Esperimenti

Tutti attenti al TG - Gli errori

Per Giorgio Apotema il telegiornale della sera è sempre stato un momento importante, ma da qualche tempo inizia ad esserlo un po' di più: difatti, Anna e Paolo cominciano a interessarsi di quanto succede nel mondo, seguono le notizie e, soprattutto, gli fanno domande.

Questo vuol dire che, in realtà, non riesce più a seguirlo, il telegiornale, e che una sera sì e una sera no è coinvolto in grandi spiegazioni sui fatti più disparati.

Questa sera, l'inviato da New York ha fatto solo cenno ad "Al Gore, l'ex vicepresidente degli Stati Uniti che sfidò Bush, prese più voti di lui, ma uscì sconfitto dal giudizio della Corte Costituzionale", ed ecco che Paolo scatta su "ma papà, com'è possibile che questo abbia preso più voti di Bush ma il presidente è Bush? Come è possibile che il presidente degli Stati Uniti venga deciso da una Corte? Non fanno anche loro le elezioni?". "Certamente che fanno le elezioni, ma in quell'occasione, il risultato era incerto ed è dovuta intervenire la Corte". In questi casi Paolo non si accontenta mai e a ogni risposta, ribatte con una domanda, Giorgio lo sa e presto smette di voler seguire le notizie e si prepara una spiegazione che regga alle obiezioni del figlio.

"Ma non è sufficiente contare i voti e vedere chi ne ha presi di più?".

"Vedi, Paolo. Prima di tutto il sistema americano è un po' più complesso, ma anche se non lo fosse, in questo caso i due candidati erano così vicini nel numero di voti, che non era proprio possibile stabilire chi ne avesse di più". Paolo prova un'altra carta e tira fuori i sondaggi: "se non ricordo male, mi sembra di aver sentito che prima delle elezioni, c'erano sondaggi che davano Bush in vantaggio di 10 punti e altri che lo davano perdente di 15! Non basta guardare quali sondaggi sono fatti meglio per capire chi ha vinto, se i risultati sono uguali?". "Sui sondaggi ti ricordi bene, ma questo non vuol dire che c'erano sondaggi fatti meglio e altri peggio. È solo un'altra conferma che il risultato è stato così indeterminato che nessuno prima è stato in grado di prevederlo: hanno sbagliato tutti, e molto, chi a favore dell'uno, chi dell'altro".

Paolo capisce che la via dei sondaggi non lo porterà a niente e così torna sui suoi passi e ripropone la questione principale: "scusa, ma non era sufficiente contare le schede e vedere chi aveva più voti?". Giorgio ha finito di mangiare la pasta con gli zucchini, così si alza un attimo a prendere una penna e il bloc-notes vicino al telefono: in questo modo si sente più tranquillo, ha un punto d'appoggio, può scrivere qualche numero ed è più sicuro di non ingarbugliarsi troppo con le cifre.

"Vedi Paolo, oggi sappiamo che Al Gore ha ottenuto circa 226.000 voti in più di George Bush. Al di là del sistema elettorale, questo, a prima vista, sembrerebbe un risultato favorevole al candidato democratico: e infatti è stato anche detto che Gore è il vincitore sostanziale, anche se non verrà eletto, dal momento che ha preso più voti. Io non so spiegarti tutti gli aspetti tecnici del sistema americano, ma ti assicuro che questi pochi voti di scarto non sono un margine sicuro per attribuire una vittoria".

"Ma neanche per attribuire una sconfitta!", "certamente". "E poi, papà, a me 226.000 voti non sembrano affatto pochi". "Lo sono. Lo sono. Pensa che i seggi elettorali negli Stati Uniti sono 220.000. Sai cos'è un seggio, vero?", ogni tanto, davanti all'età del figlio, Giorgio non sa più cosa questi sappia e cosa no, e così gli capita di avere di questi dubbi.

"Certo! È dove tu e la mamma, e tutti quelli del quartiere, andate a votare". "Bene, è così. Solo che non ci va tutto il quartiere, ma un gruppetto di un migliaio di persone appena: i seggi non devono avere troppi elettori, ma solo circa mille, in modo da permettere di sapere i risultati in poco tempo. Ed è qui il problema".

