Alti e bassi per la cannabis
La cannabis, pianta ben conosciuta per i suoi "derivati": marijuana ed hashish, è da tempo soggetta a veri e propri alti e bassi nella medicina.
Le ricerche scientifiche, infatti, oscillano tra il sottolineare alcuni effetti benefici del suo principio attivo, il delta9 Tetraidrocannabinolo (THC), e l'evidenziare come questa molecola possa determinare comunque gli stessi effetti negativi causati dalle forme "popolari" di consumo della cannabis.
Sul lato positivo della faccenda si situa ora una ricerca svolta dall'Università di Ginevra e pubblicata sulla rivista Nature.
Secondo questo studio il THC avrebbe nientemeno che la capacità di proteggere in qualche modo dall'aterosclerosi, il processo infiammatorio alla base di molte malattie cardiovascolari, prime fra tutte infarto e ictus.
Tenendo presente la cautela d'obbligo, visto che lo studio è stato condotto sui topi, ciò che il principio attivo della cannabis farebbe è di interferire con uno dei processi fondamentali dell'aterosclerosi: la "chiamata" di cellule del sistema immunitario che vanno ad ammucchiarsi sulla parete interna di un'arteria, restringendola. Legandosi ad alcuni recettori (CB2) presenti sulla membrana delle cellule, il delta9 Tetraidrocannabinolo impedirebbe infatti il reclutamento di cellule immunitarie da parte del processo infiammatorio in atto nel vaso sanguigno.
Di fatto, nei topi il processo aterosclerotico viene effettivamente rallentato. E la cosa interessante è che la dose di delta9 Tetraidrocannabinolo necessaria per avere questo effetto è inferiore a quella che può agire sul cervello. In altri termini, la cannabis potrebbe essere un giorno usata nelle malattie cardiovascolari senza il rischio che il paziente si ritrovi come se avesse fumato hashish (un pericolo evidenziato in altri casi di un suo uso terapeutico). La dose bassa, usando la sola molecola THC estremamente purificata, eviterebbe inoltre un tipico effetto collaterale: l'aumento della pressione arteriosa.
"Questi risultati - avverte logicamente Michael Roth, dell'Università della California a Los Angeles, che ha scritto un editoriale in accompagnamento alla ricerca - non devono certo essere interpretati nel senso che fumare marijuana faccia bene al cuore".