Dossier

Ulcere cutanee: Torino all'avanguardia nazionale

Terapie di frontiera

letto ulcere - san luca La formazione di piaghe da decubito in pazienti costretti a lungo in un letto è data tanto per scontata che la loro assenza suscita stupore tra gli stessi operatori sanitari. «L’assoluto in medicina non esiste», spiega Elia Ricci, responsabile dell’Unità operativa di vulnologia presso la clinica «San Luca» di Pecetto Torinese, «ma con semplici accorgimenti si può prevenire, mal contato, l'80 per cento delle lesioni». È fondamentale, pertanto, «pianificare accuratamente gli interventi di prevenzione, a partire dalla valutazione iniziale del paziente, passando per la quantificazione del rischio, fino ad arrivare all’identificazione del presidio più idoneo al bisogno rilevato». In alcuni casi è possibile ottenere un miglioramento anche delle lesioni preesistenti.

Accanto a cuscini a bolle d’aria intercomunicanti, gel e materiali termoreattivi, esistono materassi «a pressione dinamica», che variano cioè la distribuzione dell’aria e la pressione in base al peso e ai cambi di posizione del paziente; i modelli più avanzati comprendono anche sistemi di ventilazione che riducono i fenomeni macerativi indotti dall’eccessiva umidità cutanea. Uno studio condotto al «San Luca», in collaborazione con un’azienda produttrice che ha fornito i materiali, ha dimostrato la notevole efficacia di questi presidi nel ridurre la pressione nei punti di decubito: «Valori di picco superiori ai 200 mmHg si riducono a 90-50 mmHg; pressioni medie di 110 mmHg possono scendere fino a 25-35 mmHg», riferisce Ricci. «Abbiamo rilevato un significativo miglioramento anche nei livelli di ossigenazione cutanea in corrispondenza delle aree più a rischio: i materassi avanzati garantiscono un’ossigenazione fino a sei volte superiore rispetto ai materassi di comune impiego in lattice o schiuma».

VAC Sul fronte terapeutico la principale novità degli ultimi anni è rappresentata dalla tecnologia Vac (Vacuum assisted closure). «Il sistema», spiega Leonardo Borghesio, responsabile per l’Italia dell’azienda che per prima al mondo ha brevettato questo tipo di ausilii, «si basa sull’impiego della pressione negativa e di un insieme di accessori che consentono di trattare le lesioni sia in fase cronica che in fase acuta». In pratica il Vac genera un vuoto localizzato in corrispondenza della ferita, grazie a un’unità motore che crea la pressione negativa, la controlla e la preserva. Una pellicola trasparente impermeabile in materiale mono-uso inerte (non contiene alcun principio farmacologicamente attivo) va a contatto con la lesione, la sigilla e la isola dall’esterno. «Quando l’unità motore crea la pressione negativa», prosegue Borghesio, «inizia una serie di processi meccanici, biochimici, biologici e fisici che permettono di riattivare la guarigione naturale. Quando si forma una lesione cronica, infatti, l’apporto nutrizionale normalmente veicolato dal sangue (attraverso vasi e capillari) si interrompe e, a livello di sistema tissutale e linfatico, si creano dei blocchi (clinicamente definiti edemi). La Vac, attraverso il “vuoto”, rimuove questi edemi e ripristina il circolo sanguigno. Questa è una descrizione molto semplificata, perché in realtà ci sono ragioni che sono ancora in fase di studio e sono correlate sia alla medicazione (in poliuretano a celle larghe), che crea delle macro e micro deformazioni a livello dei tessuti, sia alla pressione negativa e alla rimozione degli essudati (liquidi in eccesso), che eliminano o quanto meno riducono il rischio di infezione».

L’apparecchiatura di per sé è molto semplice, ma va usata sotto la supervisione di un medico, che deve valutare in base alle condizioni della ferita a quale livello di pressione impiegarla, se in modo intermittente o continuo... Il cambiamento della medicazione avviene con una certa frequenza, che va da uno a tre giorni. La Vac, come ogni presidio medico, ha delle indicazioni, delle precauzioni e delle controindicazioni. «Una delle applicazioni più frequenti e ormai quasi di routine è nell’ambito della cardiochirurgia», spiega Borghesio. «Talvolta, dopo l’operazione, la ferita nello sterno tende a riaprirsi. In questo caso si crea un processo infettivo abbastanza complesso e la lesione può raggiungere il pericardio. In queste situazioni la Vac è molto efficace, ma occorre usare precise precauzioni».

Il costo del trattamento con la Vac è elevato, se considerato in termini giornalieri, ma se si valuta l’intero ciclo terapeutico, risulta più economico delle metodologie tradizionali: «Con la Vac è possibile guarire lesioni in un tempo limitato, mentre con le cosiddette “medicazioni avanzate” occorre un periodo estremamente lungo e talvolta non si arriva neppure alla guarigione». Negli ospedali italiani questa tecnologia è abbastanza diffusa, soprattutto in alcune specialità. Scarso, invece, l’impiego nella cura a domicilio, che in gran parte delle Regioni, è a carico del paziente e risulta dunque troppo oneroso.

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