È una di quelle storie che, se non fosse vera, sembrerebbe banale come una leggenda metropolitana: che cosa mai poteva capitare al cervello di Albert Einstein, dopo la morte del suo legittimo proprietario? La cosa più scontata: essere rubato. Magari da qualche scienziato un po’ svitato che ne voleva studiare le caratteristiche. Ebbene, per quanto sconfortante sia, è davvero ciò che è accaduto: la mattina del 18 aprile 1955, poche ore dopo la morte di Einstein, all’ospedale di Princeton “
Ora provate a mettervi nei panni del dottor Harvey: siete preparati a una giornata piuttosto routinaria e di colpo vi trovate costretto a sostituire un collega per un’autopsia. Niente di sorprendente, certo, ma solo fino a quando non scoprite che il cadavere a cui siete di fronte non è certo quello di un uomo qualsiasi. Steso sul lettino di fronte a voi c’è il corpo solitario e freddo di Albert Einstein.
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È un fatto storico che Harvey abbia rimosso la calotta cranica di Einstein, reciso i vasi sanguigni, i nervi, la spina dorsale ed estratto, alla fine, il cervello del più celebre (e forse grande) scienziato del ‘900. Nelle ore successive si scatena il finimondo: il gesto di Harvey non era stato previsto né organizzato dalla comunità scientifica, ma il patologo prende ancora una volta tutti in controtempo, indicendo una conferenza stampa in cui annuncia che il cervello di Einstein sarà analizzato a fini scientifici, per cercare di comprendere se esista uno spiegazione fisiologica alla stupefacente intelligenza dello scienziato.
Fin qui gli eventi di quel lontano ’55, da cui prende l’avvio di
Parrebbe, tutto sommato uno spunto esile e quasi pruriginoso: nel corso degli anni sono molti i cervelli o le parti del corpo asportate a personaggi illustri per comprenderne le caratteristiche o individuarne le peculiarità ma anche per culto feticista: ne sono un esempio i cuori dei poeti inglesi Shelley, Byron, Hardy; i cervelli di John Dillinger e di J.F. Kennedy; le teste Haydn e di Pancho Villa. Per non dire del pene di Napoleone, delle mummie di Lenin, Mao e Ho Chi-minh, e delle migliaia e migliaia di brandelli di santi che sono racchiusi nelle nostre chiese.
Com’era prevedibile, anche per il cervello di Einstein nessuno ha mai raggiunto conclusioni soddisfacenti. Il possessore illegittimo del suo cervello –mai perseguito a termini di legge, soprattutto per la mancanza di una legislazione al riguardo – non ha avuto una vita semplice, né dal punto di vista professionale né personale.
Licenziato per il furto del cervello, più volte eclissatosi, è ricomparso a decenni di distanza sulla scena pubblica, quasi senza pubblicazioni di rilievo, sempre dichiarando che le analisi sarebbero terminate di lì a un poco. Salvo scomparire ancora, fin quando – 84 enne – decide di consegnare il cervello di Einstein a Elliot Krauss, suo successero al Princeton Hospital. Per farlo intraprende un lungo viaggio attraverso gli Stati Uniti, con uno schaffeur d’eccezione: Michael Paterniti. E non per caso: il giornalista lo aveva cercato per mesi per approfondire la sua conoscenza dello strano destino del cervello di Einstein, trovando il patologo e riperdendolo un paio di volte. Fin quando Harvey accetta di parlargli e gli propone di accompagnare lui e il cervello, ridotto a una specie di spezzatino e tenuto sotto formaldeide in un contenitore poco meno che casuale, in un lungo giro scientifico, in cui avrebbe mostrato il cervello di Einstein a illustri studiosi.
La narrazione procede veloce e leggera, intrecciando elementi di biografia di Einstein, racconti di viaggio e di personaggi, riflessioni sulla realtà americana di oggi. Ne risulta un’opera interessante e surreale, nella quale la realtà “normale” viene distorta non appena si ricorda che le persone che la vivono hanno a disposizione non solo i loro cervelli per interpretare il mondo, ma anche quello di Einstein. Viaggiare in compagnia del cervello di Einstein, insomma, dona all’autore un punto di vista privilegiato e originale della realtà americana e delle sue contraddizioni. E le contraddizioni del furto di Harvey? “
Furto oppure operazione di salvataggio? Ne riparliamo fra trent’anni.