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Notizia del 26/08/2002

I geni della longevita’

Una delle piu' grandi scommesse della scienza consiste nel riuscire a strappare alla natura il segreto della vita nel sogno di riuscire ad arrestare l'impietosa macchina che ci trascina all'invecchiamento e alla morte.

Ogni forma di vita eredita la durata della propria esistenza con gli altri caratteri distintivi della specie a cui appartiene.

Tuttavia gli scienziati non concordano circa il grado di complessita' del sistema che regola questa proprieta'.

Una delle ipotesi prevede il coinvolgimento di una vastissima molteplicita' di loci genici.

Secondo questa teoria, il logorio biologico che provoca l'invecchiamento e' il frutto della somma di svariati e molteplici microeventi stocastici e lesivi che comprendono mutazioni del DNA mitocondriale e nucleare, alterazioni epigenetiche del materiale proteico, reazioni di glicazione e rilascio di radicali liberi con conseguente degrado ossidativo.

I danni dell'eta' sono quindi, secondo questa teoria, solo una conseguenza dell'alterazione di un'innumerevole varieta' di attivita' metaboliche.

Secondo questa teoria, altrettanto estesa e' la schiera dei dispositivi adibiti alle difese ed agli interventi di riparazione.

Controllando i vari processi che sono alla base dell'omeostasi, tali geni combattono, con maggiore o con minore successo i fattori lesivi e riducono in modo piu' o meno efficacie il danno: esercitano quindi la loro influenza sulla velocita' con cui si accumulano le alterazioni legate all'eta'.

Purtroppo, se davvero l'invecchiamento deriva dalla somma dell'attivita' di una miriade di geni, e' molto difficile pensare di poter comprendere appieno e tanto meno di poter modificare tale complesso intreccio di meccanismi.

Secondo un'altra ipotesi molto accreditata pero' si ritiene che l'invecchiamento dipenda da un numero limitato di geni che possono quindi venir soprannominati geni della longevita'.

Quest'ipotesi e' accreditata dal fatto che l'epoca di inizio del decadimento e la sua rapidita' di progressione appaiono molto differenti anche in specie animali assai vicine tra loro dal punto di vista evoluzionistico, i cui genomi sono quindi in grandissima parte sovrapponibili.

Ad esempio: l'uomo ha una durata di vita piu' che doppia rispetto allo scimpanzé con il quale condivide circa il 98% del DNA.

Il topino bianco Peromyscus Leucopos, a sua volta, ha una durata massima di vita di 8 anni che e' quasi il triplo di quella del comune topo di campagna (il Mus Musculus), benche' le due specie siano cosi' simili da potersi persino incrociare tra loro.

Inoltre e' stato recentemente dimostrato come, in molte forme di vita, una singola mutazione possa indurre significative modifiche nella sopravvivenza.

Anche tra le cavie da laboratorio, tramite tecniche di ingegneria genetica e mutazione, si e' potuto selezionare o "creare" ceppi animali caratterizzati da variazioni in eccesso o in difetto rispetto alla longevita' tipica della specie.

Inoltre, anche nell'uomo, esistono patologie presumibilmente conseguenti al difetto di un unico gene che accelerano i processi di senescenza.

E' quindi ragionevole pensare che la longevita' sia dipendente da un numero relativamente limitato di geni specificamente adibiti a determinare il ritmo generale della progressione verso la senescenza.

Nell'uomo, per individuare i geni di questo tipo, e' possibile ricercare le caratteristiche ereditarie che distinguono gli individui piu' longevi.

Recentemente un'analisi di linkage su una popolazione di 308 ultracentenari ha permesso di visualizzare piu' loci genici posizionati sul cromosoma 4 correlati al raggiungimento di eta' molto avanzate, tuttavia ancora non e' stato identificato un polimorfismo riconducibile a geni specificatamente dediti alla longevita'.

Si e' notato invece che negli ultracentenari sono rappresentati, con una frequenza elevata, geni adibiti a funzioni omeostatiche tra cui alcune varianti all'eliche dell'apolipoproteina E, le varianti di HLA di tipo DR7, DR11 e DR 13, alcune varianti dell'inibitore dell'attivatore del plasminogeno e particolari isoforme dell'enzima di conversione dell'angiotensina.

I centenari sono percio' individui il cui decadimento senile si e' mantenuto estremamente lento in quanto non accelerato o potenziato da patologie intercorrenti.

I geni della longevita' per ora trovati costituiscono spesso causa di mortalita' nell'eta' giovanile, come se all'eta' centenaria potessero pervenire soltanto quegli individui che, possedendo geni che conferiscono un maggior rischio di mortalita' nell'eta' giovanile, consentono dall'altro lato una maggiore capacita' di adattamento compensativo ai soggetti che comunque sopravvivono.

Tessuto cardiaco Ad esempio, le varianti dell'enzima di conversione dell'angiotensina prevalenti nei centenari, predispongono nella mezza eta' all'ipertrofia miocardia ed in tal senso hanno effetti sfavorevoli sulla sopravvivenza.

In cambio pero' i soggetti che, pur esprimendo questo gene, pervengono alla vecchiaia si trovano avvantaggiati perche' lo stesso carattere favorisce l'ipertrofia suppletiva delle cellule di conduzione del sistema cardiaco in modo da controbilanciare il calo della popolazione cellulare in tali strutture.

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