Scienza&design: binomio indissolubile
Il termine design ha assunto nel tempo significati diversi. Nel linguaggio corrente spesso indica il profilo estetico di un oggetto, ma più propriamente, secondo la definizione dell’ADI (Associazione per il disegno industriale), design è un «sistema che mette in rapporto la produzione con gli utenti, occupandosi di ricerca, innovazione e ingegnerizzazione, per dare funzionalità, valore sociale, significato culturale ai beni e ai servizi distribuiti sul mercato». I designer, spiegano all’Istituto europeo di design (IED), devono «saper coniugare la creatività con l’organizzazione, la consapevolezza individuale con la cultura collettiva, l’intuizione creativa con i vincoli delle tecniche». In altre parole devono riunire sapere umanistico e conoscenze scientifiche.
In Italia i primi designer sono stati alcuni laureati in architettura (ma anche artisti e artigiani), che hanno creato una figura professionale “ibrido”, quella del designer-architetto, tipica del Belpaese. Oggi le principali specializzazioni del designer sono: il «disegno industriale», cioè la progettazione per la produzione industriale di beni di consumo e servizi di varia natura (es. utensili, oggetti e mobili per la casa, mezzi di trasporto, apparecchi di illuminazione, accessori moda...), e il «design della comunicazione», vale a dire la progettazione per la comunicazione visiva, con ambiti applicativi che spaziano dai prodotti editoriali alla segnaletica (es. in musei, ospedali, aeroporti), dai sistemi di identità visiva delle aziende alla comunicazione sociale, dai caratteri tipografici ai siti web.
Il prodotto di design, in ciascun settore, tiene conto contemporaneamente delle valenze estetiche, funzionali d’uso e costruttive. «Il design», spiega Luisa Bocchietto, presidente ADI, «non è solo ricerca formale e funzionale del prodotto, ma anche ricerca sul processo». E aggiunge: «Senza la produzione e l’accesso alla tecnologia presente nell’azienda non si sperimenta innovazione; la ricerca solo formale è destinata a un ciclo di vita breve». L’opportunità di stare a contatto con la realtà produttiva che caratterizza da sempre il design italiano è uno dei principali fattori di attrazione per i designer di tutto il mondo. «In un periodo di de-localizzazione industriale, avvertita come pericolo, il design è una leva in grado di far evolvere il mercato anche in un contesto molto competitivo».
Università, scuole e centri di ricerca dell’area torinese sono particolarmente attivi anche nel cogliere i nuovi indirizzi del design, elaborando progetti innovativi in cui l’unione con la scienza resta basilare. È il caso, ad esempio, dello scooter a idrogeno ideato dagli studenti dell’Istituto d’arte applicata e design (IAAD), a partire dalle tecnologie messe a punto dal centro ricerche dell’EnviPark. L’obiettivo era arrivare a confezionare un “vestito” per un concetto, il risultato è un prototipo che coniuga funzionalità, stile e look “corsaiolo”. Altrettanto interessante la vettura ecologica «beON», concept car in scala reale, progettata dagli allievi dell’Istituto europeo di design (IED). Il veicolo è pensato per viaggiare con la massima libertà in qualunque contesto, dalla “giungla” cittadina ai luoghi più selvaggi. Così, ad esempio, la superficie morbida degli esterni cambia forma e colore enfatizzando la leggerezza della vettura e la sua manovrabilità; l’ampio tettuccio in vetro e plexiglass dà la sensazione di essere immersi nell’ambiente circostante; il motore ibrido termico-elettrico, legato a una particolare trasmissione idraulica presente all’interno del mozzo di ogni ruota, offre ottime prestazioni in fuoristrada e, fungendo anche da freno, permette di eliminare il tradizionale impianto pinza-disco.
Da segnalare, infine, il sistema di telemonitoraggio/teleassistenza per persone fragili (es. anziani, individui con handicap fisici, malati...) messo a punto all’Istituto Superiore Mario Boella (ISMB) e al Politecnico. Elemento-chiave del progetto è un orologio che rileva in modo automatico la temperatura cutanea, i micro e macro movimenti (dita e polso), la temperatura e la luminosità ambientale, il battito cardiaco. Il dispositivo comunica via radio con una stazione base, posta a domicilio dell’utente, che elabora i dati acquisiti individuando situazioni anomale (es. immobilità prolungata, disagio termico...) e trasmette le informazioni a un centro servizi. Il sistema rispetta i requisiti normativi previsti per i dispositivi di allarme, ma offre anche la massima usabilità e discrezione: «Chi indosserà l’orologio», spiegano i progettisti, «non si sentirà diverso, ma aiutato da un oggetto familiare e facile da utilizzare».
