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Energy security and climate change (in inglese)

Il punto di vista della Commissione Trilaterale sui cambiamenti climatici e l'emergenza energetica

Le riunioni internazionali sui cambiamenti climatici sono ormai all’ordine del giorno. Ma al di là degli allarmi e delle smentite da parte dei più autorevoli scienziati, al di là delle promesse e delle minacce da parte dei governi, come la pensano coloro che di fatto gestiscono gli impianti energetici o le multinazionali della produzione, e che in genere non attendono ordini “dall’alto”, semmai li impongono? Una buona fonte di informazioni al riguardo è il Rapporto «Energy, security and climate change» pubblicato di recente dalla Commissione Trilaterale.

La Trilaterale, fondata nel 1973 per iniziativa di David Rockefeller (presidente della Chase Manatthan Bank) e di altri dirigenti del gruppo Bilderberg e dello statunitense Council on foreign relations (tra cui Henry Kissinger e Zbigniew Brzezinski), conta come membri 360 influenti privati cittadini (uomini d’affari, intellettuali, consulenti governativi) dall’Europa (150 soci), dall’Asia (120) e dal Nord America (110), con l’obiettivo dichiarato di promuovere una cooperazione più stretta tra queste tre aree (di qui il nome «trilaterale»). L’attività dell’associazione è scandita da riunioni plenarie, da gruppi di studio condotti dai responsabili delle varie zone, da Rapporti che, di volta in volta, palesano il pensiero dell’organizzazione su questioni di particolare rilevanza. La sede italiana è a Torino.

Il 61° Report, dedicato, come s’è detto, ai cambiamenti climatici e alla questione energetica, è stato pubblicato alla vigilia della riunione del G8 in Germania (giugno 2007), con l’obiettivo dichiarato di «trovare un’alta collocazione nell’agenda del summit». L’autore principale, portavoce nordamericano, è John Deutch, professore al Massachusetts institute of technology (Mit), ex direttore della Cia nonché consulente del Dipartimento dell’Energia e di quello della Difesa. L’autrice europea, Anne Lauvergeon, è a capo di una delle più importanti compagnie internazionali nel campo dell’energia nucleare (Areva Group) ed è membro dei consigli di amministrazione di Suez, Total, Safran, Vodafone. Il saggista asiatico, Widhyawan Prawiraatmadja, è direttore della compagnia petrolifera di Stato indonesiana PT Pertamina (Persero) e ha partecipato a gruppi di studio su problemi riguardanti Cina, Emirati Arabi, Australia, Iran, India e altri ancora.

centrale nucleare «Il termine “sicurezza energetica”», spiega Deutch, «si riferisce al rapporto esistente tra il mercato energetico di un Paese e la sua politica interna ed estera». E cita un esempio tra tutti: «Gli sforzi per evitare che il programma nucleare dell’Iran porti allo sviluppo di armi distruttive, uniti all’influenza che le esportazioni iraniane di petrolio esercitano sui prezzi globali e al potere dell’Iran nel sobillare o spegnere la violenza civile in Iraq e in ogni altra zona del Medio Oriente, mostrano chiaramente la difficoltà e la complessità delle politiche connesse alla sicurezza energetica».

Secondo Deutch ci sono quattro punti-chiave legati alla sicurezza energetica (dipendenza dalle importazioni di gas e petrolio, vulnerabilità delle infrastrutture energetiche, surriscaldamento globale, sviluppo dell’energia nucleare) per i quali i Paesi della Trilaterale non hanno ancora preso gli auspicati provvedimenti correttivi. Perché? Anzitutto «perché spesso si tratta di interventi di lungo periodo, che dunque non hanno ritorni immediati» (soprattutto in termini politico-elettorali), inoltre «richiedono la soddisfazione simultanea (e perciò impossibile) di tre esigenze dell’opinione pubblica: energia a basso costo, che consenta un alto tenore di vita; tutela dell’ambiente; indipendenza dalle importazioni estere».

