino delle congetture che da secoli non hanno mai ceduto? A quelle si dedica Grosrouve. E dopo anni di studio, annuncia, “hanno ceduto! La più antica e celebre di tutte, la capostipite, la congettura di Fermat e la congettura di Goldbach. Tutt’e due (…)!”

Ma a questo punto il matematico è minacciato da loschi figuri che gli hanno già offerto cospicue somme di denaro per cedere loro le dimostrazioni: “Nel caso in cui mi succeda qualche cosa di male (…) le ho trasmesse oralmente a un fedele compagno che saprà custodirne il ricordo.”

Questa è una delle affermazioni più inaudite che si possano leggere in una detective-story, per quanto matematica sia. Cade a pagina 102, appena un quinto dell’intero volume. Il titolo del libro è Il teorema del pappagallo. Chi sarà mai il fedele compagno a cui sono state trasmesse oralmente le dimostrazioni? Giunti a questo punto del romanzo, la tentazione di saltare le 380 pagine successive e approdare direttamente a 20 pagine dalla fine è forte! In realtà, se si finge di non capire, la storia riesce ad andare avanti. Certo che occorre fare un certo sforzo per sentirsi motivati nella lettura!

Tanto più che nel tentativo di capire il mistero dell’amico e di salvarne il significato della vita, i protagonisti si buttano in un delirante studio di millenni di matematica, utilizzando la quanto mai opportuna biblioteca di Grosrouve. Francamente il progetto appare piuttosto poco credibile… (per non dire di peggio) e che la storia sia soltanto l’occasione per raccontare, sia pure in modo molto simpatico, leggero e avvincente, millenni di matematica, finisce per irritare. Il signor Ruce convince i tre “nipoti” ad ascoltare attentamente, perché è dalla conoscenza e solo da essa che possono arrivare buone idee.

In definitiva, l’opera non appare del tutto riuscita nella soluzione narrativa, mentre molte delle divagazioni matematiche – in realtà il motore stesso dell’intero racconto – sono splendide. Interessanti non solo perché raccontano il lato umano delle scoperte e dei progressi nel settore della matematica, ma anche perché solitamente condotte con un linguaggio semplice ma non banale, attraverso l’utilizzo di disegni e schemi che presuppongono nel lettore un minimo di predisposizione verso la materia. O comunque l’assenza di un blocco cognitivo di fronte a questa tanto temuta disciplina.

Denis Guedj vive a Parigi, ma è nato a Sétif in Algeria. Si è trasferito nel 1957 a Parigi, dove ha studiato matematica. Oggi è scrittore e insegnante, ed è attivo nel campo del cinema e del teatro.

Per confronto si vedano anche le recensioni de Le ostinazioni di un matematico e Zio Petros e la congettura di Goldbach.

In copertina


Denis Guedj
TEA
2003
562
88-502-0475-2

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