La Klotzko introduce l’argomento analizzando la fascinazione e l’inquietudine che una scienza capace di riprodurre la vita esercita sull’uomo, riflettendo sul ruolo giocato dalla letteratura e dal cinema nella genesi del mito negativo del clone e dello scienziato che viola le regole della vita. A partire dall’interrogativo che l’uomo comune si pone sulla liceità della clonazione, l’autrice ripercorre le tappe più importanti della storia di questa pratica, soffermandosi sul caso Dolly e sulle applicazioni della clonazione in ambito animale, e riflettendo sul rapporto tra vantaggi e svantaggi generati dal suo impiego.
Nella seconda metà del libro, la Klotzko affronta il controverso argomento delle cellule staminali e l’interrogativo cui cerca di rispondere è se sia possibile e moralmente accettabile usare a scopo terapeutico queste cellule teoricamente capaci di generare un nuovo individuo. Il rischio è di intraprendere la “china scivolosa” verso l’impiego delle staminali per scopi riproduttivi, cioè per creare copie, ovvero cloni, di persone esistenti o esistite.
Nonostante la mole d’informazioni, o forse proprio per questo, la Klotzko non fornisce una risposta chiara, e lascia il lettore incerto sul futuro della clonazione e sul giudizio morale da attribuirle.