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Notizia del 09/01/2003

I colori: come li "vede" il cervello?

In generale la capacita' di vedere qualcosa diminuisce all'aumentare dell'intensita' del fondo.

E' per questo che le stelle non sono visibili di giorno sebbene emettano la stessa quantita' di luce che di notte.

Questo fenomeno viene chiamato adattamento alla luce e deriva dalla capacita' del nostro sistema visivo operante di sovrapporre l'intensita' luminosa dell'ambiente circostante all'immagine osservata e di risolverne il contrasto.

L'occhio umano E' stato dimostrato come l'adattamento alla luce dipenda in prima istanza dall'attivita'dei fotorecettori a forma di cono presenti nell'occhio.

Gli occhi, infatti, sono composti da tre differenti classi di fotorecettori a forma di cono (conorecettori), ognuno dei quali sensibile a una differente lunghezza d'onda della luce.

Lo spettro delle radiazioni elettromagnetiche Ognuno dei tre tipi di conorecettori individua quindi una lunghezza d'onda prestabilita, si possono cosi' chiamare S i conorecettori capaci di "vedere" le lunghezze d'onda corte (short), M quelli capaci di individuare le lunghezze d'onda medie (medium) e L quelli capaci di individuare le lunghezze d'onda lunghe (long) dello spettro della luce visibile.

Dal momento che l'attivita' dei conorecettori e' parzialmente sovrapposta nei termini della lunghezza d'onda che sono in grado di discrimanre, l'idea generale e' che ogni tipo di cono sia in grado di adattare la sua sensibilita' alla quantita' di luce che riceve nell'ambito della lunghezza d'onda che e' in grado di rilevare.

Quindi, se si aumenta il fondo delle lunghezze d'onda corte (S=short), si influenza soltanto l'attivita' dei coni S che le percepiscono e non dei coni L o M.

Recentemente e' stato messo a punto un modello per lo studio della percezione dei colori che analizza gli stadi di processamento a livello dei fotorecettori, dei gangli (le cellule che trasmettono l'immagine dagli occhi al cervello) e la prima visione che si ha a livello della corteccia celebrale anche detta V1.

Dal momento che i segnali neuronali della corteccia sono piuttosto complessi, la risposta ai test varia da trial a trial.

Addirittura, quando si comparano segnali visivi deboli esposti su un fondo contro il fondo da solo, se occasionalmente il fondo supera per intensita' il segnale visivo si hanno errori di visione.

Questo genere di test e' comunque in grado di misurare soltanto la percezione finale di un evento visivo senza indicare dove la risposta cerebrale abbia luogo.

Se a questo modello di studio si aggiunge quello della fMRI (Funclional Magnetic Resonance Imaging), che riflette le variazioni dei livelli di ossigeno nel sangue dei vasi cerebrali associate alle variazioni delle risposte neuronali, si possono ottenere risposte molto piu' complete.

Infatti, sebbene la cascata degli eventi che porta dalla risposta neuronale a quest'effetto a livello del sangue sia scarsamente nota, la risposta a livello del sangue e' strettamente correlata all'attivita' neuronale.

L'fMRI, misurando l'attivita' di una data popolazione di neuroni, puo' dirci esattamente dove la risposta avviene anche se non ci dice nulla sul come questa risposta e' correlata alla nostra esperienza.

Wade e Wandell, in un recente studio, ci hanno fornito un primo ed eccellente esempio di come questi due approcci possano venire combinati nello studio dell'adattamento cromatico alla luce.

La sensibilita' del nostro occhio ai colori Nel loro esperimento, alcuni stimoli precostituiti allo scopo di eccitare o soltanto i coni S oppure i coni L ed M vengono applicati a fondi d'intensita' variabile.

Quando il fondo viene variato in modo da stimolare i coni S soltanto, la fMRI e l'abilita' dei coni S di individuare uno stimolo S diminuiscono.

In maniera analoga, quando il fondo viene variato in modo da stimolare i coni L e M soltanto, la fMRI e l'abilita' dei coni L e M di individuare uno stimolo L e M diminuiscono.

Ancora piu' importante, in questo modello ne' la fMRI ne' la capacita' di vedere uno stimolo S da parte dei coni S viene variata in seguito a uno stimolo L e M.

Boynton e i suoi colleghi hanno sviluppato un approccio simile per studiare il ruolo della corteccia V1 nell'abilita' a risolvere i contrasti visivi.

Mantenendo un fondo fisso vanno a proiettare stimoli luminosi differenti, i soggetti in analisi devono segnalare dove notano un incremento del contrasto tra il segnale ed il fondo.

Grazie a questo studio hanno inoltre notato come, mentre se si aumenta l'intensita' del fondo rispetto a quella del target la capacita' di discriminazione del soggetto diminuisce, se l'intensita' del target, viene aumentata in modo proporzionale a quella del fondo, la visione del soggetto resta costante.

La capacita' della risposta fMRI in V1 di predirre entrambi gli effetti, l'adattamento cromatico come il controllo del contrasto, e' interessante perche', mentre l'adattamento cromatico sembra avvenire principalmente a livello dei fotorecettori, il controllo del contrasto avviene soprattutto a livello della corteccia cerebrale.

L'uso quindi combinato di queste due tecniche, che da pochissimo tempo sta prendendo piede, ci potra' finalmente consentire di comprendere come la risposta cerebrale sia correlata alla nostra esperienza visiva.