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Notizia del 10/01/2003

Il batterio tiene il DNA al guinzaglio

L'hanno chiamato "Conan il batterio", nome meritatissimo. Il Deinococcus radiodurans, infatti, è veramente "tosto": riesce a sopportare dosi di radiazioni migliaia di volte superiori a quelle che ucciderebbero qualsiasi forma di vita (ad esempio tremila volte superiori a quella letale per un essere umano), inoltre regge benissimo alle bassissime temperature ed alla disidratazione.

Che ci fa un batterio del genere sulla Terra? Piuttosto sembra fabbricato per Marte, come in effetti ritengono alcuni scienziati russi che pensano possa trattarsi di un "immigrato marziano" giunto a cavallo di qualche meteorite.

Quale che sia la sua storia, nel Deinococcus radiodurans c'era un grosso mistero: come fa a riparare il suo DNA così bene? Le radiazioni, infatti, hanno proprio l'effetto di distruggere il codice genetico degli organismi viventi, spezzandolo in varie parti. Se le rotture sono poche, le cellule o i batteri possono tentare di riparare i guasti riattaccando i pezzi. Ma con le radiazioni sopportate dal Deinococcus si dovrebbero avere almeno 200 rotture del codice genetico, impossibili da riparare tutte insieme.

All'inizio si pensava che gli enzimi riparatori del DNA in questo microrganismo fossero più efficienti, ma poi si è visto che non sono molto diversi da quelli degli altri batteri. Così la risposta doveva essere un'altra, e l'hanno trovata gli scienziati del Weizmann Institute, in Israele. Secondo il loro articolo pubblicato sulla rivista Science, il segreto è nel modo in cui il codice genetico è impacchettato nel batterio.

Nel Deinococcus, infatti, il DNA è organizzato in un particolare anello che ha una caratteristica: quando si rompe, i pezzi della molecola non sfuggono via, come invece succede negli altri organismi, ma sono costretti a rimanere dove stavano, anche se hanno perso il legame con il resto del codice genetico. A questo punto gli enzimi di riparazione possono intervenire facilmente perché devono solo fare una specie di saldatura, anziché dover ricostruire daccapo interi pezzi.

Ma il batterio fa anche di meglio: al suo interno ci sono quattro compartimenti, in ognuno dei quali c'è una copia completa del DNA. A seguito della prima riparazione (circa un'ora e mezza dopo), il DNA di un compartimento se ne va in quello vicino. Qui alcuni enzimi sono in grado di controllare le due copie, verificare se sono uguali e, se trovano discrepanze, provvedere ad una nuova riparazione.

Un sistema così efficiente fa sognare una qualche applicazione medica, magari proteggere esseri umani dai danni da radiazioni. Ma è meglio non farsi troppe illusioni. "Il DNA umano - dice Avi Minsky, capo della ricerca - è strutturato in modo fondamentalmente diverso". Non resta quindi che invidiare un batterio capace di scorrazzare tranquillamente su Marte, dentro il pozzo di una centrale nucleare o in qualsiasi altro posto dove la vita sembri impossibile.

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