Lo stato della ricerca italiana preoccupa l'Accademia dei Lincei
Riportiamo qui il documento sullo stato della ricerca in Italia pubblicato dall'Accademia dei Lincei. In esso si esprimono forti preoccupazioni relativamente alle carenze del nostro Paese per quanto riguarda gli investimenti nel campo della ricerca.
Ricerca Biologica e Medica in Italia, rischio di collasso
Documento della Commissione ad hoc, costituita dai professori Paolo Bianco, Paolo Costantino, Jacopo Meldolesi, Mario Molinaro, Carlo Patrono e Mario Stefanini, e fatto proprio dalla Commissione sui problemi della Ricerca dell’Accademia dei Lincei, presieduta dal prof. Giorgio Parisi e costituita dai proff. Enrico Alleva, Salvatore Califano, Ernesto Carafoli, Giorgio Careri, Gianfranco Chiarotti, Antonio Gambaro, Alessandro Roncaglia, Giorgio Salvini, Salvatore Settis.
Roma 27 maggio 2008 - Numerosi articoli e appelli hanno recentemente richiamato l’attenzione sul precario stato di salute della ricerca in Italia. E’ stato più volte sottolineato come l’impegno economico del nostro Paese per la ricerca disattenda le indicazioni dell’Unione Europea: spendiamo circa la metà del 2% del PIL indicato come obiettivo a Lisbona circa 8 anni fa. A questo proposito la disattenzione degli schieramenti politici che si sono avvicendati alla guida del Paese negli ultimi 10 anni è stata del tutto bipartisan: al di là delle enunciazioni, nessuno ha mai affrontato il problema come priorità dell’azione di governo. Che il “sistema ricerca” sia in grave affanno rispetto ai nostri partner europei ce lo dicono, tra molti altri parametri, anche le cifre recenti relative alla partecipazione italiana al 7° Programma Quadro (FP7) dell’Unione Europea. Due dati, in particolare, fanno riflettere. Il primo è rappresentato dalla massiccia partecipazione di nostri giovani ricercatori al primo bando dell’European Research Council (ERC): da questo punto di vista siamo stati primi in classifica, con circa 1700 proposte di ricerca contro le 1000 (circa) di Inghilterra e Germania. Un dato interpretato dal Vice Presidente dell’ERC non tanto come un particolare dinamismo dei giovani ricercatori italiani ma piuttosto come espressione della mancanza di supporto finanziario in Italia. Per di più, dei 70 ricercatori italiani selezionati per la fase finale di valutazione, solo una metà avevano intenzione di lavorare in Italia. A confronto, più di 100 finalisti hanno optato per l'Inghilterra e soltanto 42 sono inglesi. C’è chi perde cervelli e chi li acquista, con un evidente vantaggio non solo culturale, ma anche economico, nel mercato sempre più globale della ricerca biologica e medica.
Il secondo dato su cui riflettere è relativo alla partecipazione al primo bando (Aprile 2007) del Tema "Salute" del VII Programma Quadro (FP7) della Commissione Europea. Le proposte di ricerca a coordinamento italiano hanno avuto un tasso di successo di circa
il 15% che seppur non disastroso è ben al di sotto della media europea che si aggira intorno al 25%. In altri settori della ricerca biologica, i risultati della partecipazione italiana ai bandi di FP7 sono stati addirittura peggiori.
Il quadro che emerge da questi dati è sconfortante perché indica chiaramente che il nostro sistema ricerca non è competitivo sul mercato europeo (e tanto meno su quello mondiale) e, soprattutto, non è attraente per i migliori giovani ricercatori italiani (e tanto meno per quelli di altri paesi). Molti sono i motivi - politici, culturali e strutturali - che determinano questa situazione progressivamente sempre più deteriorata del nostro sistema ricerca.
Non è solo questione di entità dei finanziamenti: a determinare la nostra attuale situazione sono soprattutto il modo in cui le risorse vengono distribuite e la mancanza di una qualsivoglia strategia per lo sviluppo strutturale del nostro sistema ricerca.
