Fusione nucleare con il laser: un passo avanti
A parte i frequenti annunci, più o meno realistici, nell'ambiguo campo della fusione "fredda", la strada per ottenere energia con il processo di fusione nucleare (quando atomi di idrogeno si uniscono a formare elio) è storicamente legata a due possibilità: da un lato c'è quella più classica, che prevede di riscaldare una massa di trizio (la forma di idrogeno con un peso atomico tre volte superiore rispetto a quello normale) a circa cinquanta milioni di gradi. A quella temperatura il processo di fusione dovrebbe innescarsi, producendo enormi quantità di energia. Naturalmente nessun contenitore al mondo può trattenere qualcosa di così caldo, e per questo si userebbe il cosiddetto confinamento magnetico: un campo magnetico fortissimo capace di trattenere al suo interno il plasma formato dal trizio.
L'altra strada, da molti considerata quella ideale, prevede di riscaldare, sempre a cinquanta milioni di gradi, piccolissime "pillole" di idrogeno. La fusione sarebbe comunque innescata, per brevissimi intervalli di tempo. Il generatore ideale sarebbe, insomma, composto da una macchina "spara-pillole" di idrogeno con un laser che le scalderebbe una ad una per far raggiungere loro la temperatura necessaria ad accendere il processo di fusione.
Un passo in avanti in questa direzione è stato compiuto, secondo un articolo pubblicato dalla rivista Nature, dall'Università di Osaka, in Giappone. Qui esiste una struttura dedicata specificamente allo studio della fusione accesa con il laser: il Fast-Ignitor Consortium.
La prova giapponese non deve essere vista come una rivoluzione tecnologica: lo scorso anno lo stesso gruppo aveva già dimostrato che la tecnica potrebbe funzionare, ma non c'erano prove su una sua applicazione concreta. Ora, usando uno dei più potenti laser esistenti al mondo, i ricercatori dell'Università di Osaka hanno visto che, almeno in linea di principio, è possibile scaldare l'idrogeno alla temperatura necessaria per la fusione su larga scala, ad un livello, quindi, che potrebbe permettere, in futuro, di usare la tecnologia per la produzione effettiva di energia elettrica.