Sindrome dell' intestino corto: forse è possibile un farmaco
E' una condizione devastante: parte dell'intestino è stata rimossa chirurgicamente, ed ora non basta più per assorbire le sostanze nutritive. Per questi pazienti la vita è legata ad una serie di iniezioni endovenose con le quali si nutrono, per tutta la vita.
Si tratta di una sindrome, per fortuna piuttosto rara, che può colpire i bambini nati molto prematuri ed i malati di morbo di Crohn (una infiammazione cronica dell'intestino). In queste categorie di pazienti si può sviluppare una enterocolite necrotizzante, praticamente una gangrena dell'intestino. A quel punto l'unico rimedio è la chirurgia, che però può lasciare un tratto digerente non più abile a svolgere le sue funzioni. Da tempo si cerca un rimedio a questa situazione, ed ora ne sta emergendo uno decisamente semplice ma, secondo una ricerca pubblicata sul Journal of Parenteral and Enteral Nutrition, promettente.
"La chirurgia - dice Kelly Tappenden, del'Università dell'Illinois a Urbana-Champaign - salva le loro vite, ma con tutto quell'intestino rimosso non sono più capaci di assorbire sostanze nutritive".
L'idea è ora di sfruttare un processo naturale per mettere rimedio ai danni causati dall'intervento: in genere, quando parte dell'intestino manca, l'organismo fa crescere quella restante e la fa diventare più efficiente in modo da compensare lo svantaggio. "Però - continua Tappenden, a capo della ricerca - questo succede solo se i pazienti si alimentano oralmente, ma le persone sottoposte all'asportazione di queste grandi parti di intestino non possono farlo perché vanno subito incontro a diarrea ed a diversi altri problemi".
Insomma, un circolo vizioso. La soluzione potrebbe essere quella di "simulare" un'alimentazione orale, proprio quello che hanno sperimentato i ricercatori americani su maialini appena nati (che hanno un metabolismo digestivo molto simile a quello dei neonati umani). A questi animali è stato dato, assieme al resto delle sostanze nutritive per via endovena, una sostanza, il butirato, che appartiene alla categoria dei acidi grassi a catena corta. Di fatto si tratta di un prodotto che si forma durante la fermentazione intestinale dei cibi.
I risultati sono incoraggianti: effettivamente i maialini operati si sono ritrovati con un intestino che era cresciuto ed era più funzionale.
Naturalmente ora si tratterà di esaminare la possibilità di applicare la terapia anche all'uomo. "Forse - dice Tappenden - non riusciremo ad eliminare del tutto la necessità di un'alimentazione via endovena. Ma i pazienti potrebbero tornare a mangiare normalmente, ed usare le endovenose solo per integrare quello che non riescono ad assorbire".