Secondo un’analisi del National Institutes of Health del Ministero della Salute americano, non più del 10% dei finanziamenti per la ricerca biologica e medica è assegnato in Italia secondo procedure di peer-review, ovvero in base a valutazione del merito scientifico affidata ai “pari”, cioè ai membri della comunità scientifica. Quello che, caso unico tra i paesi avanzati, caratterizza il nostro Paese in negativo, e in misura purtroppo sempre crescente, è l’assegnazione dei finanziamenti attraverso negoziati diretti, al di fuori di ogni controllo sostanziale, tra pubblica amministrazione e singoli ricercatori (o “cordate” di ricercatori o istituzioni scientifiche). Questa anomala modalità di assegnazione dei fondi inficia ovviamente la qualità della ricerca e la sua competitività, come testimoniato dai dati sopra esposti. Inoltre, è lesiva degli interessi della pubblica amministrazione, in quanto introduce nel processo decisionale considerazioni estranee al merito scientifico, avendo contemporaneamente l'effetto di scoraggiare la comunità scientifica che si vede esclusa dall'accesso meritocratico ai finanziamenti.
Sul fronte delle caratteristiche strutturali, in Italia non esiste una chiara politica di direzione e di valorizzazione della ricerca, a cominciare dalle risorse umane - per altro altamente qualificate e sicuramente competitive con quelle degli altri Paesi. E’ naturale quindi che molti tra i nostri migliori giovani ricercatori (come quelli, ad esempio, che hanno vinto un finanziamento dell’ERC) cerchino prospettive altrove.
La totale mancanza di una politica per la ricerca ha permesso lo sviluppo di un sistema rigido, basato su criteri normativi e talvolta anche sindacali, refrattario all’uso sistematico di meccanismi di verifica del merito scientifico. Questo sistema rigido offre un percorso di carriera che vede troppo spesso un precariato che, se è fisiologico per qualche anno a inizio carriera, diviene mortificante fino e oltre la soglia dei 40 anni, con scarsissime possibilità di autonomia scientifica e con un accesso estremamente limitato a posizioni di ruolo. Questo sistema ha ingessato le Università italiane - ed è stato purtroppo confermato anche dalle ultime modalità concorsuali basate sull’idoneità, che non garantiscono né la qualità né la mobilità dei ricercatori. Questo sistema non consente alcuna osmosi con il mondo della ricerca industriale, né prevede la possibilità di nuove e rapide forme di aggregazione dei ricercatori su tematiche “calde”.
Un argomento ricorrente, in Italia, è quello della "fuga" e del "rientro” dei cervelli". I nostri politici hanno argomentato: in passato abbiamo perso molti cervelli, adesso creiamo un meccanismo per farli rientrare (tipicamente: destinando a fine anno qualche spicciolo avanzato tra le pieghe della Finanziaria di turno). Il problema della "fuga dei cervelli" è reale, ma il dilemma del "rientro" riguarda purtroppo un numero di ricercatori molto modesto rispetto a quelli che perdiamo ogni anno. Inoltre, a quelli che comunque rientrano, i meccanismi messi in atto finora non assicurano in alcun modo un ambiente favorevole al proseguimento delle loro attività. Complessivamente quindi l’operazione "rientro dei cervelli", seppure con qualche notevole eccezione, non ha prodotto sostanziali effetti positivi per il Paese, non solo in termini scientifici e culturali, ma anche tecnologici ed economici.
Oltre a perfezionare i meccanismi di rientro, è importante e urgente sviluppare piani e strumenti per evitare di perdere i cervelli più brillanti, identificarli con una valutazione seria e sistematica e fornire loro buone ragioni per restare, anche creando una maggiore osmosi tra il mondo della ricerca accademica e quello della ricerca privata e d’impresa.
Occorre correggere le gravi anomalie che pongono il sistema ricerca del nostro Paese del tutto al di fuori del contesto dei Paesi più avanzati (e ormai anche di quelli emergenti), per impedire che il nostro ritardo scientifico e tecnologico diventi irreversibilmente incolmabile.
Per questo, si possono avanzare alcune proposte operative di carattere generale. Assegnazione delle risorse
1. Come richiesto da numerose Società Scientifiche e ribadito in un recente appello al Presidente della Repubblica, è indispensabile che tutti i fondi pubblici destinati alla ricerca scientifica siano annunciati sistematicamente mediante bandi pubblici ed assegnati attraverso un processo formale e regolamentato di peer-review. Questa norma elementare, da attivare immediatamente, dovrà essere scritta in una legge dello Stato, che renda non praticabili altre procedure. (E’ di cruciale importanza riconoscere che non esiste peer-review credibile e adeguato senza procedure precisamente definite che regolino nel dettaglio la valutazione ed escludano i conflitti di interesse; è necessario riconoscere che si tratta di procedure assai più articolate, definite e complesse della semplice “revisione anonima”).