"Io non riesco a vederlo, il problema". "Abbiamo detto che Gore ha preso 226.000 voti in più e che i seggi americani sono circa 220.000. Allora quanti voti in più aveva in ciascun seggio? Prova a calcolarlo". "È facile, circa uno per seggio, in pochissimi posti due". Giorgio è contento della velocità con cui il figlio lo segue e questo gli da nuova carica nello spiegare le cose. Così ignora la cena e deve sentirsi rimbrottare da Lucia perché fa raffreddare il cavolfiore, mentre Anna, che deve essere un po' gelosa di questo loro momento a due, fa in sottofondo battutine sui due grandi analisti della politica internazionale.

Loro, però, non si fanno distrarre da nulla. "E detto così, non ti sembra che il margine di vantaggio di Gore, un voto per seggio, è veramente esiguo? Talmente esiguo che non è possibile decidere se Gore ha effettivamente vinto su Bush o meno". Paolo non coglie ancora la questione e così insiste sulla sua posizione: "non era sufficiente contare i voti seggio per seggio e in ciascuno vedere se Gore aveva o no il suo voto di vantaggio?". "In teoria sarebbe sufficiente", risponde con pacatezza Giorgio che sa che qui sta il punto delicato, "soltanto che, purtroppo, nessuno è o era in grado di evitare che venisse commesso dagli scrutatori di un seggio un unico errore su mille schede: e un errore era sufficiente a spostare l'equilibrio dal vantaggio di Gore, a un ipotetico vantaggio di Bush".

"Potevano fare i conti al computer…". "Vedi, Paolo, gli errori di calcolo sono inevitabili, sia che i conteggi siano fatti a mano sia che vengano fatti fare a una macchina. Non esiste nessuna macchina che non faccia nessun errore".

"Potevano almeno cercare di fare meno errori". Su quest'obiezione, papà Giorgio pensa un attimo; sposta di lato il piatto, incurante di un'occhiataccia di Lucia; e si mette a fare qualche conto sul suo blocco.

"Certo. Questo è vero: potevano cercare di fare meno errori. Ma comunque, un errore ogni mille schede è un errore davvero molto piccolo. Se ti chiedo quanto è lungo questo tavolo, tu cosa mi rispondi?", "più o meno un metro", "vedi? Tu ti accontenti di dirmi più o meno un metro e fai bene: per sapere quanto è lungo il tavolo va benissimo la tua risposta. Ma un errore su mille nella misura del tavolo, è un errore di un millimetro".

"Minuscolo. È impossibile misurare il tavolo con quella precisione!". "Bravo, vedo che hai capito: una misura sbagliata di un millesimo è una misura molto molto precisa, quasi irrealizzabile. È come se sbagliassimo di cento metri la misura dell'autostrada Torino-Milano. Come hai visto per il tavolo, siamo abituati a sopportare errori molto maggiori dell'un per mille".

"Già", Paolo sembra iniziare a capire come stanno le cose, "penso proprio che siamo costretti a ritenere accettabile commettere un errore ogni mille".

"Perfettamente", Giorgio tira un sospiro di sollievo: non è mica scontato che in questo periodo riesca a convincere il figlio dei suoi ragionamenti, "e così, siamo di fronte a uno dei possibili paradossi di un sistema elettorale maggioritario. In un sistema in cui tra due contendenti vince chi prende più voti, non è detto che dopo le elezioni si possa decidere chi ha vinto. Se lo scarto tra i due candidati è molto basso, in particolare più basso dell'errore che il sistema di calcolo può commettere, il risultato finale è indeterminato".

"Allora non sempre le elezioni danno un risultato?". "Certo. E questa è stata proprio la situazione di impasse in cui gli Stati Uniti sono piombati. Per fortuna, però la situazione non è poi così drammatica e non bisogna certo rifare le elezioni (che potrebbero riportare allo stesso risultato). La sostanziale parità tra i due candidati significa semplicemente che entrambi hanno avuto lo stesso consenso, e che quindi chiunque fosse stato scelto dalla Corte avrebbe avuto lo stesso diritto e la stessa legittimità a diventare il presidente degli Stati Uniti".

"È come dire che la matematica non serve a risolvere tutto?".

