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Notizia del 09/07/2002

Farmaci contro l'Alzheimer per i piloti d'aereo?

Certo, sapere che il pilota alla guida di un aereo ha dovuto prendere un farmaco contro l'Alzheimer potrebbe seriamente preoccupare i passeggeri. Eppure sulla rivista Neurology, giornale dell'American Academy of Neurology, è apparsa una ricerca secondo la quale una delle medicine attualmente usate per alleviare i sintomi del terribile morbo riuscirebbe a rendere più efficienti proprio i piloti di aerei di linea, anche se non sono affatto malati.

Lo studio, che ha coinvolto 18 piloti dell'età media di 52 anni, ha usato un tipico strumento di addestramento: il simulatore di volo. In una prima fase tutti i partecipanti sono stati impegnati in sette voli simulati durante i quali hanno dovuto compiere diverse operazioni molto complesse.

Successivamente nove di loro hanno preso il farmaco per trenta giorni, mentre gli altri sono stati trattati con un placebo (una "finta" medicina indistinguibile da quella vera). Dopo il periodo di trattamento, tutti sono stati nuovamente sottoposti a test nel simulatore di volo. Nel corso di 75 minuti hanno dovuto rispondere continuamente a nuove istruzioni da parte della torre di controllo, che ordinava loro di cambiare rotta, altitudine e frequenza radio. Inoltre ognuno dei piloti ha dovuto affrontare tre situazioni di emergenza durante il volo simulato.

Confrontando l'efficienza dimostrata nel fronteggiare tutti i compiti richiesti, i ricercatori della Stanford University hanno trovato che i piloti trattati con il farmaco si comportavano meglio di quelli che avevano assunto il placebo.

L'intero studio si basa sulla teoria che il declino di certe abilità del cervello causato dall'invecchiamento sia dovuto in parte ad una diminuzione della funzionalità dell'aceticolina. Questa molecola, appartenente alla categoria dei neurotrasmettitori, ha un ruolo importante nello scambio di segnali e di informazioni tra le cellule cerebrali. Il farmaco usato nella ricerca ha un'azione specifica proprio in questo campo: blocca l'azione della colinesterasi, un enzima che ha la funzione di distruggere l'acetilcolina.

I risultati ottenuti, avvertono gli autori, rimangono tutti da confermare con ulteriori ricerche. Ma se arrivassero altre prove a favore si aprirebbe uno scenario inesplorato. "In ogni caso - commenta Jerome Yesavage, primo autore della ricerca - i risultati non significano che l'uso di questo farmaco è raccomandato per le persone sane, prima di tutto per via dei possibili effetti collaterali che potrebbero emergere".

Per il momento, quindi, la ricerca americana va considerata solo uno strumento per capire meglio i processi del decadimento cerebrale dovuto non solo all'Alzheimer, ma all'invecchiamento in generale.

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