2. Per garantire la correttezza delle valutazioni e dell'assegnazione delle risorse, è altrettanto necessario istituire un’Agenzia che gestisca tutti i fondi pubblici destinati alla ricerca biologica e medica, indipendentemente dall’ente erogante, attraverso peer review. Inoltre l'Agenzia costituirà uno strumento per definire le priorità strategiche della ricerca biologica e medica, interagendo
attivamente con i diversi Ministeri interessati. L’Agenzia dovrà costituire un’interfaccia tra il potere politico e la comunità scientifica, secondo modelli adottati già da lungo tempo in tutti i Paesi più avanzati (ad esempio, i già citati National Institutes of Health in USA). Sarà così possibile ovviare all’attuale situazione di scelte largamente estemporanee e discontinue delle tematiche dei bandi (ad es., i bandi FIRB), di orizzonte temporale limitato (tipicamente 2-3 anni) anche per iniziative potenzialmente di lungo respiro (ad esempio, i Centri di Eccellenza del MUR).
Reclutamento: gli attuali meccanismi concorsuali inducono le sedi universitarie a promuovere, per motivi di bilancio, una carriera interna dei docenti scoraggiando il reclutamento dei migliori qualora provenienti dall’esterno. Tale tendenza deve essere capovolta, attivando un processo virtuoso in base al quale le università trovino convenienza nel reclutamento delle persone più qualificate
scientificamente. In questa direzione, un meccanismo ampiamente utilizzato nelle università angloamericane è l’assegnazione da parte dell’ente finanziatore di un bonus (overhead), proporzionale all’entità del finanziamento stesso, all’istituzione che ospita il ricercatore finanziato. Inoltre, qualsiasi finanziamento pubblico, incluso il Fondo di Finanziamento Ordinario dovrà essere strettamente ancorato alla valutazione dei progetti e dei prodotti delle università assegnatarie. E’ comunque superfluo ribadire che un discorso a lunga scadenza deve prevedere il superamento del sistema concorsuale nel reclutamento dei docenti.
Centri di ricerca e formazione: la ricerca biologica e biomedica richiede oggi un alto livello di integrazione di programmi e di risorse nonché tecnologie complesse e approcci multidisciplinari progressivamente sempre meno alla portata dei singoli gruppi di ricerca. E' quindi necessaria la creazione di centri scientifici interdisciplinari che raggiungano la massa critica di ricercatori, competenze, infrastrutture e risorse indispensabile per essere competitivi sul piano internazionale e per diventare punto di riferimento e di stimolo per l'industria. Questi centri di ricerca interdisciplinari, sul modello di quelli esistenti nei Paesi più avanzati (ma ora anche in quelli emergenti) saranno in grado di fornire specifici e avanzati percorsi formativi, e dovranno essere coniugati con sentieri di carriera tali da assicurare la mobilità dei ricercatori. L'istituzione in ambito accademico di centri altamente qualificati, favorirà lo sviluppo di una ricerca traslazionale. A titolo d’esempio, ci si può riferire ai Clinical Research Centers istituiti presso le Scuole di Medicina statunitensi.
Ricerca pubblica e privata: la grave carenza di un'innovativa e tecnologicamente avanzata ricerca industriale e d’impresa si ripercuote negativamente sullo sviluppo economico e la competitività del Paese. Questa ricerca deve essere fortemente stimolata dal settore pubblico, attraverso incentivi fiscali, stage di dottorandi e giovani ricercatori, mobilità ed altro, ispirandosi a quanto avviene nei Paesi più avanzati. Andranno però evitati contributi finanziari (più o meno) diretti, che sono non solo in contrasto con la normativa della UE, ma risultano anche spesso in assegnazioni improprie a causa dell'assenza di criteri di valutazione. Uno sviluppato settore di ricerca industriale e d’impresa contribuirà ad attivare un circuito positivo nell’ambito della formazione - necessaria alle esigenze di reclutamento - stimolando l’impegno formativo di eccellenza da parte delle istituzioni universitarie
e di ricerca di base. La creazione di “distretti tecnologici” di alta qualificazione attiverà una rete di interazioni positive tra ricerca di base e ricerca di impresa, consentendo quindi di attuare un efficace "trasferimento tecnologico".