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Robert Oppenheimer, il padre della bomba atomica

A quarant'anni dalla morte del grande fisico, una magistrale biografia, vincitrice del Premio Pulitzer 2006, ricostruisce la storia e il dramma di un grande uomo

«Prometeo donò il fuoco agli uomini di nascosto da Zeus. Quando lo venne a sapere, Zeus ordinò a Efesto di inchiodare il corpo di Prometeo sul Caucaso, che è un monte della Scizia. Per molti anni Prometeo rimase inchiodato al monte e ogni giorno un’aquila volava a divorargli i lobi del fegato, che ricrescevano durante la notte». Inizia così, con le parole di Apollodoro d’Atene, scritte nel II secolo a.C., la magistrale biografia su Robert Oppenheimer scritta da Kai Bird e Martin J. Sherwin e premiata con il Pulitzer nel 2006. Un lavoro di ricerca colossale, durato oltre 25 anni, basato su centinaia di registrazioni e lettere conservati in archivi storici di tutto il mondo, su circa 10 mila pagine di documenti dell’Fbi e oltre cento interviste ad amici, parenti e colleghi. Ci si può fare un’idea della mole del materiale consultato scorrendo le note e la bibliografia al fondo del volume: occupano oltre cento pagine. Il risultato è un racconto avvincente, estremamente dettagliato, redatto «nella convinzione che il comportamento pubblico e politico di un individuo siano guidati anzitutto dalle sue esperienze private nell’arco dell’intera vita».

fungo atomico Robert Oppenheimer è stato uno dei maggiori scienziati di tutti i tempi, un autentico genio della fisica. È stato anche un ottimo manager e organizzatore: è merito suo se il Progetto Manhattan riuscì in tempi brevissimi a produrre la prima bomba atomica, frutto di un gigantesco sforzo collettivo che il grande fisico riuscì a coordinare con successo. Purtroppo quel trionfo segnò anche l’inizio di una tragedia personale che insegna quanto sia complesso il mondo in cui viviamo. Dinanzi agli effetti devastanti di Hiroshima e Nagasaki, Oppenheimer iniziò una riflessione sul rapporto tra tecnica e politica che lo indusse a opporsi alla realizzazione della bomba all’idrogeno.

«Per strana coincidenza», scrivono Bird e Sherwin, «a partire dai bombardamenti atomici in Giappone, Oppenheimer aveva lasciato crescere in sé la vaga premonizione che qualcosa di oscuro e infausto lo aspettasse. Alcuni anni prima, alla fine degli anni Quaranta, proprio nel momento in cui in America aveva raggiunto lo status di vera icona, sia come lo scienziato più rispettato e ammirato sia come il consigliere politico più noto della sua generazione, Oppenheimer aveva letto il breve racconto di Henry James “La bestia nella giungla”. Quella storia di ossessione e tormentato egocentrismo (…) lo aveva fortemente impressionato. Mentre nell’America del dopoguerra cresceva la marea dell’anticomunismo, Oppenheimer si era accorto che “la bestia nella giungla” lo seguiva sempre più da vicino…».

Il «padre della bomba atomica», che come un novello Prometeo aveva guidato gli sforzi per «strappare alla natura il potere del Sole e offrirlo al suo Paese in tempo di guerra», in seguito aveva osato parlare dei pericoli potenziali; poi, «vicino alla disperazione e fortemente critico sulle proposte di guerra nucleare che venivano fatte dall’Esercito», aveva affermato: «Cosa dobbiamo fare di una civiltà che ha sempre considerato l’etica come un aspetto essenziale della vita umana, ma che non è stata in grado di parlare della prospettiva di uccidere quasi ogni uomo se non in termini prudenziali o di teoria dei giochi?».

Oppenheimer moriva esattamente quarant’anni fa, il 18 febbraio 1967, ad appena 62 anni, sfigurato da un cancro alla gola. La sua storia, commentano Bird e Sherwin, «ci ricorda che anche l’identità del popolo americano resta intimamente connessa con la cultura del nucleare». E.L. Doctorow ha osservato: «Abbiamo avuto la bomba per la testa a partire dal 1945; prima è stata la nostra arma, poi la nostra diplomazia e adesso è la nostra economia. Come potremmo supporre che qualcosa di così mostruosamente potente non faccia parte, dopo quarant’anni, della nostra identità? Il grande Golem che abbiamo costruito contro i nostri nemici è la nostra cultura».

twin towers in fiamme Oppenheimer tentò coraggiosamente di allontanare l’America da quella cultura, cercando di contenere la minaccia nucleare che aveva contribuito a liberare. Il suo sforzo più lodevole fu un piano per il controllo internazionale dell’energia atomica, tuttavia la Guerra fredda fece fallire il progetto e gli Usa, assieme a molti altri Paesi, abbracciarono la bomba per il mezzo secolo successivo. Quando crollò l’Urss, il pericolo dell’annientamento nucleare sembrò scongiurato, ma per ironia del destino, la minaccia di un conflitto atomico e del terrorismo nucleare è probabilmente più imminente nel XXI secolo di quanto non lo sia mai stata prima. «Dopo l’11 settembre 2001», scrivono ancora i due biografi, «vale la pena ricordare che, all’alba dell’era nucleare, il padre della bomba atomica ci avvertì che era un’arma per il terrore indiscriminato, che avrebbe immediatamente reso l’America più vulnerabile ad attacchi arbitrari».

Gli avvertimenti di Oppenheimer furono ignorati, e alla fine fu azzittito. «Come Prometeo, il dio greco ribelle che rubò il fuoco a Zeus e lo diede all’umanità, Oppenheimer rese disponibile il fuoco atomico. Ma poi, quando provò a controllarlo, quando cercò di avvertire dei suoi terribili pericoli, i potenti (come Zeus) si sollevarono con rabbia per punirlo». Dal cuore oscuro del “Secolo breve” «Robert Oppenheimer, il padre della bomba atomica» getta una luce inquietante sulla nostra attualità.

In copertina


Kai Bird e Martin J. Sherwin
Collezione storica Garzanti
2007
853
978-88-11-74019-3

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