Riguardo alla crescente dipendenza dei Paesi della Trilaterale da petrolio e gas esteri «la preoccupazione principale è che il controllo delle forniture e dei prezzi da parte di Paesi esportatori (anzitutto Opec) possa essere usato come strumento di pressione politica, per esempio, nella questione israelo-palestinese». Spiega ancora Deutch: «Il commercio di petrolio trasferisce grandi ricchezze ai Paesi produttori come l’Iran, che non condividono i valori o gli interessi della Trilaterale, e i petroldollari possono essere usati per sostenere le organizzazioni terroristiche o gli sforzi per acquisire armi di distruzione di massa». A tutto ciò occorre aggiungere che la proprietà dei più grandi giacimenti è passata dalle mani di imprese internazionali a compagnie “di bandiera”: «Negli anni Settanta le prime controllavano l’80% delle riserve e della produzione, le seconde solo il 20%. Oggi la proporzione è praticamente invertita». La conseguenza è che le transazioni non obbediscono più a criteri esclusivamente commerciali, ma comprendono spesso accordi tra Stati «che implicano concessioni politiche ed extra-mercato». Basti pensare, scrive l’esperto, agli accordi della Cina con il Sudan: «Il Paese asiatico importa circa il 10% del proprio fabbisogno di petrolio dal Sudan; al contempo pare che la Cina sia il maggior fornitore di armi dello Stato africano».

Come reagire? Ogni risposta da parte dei Paesi della Trilaterale, secondo Deutch, deve tener presenti tre dati di fatto: 1) è finita l’era del petrolio a basso costo: nel tempo il prezzo è destinato a salire; 2) i Paesi della Trilaterale e gli altri grandi importatori di petrolio, come Cina e India, rimarranno dipendenti dalle forniture del Golfo Persico ancora per alcuni decenni; 3) occorre iniziare a uscire dall’economia del petrolio: è un problema di lungo termine che esclude qualsiasi scorciatoia, per cui «gli investimenti vanni fatti oggi, se vogliamo avere qualche chance nel futuro». Date queste premesse, è possibile gestire (e «non eliminare del tutto») la dipendenza dalle importazioni di energia dall’estero adottando quattro strategie di politica estera: 1) estendere l’Agenzia internazionale per l’energia (Iea) ai Paesi emergenti; 2) adottare, attraverso la stessa Iea, politiche comuni che assicurino le scorte nazionali e affrontino in modo adeguato gli shock dei prezzi («occorre, in particolare, evitare interventi statali e lasciare che i valori seguano il mercato»); 3) incrementare la produzione di petrolio e gas in tutto il mondo; 4) sostenere governi stabili in Africa occidentale e in Sudamerica. Sul fronte interno occorre invece: mantenere alto il prezzo delle fonti fossili («perché ciò stimola l’efficienza e il ricorso a fonti rinnovabili, scoraggia la domanda e promuove l’innovazione»); finanziare la ricerca e lo sviluppo di nuovi combustibili liquidi o loro sostituti; promuovere la collaborazione internazionale nel settore dell’innovazione.

gasdotto Riguardo alla sicurezza delle infrastrutture energetiche, i pericoli sono crescenti a causa dell’impiego allargato delle fonti di energia, che impone reti distributive sempre più estese (es. gasdotti, trasporti via mare…) e dunque maggiormente esposte a disastri naturali, errori tecnici e attacchi terroristici. Non potendo eliminare del tutto i rischi, occorre, in generale, potenziare gli apparati di sicurezza e sfruttare in modo prudente la protezione delle forze armate («al di là dello sciagurato caso iracheno, per decenni i militari di stanza nel Golfo e in altri luoghi strategici hanno garantito la stabilità delle forniture ai Paesi della Trilaterale»).

Infine, a proposito del global warming, «sebbene non tutti ne convengano, la comunità scientifica internazionale è concorde nel ritenere che le conseguenze del riscaldamento globale potranno essere molto serie se le emissioni di gas serra prodotte dalle attività umane non saranno ridotte». Uno studio condotto al Mit ha dimostrato che è possibile stabilizzare le emissioni di anidride carbonica entro metà del secolo: «La riduzione», spiega Deutch, «avverrà perché l’economia globale reagirà ai costi crescenti delle emissioni di CO2 in tre modi: riducendo significativamente il consumo di energia grazie all’introduzione di strumenti più efficienti; ricorrendo a fonti energetiche alternative con minori emissioni climalteranti; adottando nuove tecnologie che non usano combustibili fossili». Non meno importante lo studio di sistemi per il sequestro delle emissioni di anidride carbonica: secondo l’esperto i tre progetti in corso (in Norvegia, Canada e Algeria) non soddisfano i requisiti necessari alla reale soluzione del problema ed è indispensabile avviarne immediatamente altri 5 o 6.

