Latte in polvere per i bambini: un'accusa alle aziende produttrici
Molte aziende produttrici di latte in polvere violerebbero nel terzo mondo il codice di regolamentazione internazionale relativo alla pubblicità ed al marketing di quel prodotto.
L'accusa non viene da un qualche sito internet ferocemente no global, ma dalla prestigiosa rivista British Medical Journal, dove è stato pubblicato uno studio condotto da due gruppi distinti di ricercatori che hanno analizzato la situazione del latte in polvere in due Paesi: Togo e Burkina Faso.
C'è da premettere che nel 1981 l'Assemblea Mondiale della Sanità votò un regolamento internazionale sull'uso e la vendita dei prodotti sostitutivi del latte materno. In esso si prevede specificamente di incoraggiare l'allattamento al seno e di presentarlo come un supporto insostituibile allo sviluppo dei bambini. In altri termini, il latte artificiale va visto come un sostituto da usare solo quando, per qualche problema, è impossibile l'allattamento naturale. Per il resto, niente marketing aggressivo e, soprattutto, niente presentazione del prodotto come "moderno", ideale per la donna emancipata. Il codice, tra l'altro, fu sottoscritto anche dai produttori di latte in polvere.
Eppure nei due Paesi esaminati sono state registrate diverse violazioni: in molti casi le donne, subito dopo il parto, ricevevano campioni omaggio di latte in polvere. Campioni gratuiti arrivavano anche alle strutture sanitarie. Inoltre pubblicità imponenti ed appariscenti sono state trovate in diversi punti di vendita.
Per la comunità internazionale questo è un campanello di allarme verso una maggiore sorveglianza nei confronti di quel codice. Il latte materno, considerato ormai indispensabile nei Paesi avanzati, dove quasi nessuna mamma si sognerebbe di rinunciare all'allattamento per sostituirlo con il latte in polvere, viene a volte presentato nel terzo mondo esattamente all'opposto: la mamma che allatta diventa antiquata, da terzo mondo appunto. E lì una pubblicità del genere può fare effetto.