"Oh! Questo è sicuramente vero, ma non in questo caso. Per le elezioni americane la matematica è stata essenziale: ci ha detto che il risultato era necessariamente indeterminato, che doveva essere considerato come un pareggio e che quindi era inevitabile che la decisione venisse presa da un tribunale. Quello che possiamo dire di avere imparato invece è che non è sempre possibile scegliere tra due candidati (come vogliamo fare col sistema maggioritario): ci sono situazioni nelle quali il risultato è un pareggio".

Paolo è soddisfatto della chiacchierata. La mamma un po' meno e sgrida i suoi due uomini che mangeranno freddo anche questa sera. E mentre parte la sigla del telegiornale, Giorgio e Paolo mangiano in silenzio, sorridendosi con gli occhi, il loro cavolfiore ormai freddo. Nel frattempo, Anna sta già mangiando le mele e mostra evidenti segni di impazienza in direzione del fratello.

Conclusione: gli errori

Qualsiasi misura facciamo, possiamo essere certi che commetteremo qualche errore, che si tratti di una lunghezza o di un peso, di una durata o di un sondaggio, di una velocità o del numero dei voti di un'elezione. Non si può realizzare nessun sistema, gestito da un uomo o da un computer, che non commetta errori.

Solo nella teoria esistono le misure esatte, la realtà invece è fatta di strumenti concreti (i cui materiali possono deteriorarsi, incepparsi, funzionare male), di persone che sbagliano, di azioni ripetitive che annoiano: in una parola di limiti (umani) che non si possono ignorare, ci sono. Gli errori sono inevitabili.

D'altra parte, però, in ogni misura che facciamo, c'è un errore, talmente piccolo, che riteniamo accettabile. Come osserva Paolo, è quasi impossibile misurare un tavolo con un errore di un millimetro. E poi che senso avrebbe dire che un tavolo à largo 79,93 centimetri? Per la stragrande maggioranza degli usi di un tavolo, lo si può tranquillamente considerare largo 80 centimetri.

Così, in generale, qualsiasi azione, applicazione, utilizzo può realizzarsi perfettamente anche in presenza di un certo errore. Tutto quello che interessa, per non avere sorprese, è cercare di sapere qual è questo errore che riteniamo accettabile.

Il problema allora è trovare un compromesso tra quello che non possiamo evitare e quello che siamo disposti ad accettare.

Come interviene la matematica in tutto ciò?

La matematica, con la teoria degli errori, cerca di dare delle regole che possano far prevedere, a priori, quant'è un errore inevitabile; delle regole, cioè, che ci dicono che facendo una misura di un certo tipo avremo un certo errore "e" (ad esempio di 1/1000 o di 1/100000). La matematica prova a prevedere quali possono essere i risultati di una misurazione, rispetto alla misura ideale.

Detto in altre parole, quando misuriamo l'oggetto "x", la sua misura m(x) viene trovata, come si dice, a meno dell'errore "e". Questo vuol dire che, prima ancora di effettuarla, sappiamo che non troveremo esattamente m(x), ma uno qualsiasi dei numeri che stanno tra m(x)-e e m(x)+e.

Prima di realizzare la misura, abbiamo cioè la certezza che il risultato che otterremo, nel migliore dei casi possibili, sta tra m(x)-e e m(x)+e. Questo non vuol dire che sia impossibile fare un errore più grande (se sono distratto posso trovare anche un metro e mezzo, come lunghezza di un tavolo di un metro: naturalmente, non c'è limite agli errori che posso commettere), ma solamente che non è possibile evitare di commettere almeno l'errore "e". Il risultato tra m(x)-e e m(x)+e dipende dalle condizioni in cui mi metto: se misuro lo spessore di un vetro con un metro da falegname o con un calibro, so a priori di avere due errori inevitabili diversi, molto più grande nel primo caso, molto più piccolo nel secondo.

Una volta scoperto qual è l'errore inevitabile, è possibile decidere sul da farsi, sulla base di quello che riteniamo accettabile. La matematica definisce i limiti di errore, i nostri obiettivi e le nostre aspettative ci dicono se siamo disposti a correrli o se, piuttosto, preferiamo non rischiare.