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Notizia del 09/12/2002

Trovate due mutazioni sul gene dell'epcidina che portano a una grave forma di emocromatosi giovanile

Nel laboratorio della Professoressa Clara Camaschella presso l'Azienda Ospedaliera S. Luigi di Orbassano, la dottoressa Antonella Roetto ha identificato la causa genetica di una grave forma di emocromatosi ereditaria giovanile.

L'emocromatosi e' una patologia ereditaria molto severa e piuttosto frequente in paesi come l'Italia.

Chi e' affetto da questa malattia possiede un'aumentata capacita' di assorbire il ferro dalla dieta, questo si accumula nell'organismo dove ha un potente effetto tossico e porta allo sviluppo di cirrosi epatica, cardiomiopatia, artrite e varie alterazioni del sistema endocrino con conseguente sbilanciamento ormonale.

Antonella Roetto La dottoressa Roetto, autrice di questa scoperta di portata mondiale, ha cominciato la propria esperienza professionale presso l'ospedale Molinette di Torino, nel dipartimento di Scienze Biomediche ed Oncologia Umana dove si è occupata dello studio e della diagnosi delle emoglobinopatie ed ha iniziato ad occuparsi delle malattie genetiche del metabolismo del ferro, dette emocromatosi.

Dapprima si e' interessata soprattutto alla localizzazione cromosomica del gene HFE, responsabile della piu' comune forma di emocromatosi ereditaria (emocromatosi di tipo 1), mappando fisicamente la regione del cromosoma 6 in cui il gene è localizzato.

In seguito all'identificazione del gene HFE, da parte di una company americana, lo studio della dottoressa è proseguito con l'analisi della frequenza delle mutazioni responsabili della malattia nella popolazione italiana.

Dallo studio delle mutazioni sul gene HFE nei soggetti affetti da emocromatosi in Italia, e' venuta alla luce, la presenza di una percentuale significativa di pazienti che non presentano mutazioni sul gene HFE.

Questo dato ha evidenziato che l'emocromatosi ereditaria è in realtà una malattia geneticamente eterogenea, cioè che geni diversi possono dare origine a questa patologia.

Per questa ragione, presso il dipartimento di Scienze Cliniche e Biologiche dell'Azienda Ospedaliera S. Luigi di Orbassano, dove attualmente lavora, la dottoressa Roetto ha iniziato a studiare le diverse forme di emocromatosi, in particolare una forma rara e non correlata al gene HFE chiamata emocromatosi giovanile in quanto si manifesta in soggetti giovani e può portare, se non diagnosticata e curata in tempo, a morte entro i 30 anni d'eta'.

Al momento, oltre alla forma piu' comune di emocromatosi che dipende dalle mutazioni del gene HFE, sono infatti note altre tre forme di questa patologia: l'emocromatosi di tipo 3 (correlata al gene del recettore per la transferrina 2 (che se mutato provoca un eccessivo immagazzinamento del ferro all'interno delle cellule), l'emocromatosi di tipo 4 (causata dalle mutazioni sul gene della ferroportina, un trasportatore transmembranario del ferro) ed infine la già citata emocromatosi di tipo 2 o emocromatosi ereditaria giovanile, che, sebbene sia rara, è caratterizzata da un andamento decisamente più drammatico rispetto alle altre forme.

Benchè nel 1998 la dottoressa Roetto fosse riuscita a dimostrare che la presenza di emocromatosi di tipo 2 e' associata nella maggior parte dei casi a marcatori presenti sul DNA del cromosoma 1, la patologia sino ad ora non era mai stata correlata a mutazioni o a geni specifici.

Recentemente si e' notato che alcuni modelli animali, che presentano aumentati livelli di ferro circolante (modelli usati quindi per lo studio dell'emocromatosi), possiedono un'alterata espressione dell'epcidina, un peptide composto da 84 aminoacidi simile ai peptidi con funzione antimicrobica.

Viceversa si e' visto che un modello murino caratterizzato da iperespressione dell'epcidina presentava una grave carenza di ferro o anemia.

Questi dati sperimentali hanno fatto ipotizzare che l'epcidina sia in grado di inibire l'assorbimento intestinale di ferro.

Questo peptide viene prodotto in una forma inattiva (pro-peptide) che diviene funzionante solo in seguito al taglio operato da specifici enzimi in modo da formare tre differenti peptidi più piccoli di rispettivamente 20, 22 e 25 aminoacidi.

Nell'uomo, il frammento di 25 aminoacidi e' stato isolato nel sangue e nelle urine ed e' prevalentemente espresso a livello epatico.

Per queste caratteristiche, l'epcidina si presentava come uno dei possibili responsabili dell'emocromatosi giovanile, ma nessuno prima d'ora era mai riuscito a trovare mutazioni sul suo DNA che risultassero nello sviluppo della patologia.

Il lavoro della dottoressa Roetto, svolto in collaborazione con il dottor George Papanikolaou dell'Università di Atene, ha portato all'identificazione di due diverse mutazioni del gene dell'epcidina in altrettante famiglie affette in modo ereditario da emocromatosi giovanile.

Analizzando il DNA dei soggetti sani e malati di due famiglie affette da emocromatosi di tipo 2, una italiana e una greca, questi due ricercatori sono riusciti a trovare due mutazioni differenti presenti sul gene dell'epcidina sul cromosoma 19.

emocromatosi giovanile famiglia 1 Nella prima famiglia è stata identificata una mutazione a livello del secondo esone che consiste più precisamente nella perdita di una guanina nella sequenza del DNA che porta alla formazione di un peptide epcidina più lungo del normale e privo di funzionalità.

Nella seconda famiglia invece, la dottoressa Roetto, ha trovato la sostituzione di una citosina con una timina sul DNA del terzo esone codificante per l'epcidina.

emocromatosi giovanile famiglia 2 Questa mutazione provoca la comparsa di un segnale di stop prematuro che porta alla formazione di un peptide epcidina piu' corto e quindi del tutto incapace di formare i tre frammenti maturi.

Grazie a questo studio l'epcidina si impone nella lista dei mediatori responsabili della regolazione del metabolismo del ferro.

Addirittura si puo' ora supporre che le alterazioni presenti a livello del DNA del cromosoma 1, coinvolte nella stessa forma di emocromatosi, vadano ad alterare molecole coinvolte nella stessa via di segnale mediata dall'epcidina.

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