ciminiere inquinanti Altrettanto decisa la presa di posizione riguardo al Protocollo di Kyoto: per raggiungere qualsiasi risultato significativo sarà indispensabile che gli Usa (attualmente i maggiori produttori mondiali di gas serra) partecipino attivamente. «Dal mio punto di vista», scrive Deutch, «il pericolo politico più grande negli Stati Uniti è continuare a sostenere la posizione dell’attuale amministrazione, secondo la quale il surriscaldamento globale non richiede azioni collettive». Per compiere progressi su questo fronte è dunque indispensabile: 1) che gli Usa adottino una politica per il controllo delle emissioni; 2) che i Paesi industrializzati e le economie emergenti sottoscrivano un nuovo programma quadro per ridistribuire i costi delle emissioni; 3) sviluppare al più presto un sistema efficace per il sequestro di CO2, promuovendo 5-6 nuovi piani di studio; 4) promuovere l’uso dell’energia nucleare.

A proposito del nucleare, attorno a cui si concentra anche l’analisi della Lauvergeon, è essenziale giungere a tecnologie più sicure ed efficienti, sia nei processi di arricchimento dell’uranio che nel trattamento delle scorie radioattive. Ma è altrettanto importante scongiurare la proliferazione di armi nucleari e, dunque, scoraggiare l’eccessiva diffusione di metodi per il potenziamento dell’uranio: i Paesi della Trilaterale che attualmente sono in grado di produrre uranio arricchito devono assicurarne la fornitura agli Stati che non ne sono capaci e impegnarsi al successivo smaltimento delle scorie; garante sarà l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Iaea). «Questa sarebbe una buona soluzione», commenta Deutch, «ma non è facile da attuare, come dimostrano i casi recenti dell’Iran, del Brasile e dell’India».

Per la Lauvergeon è essenziale consolidare «la leadership europea sul piano tecnologico e industriale» (attualmente il 35% del fabbisogno Ue di elettricità è coperto dall’energia nucleare), soprattutto attraverso l’attiva partecipazione a programmi internazionali di ricerca e sviluppo dedicati ai reattori di quarta generazione».

fabbrica cinese Un ultimo cenno va alla situazione dell’Asia e del Pacifico: «La differenza tra i vari Paesi», scrive Prawiraatmadja, «è più grande che in qualsiasi altra regione del mondo, dal momento che queste nazioni presentano miriadi di soluzioni diverse sul fronte economico, politico, demografico, culturale e geografico». Ciò che più le accomuna è la «pesante dipendenza dalle forniture estere di energia». Dal 2002 l’Asia e il Pacifico hanno sorpassato il Nordamerica nei consumi energetici e ora sono i principali assorbitori a livello globale. La dipendenza dalle importazioni di petrolio dal Medio Oriente è destinata non solo ad aumentare ma a durare nel tempo, anche perché il ricorso ad altre fonti come il gas (di cui l’Asia è particolarmente ricca in alcune zone remote) è ostacolato dall’assenza di adeguate infrastrutture per il trasferimento e l’impiego finale.

Secondo l’esperto una certa sicurezza per la regione potrà derivare dalla creazione di scorte strategiche di petrolio, come hanno già fatto, ad esempio, Giappone, Corea del Sud, Taiwan e Singapore. Altrettanto importante sarà incoraggiare scambi e intrecci economici tra i Paesi asiatici e quelli mediorientali, «anche se ciò comporterà cambiamenti considerevoli nei rapporti con i governi occidentali, in particolare con gli Stati Uniti».

I tre esperti della Trilaterale concordano nel ritenere che un intervento tempestivo su queste tematiche avrà costi enormi ma comunque inferiori rispetto a soluzioni adottate d’urgenza, quando la situazione sia diventata irrecuperabile e dalle conseguenze davvero catastrofiche.

In copertina


John Deutch, Anne Lauvergeon, Widhyawan Prawiraatmadja
The Trilateral Commission
2007
92
978-0-930503-90-1

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