In ciascuno di questi tre progetti “torinesi” il design è stato capace di cogliere le trasformazioni in atto a livello tecnologico, ambientale, sociale, traducendole in oggetti del tutto funzionali. Un’abilità che è stata al centro della fortunata mostra «Design and the elastic mind», allestita al Museo di arte moderna (MoMa) di New York fino ai 12 maggio scorso. L’esposizione, curata dall’italiana Paola Antonelli, direttrice del Dipartimento di architettura e design del Moma, è stata eletta «mostra dell’anno» da molti esperti per la sua grande originalità e l’elevato contenuto culturale. L’obiettivo della rassegna era esplorare la relazione biunivoca tra scienza e design nel mondo contemporaneo, coniugando oggetti di design e concetti provenienti dalle avanguardie della ricerca scientifica, secondo il criterio dell’«intelligenza elastica», cioè adattabilità più accelerazione: le caratteristiche indispensabili per rincorrere i cambiamenti della società in cui viviamo. «Negli ultimi decenni», spiega la curatrice, «le persone hanno sperimentato e affrontato trasformazioni radicali nei principali ambiti della vita umana: tempo, spazio, materia, soggettività. Spostarsi rapidamente per lavoro o turismo in Paesi con fusi orari differenti, passare con relativa facilità dalle mappe satellitari alle immagini nanometriche...: la gente ogni giorno è alle prese con cambiamenti su ogni scala. Le intelligenze si adattano e acquisiscono l’elasticità necessaria a organizzare tanta abbondanza informativa. Uno dei principali obiettivi del design è fare da tramite tra le rivoluzioni e la vita quotidiana, e aiutare le persone ad affrontare i cambiamenti».
I circa 200 oggetti esposti al Moma sono stati realizzati da designer, scienziati e ingegneri di tutto il mondo. Alcuni sono frutto di ricerche in fieri, altri sono provocazioni ancora difficili da accettare, ma il designer risulta sempre al centro dell’innovazione, impegnato a tradurre il cambiamento in oggetti e usi quotidiani. La «Bone chair» di Joris Laarman, ad esempio, nasce al computer replicando il modo in cui crescono le ossa del corpo umano. Su un piano più ironico, ma attento alle trasformazioni sociali e antropologiche, il progetto «Smell+» di James Auger è un sistema di maschere e boccagli che consentono di annusare gli odori degli altri “a distanza” (per esempio attraverso un muro): l’obiettivo è sollecitare una riflessione sulla diminuita importanza nell’uomo dell’olfatto, un senso estremamente utile in passato per distinguere ad esempio i cibi avariati, per scampare a un incendio, individuare il partner ideale; frigoriferi, rilevatori di fumi, deodoranti e profumi hanno stravolto la fisiologia umana. Altrettanto interessanti i display di dati che propongono centinaia di annunci matrimoniali in flussi di bolle a forma di cuore, sui quali è possibile condurre ricerche o fare modifiche; e, ancora, i «Biowall» di Rachel Wingfield e Mathias Gmachi, pareti e divisori ispirati alle strutture naturali, come le catene di molecole.
Altri interessanti esempi di connubio tra scienza e design si sono visti, sempre quest’anno, a Pechino, in molte strutture olimpiche, a partire dallo stadio-simbolo dei Giochi, a forma di nido. Il palazzetto del nuoto «Watercube», progettato dallo studio australiano PTW Architects, è invece ispirato alle forme dell’acqua. L’obiettivo concettuale, ha dichiarato l’architetto John Bilmon, è «portare coloro che si trovano sia all’esterno sia all’interno a riflettere sulla propria esperienza con l’acqua»; l’obiettivo materiale è il basso impatto ambientale. La copertura di etilene-tetrafluoroetilene al posto di “semplici” vetrate, ad esempio, è in grado di conservare con maggiore efficacia il calore del sole (permettendo un risparmio energetico del 30%), mentre il sistema di raccolta della pioggia arriva ad accumulare fino a 10.000 metri cubi all’anno (l’acqua necessaria all’impianto è riciclata all’80%). E, ancora, «GreenPix», schermo gigante progettato e realizzato in meno di due anni da Simone Giostra, giovane architetto italiano con studio a New York, è una “mediatecture”, un modo innovativo di integrare la tecnologia nell’architettura. La facciata è composta da centinaia di celle fotovoltaiche che contengono punti luce led (circa 2.300): di giorno accumulano l’energia che terrà acceso lo schermo al calare del sole. Un sistema scelto perché consuma poco (l’energia che autoproduce) e perché proietta un’immagine che gioca su due percezioni: nitida e precisa da lontano, sgranata a distanza ravvicinata, come nelle opere indefinite degli artisti astratti.
A chi desiderasse approfondire queste tematiche segnaliamo il volume di Silvestro Marcello «Progettazione di una sedia: il design tra scienza e creatività» (Dedalo librerie, 2004, pp. 116, 22 euro). «La sedia, intesa come postazione di lavoro, simbolo del passaggio dall’homo erectus all’homo sedens, provoca danni alla colonna vertebrale», spiega l’autore. «Lo stare seduti per molto tempo è di per sé una condizione dannosa, a cui si aggiungono i problemi causati da cattive posture indotte da sedie mal progettate. Si impone quindi lo studio di una sedia ergonomica e fondamentali, in una tale progettazione, sono l’aspetto scientifico della seduta, l’antropometria, la variabilità dell’utenza e l’aspetto estetico-simbolico». Un esempio semplice, tratto dall’esperienza quotidiana, che testimonia come il progetto di design, qualunque esso sia, si innesta sempre su solide basi scientifiche al fine di soddisfare un bisogno estetico, funzionale e produttivo.