Sergio Pillon: grandi opportunità dalla telemedicina
Ha iniziato a occuparsi di telemedicina al Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) nel 1981. Se si considera che Internet, all’epoca, era agli esordi e che il personal computer è del 1985, è evidente che l’esperienza se l’è conquistata sul campo. Sergio Pillon, primario di Telemedicina all’ospedale San Camillo di Roma, ha condotto le prime sperimentazioni al Polo Sud nel 1987 ed è attualmente responsabile dell’unità operativa di Telemedicina nel programma nazionale delle ricerche in Antartide. «Ovviamente», spiega a margine del VII convegno Aiuc, «le ricerche servono per capire cosa fare e come farlo, poi occorre farlo. In Italia la cosa più difficile è proprio il cosiddetto “trasferimento tecnologico”, cioè applicare i risultati della ricerca alla vita di tutti i giorni. Io ho fatto questo trasferimento in modo quasi autonomo andando a lavorare come angiologo al San Camillo». La recente creazione di un’unità operativa di Telemedicina ha permesso a Pillon di avere un proprio “centro di costo” e dunque di agire in autonomia, con infermieri e medici dedicati.
Da luglio 2008 il San Camillo offre ai pazienti la possibilità di essere curati in telemedicina, ad esempio per risolvere un’ulcera cutanea. Chi è il vostro utente medio?
Spesso a fruirne sono persone appena dimesse dall’ospedale. Oppure infermieri del territorio che stanno seguendo pazienti con questo problema e che hanno bisogno di consultare uno specialista. O, ancora, medici di medicina generale che vogliono seguire i loro assistiti a casa.
Come si accede al servizio?
Sono necessari due requisiti: avere una lesione non troppo grave e disporre di un mezzo per la trasmissione dei dati. Per noi è sufficiente che il paziente o chi per lui abbia almeno un telefono cellulare con fotocamera e una casella di posta elettronica: in questo modo può spedire foto e messaggi al nostro indirizzo e-mail (ulcere@camilloforlanini.rm.it). Non è affatto difficile e in più non costa nulla al Servizio sanitario nazionale, anche in termini di tecnologie e attrezzature. Non è il sistema ideale (che dovrebbe contemplare, tra l’altro, le cartelle cliniche informatizzate), comunque offre una possibilità concreta di trasformare l’esperienza sperimentale in pratica. Insomma la telemedicina già oggi può essere un’opportunità concreta, bisogna solo avere la voglia di attivarsi. L’iniziativa, comunque, non dovrebbe essere lasciata ai singoli, ma incoraggiata a livello di amministrazione sanitaria, perché il sistema ne trae grande vantaggio in termini di efficienza e qualità di servizio.
Come si attiva, in concreto, l’assistenza in telemedicina?
Basta avere la richiesta del medico curante per una «visita specialistica internistica» e «medicazione angiologica», quindi si manda un’e-mail per fissare un appuntamento e ci si presenta nel giorno stabilito in reparto, al II piano, presso l’unità operativa di Medicina del San Camillo. Noi timbriamo la richiesta, il paziente la porta al Centro unico di prenotazione (Cup) e paga il ticket (se è dovuto). In questo modo apre una cartella clinica ambulatoriale: scattiamo le prime fotografie e creiamo una scheda di medicazione. Gli infermieri, parte importantissima del progetto, addestrano il malato (o chi lo segue) all’automedicazione, quindi lo rimandano a casa con un «protocollo di medicazione» e tutto il materiale necessario per eseguirla. Ovviamente si sbrigano anche altre procedure “burocratiche”, tra cui la firma del consenso informato e l’invio di una lettera al medico di base, che viene informato ufficialmente della procedura attivata dal suo assistito. Nei giorni seguenti il malato ci manda le fotografie relative alle varie fasi della medicazione. L’analisi delle foto ci permette di confermare la medicazione o suggerire eventuali modifiche (es. pulire meglio determinate zone...). In genere, soprattutto nella prima fase, si dà appuntamento al paziente per una prima verifica diretta, dopo due o tre di queste medicazioni a domicilio. Quando si presentino necessità particolari, per esempio un intervento di chirurgia plastica, contattiamo noi stessi il collega specialista, discutiamo assieme il caso e fissiamo un appuntamento tutti assieme. Insomma la telemedicina è solo un “francobollo”, perché in realtà il paziente entra in un sistema complesso dedicato al trattamento dell’ulcera.
Per fruire del servizio occorre risiedere a Roma?
No, in teoria non c’è alcuna limitazione territoriale. Il problema, semmai, è di tipo pratico, perché periodicamente i pazienti devono sottoporsi ai controlli in ospedale.