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Le immagini che aiutano la medicina

Pet

La Pet è la più nuova e la più costosa fra le tecniche di diagnostica medica. Significa tomografia a emissione di positroni (positron emission tomography) ed è un esame che sfrutta i positroni, le antiparticelle degli elettroni, che si formano in particolari reazioni di decadimento radioattivo, per visualizzare il funzionamento di un organo. A differenza della Tac, che dà informazioni sulla forma degli organi, la Pet ne rivela l’attività. E poiché i cambiamenti funzionali si manifestano prima delle alterazioni della struttura, la Pet permette una diagnosi più veloce, in particolare per alcune forme di tumore.

La Pet è utilizzata nella grande maggioranza dei casi in campo oncologico, per la diagnosi o per valutare l’andamento della terapia. Può servire anche per verificare la presenza di alcune malattie neurologiche o il funzionamento del cuore. La Pet è utilizzata nella ricerca per studiare l’attività del cervello, ad esempio per stabilire quale area lavora durante una specifica azione.

Si tratta però di un esame che richiede un’apparecchiatura complessa e la vicinanza ad un ciclotrone che produca il tracciante, la sostanza radioattiva da iniettare al paziente. Per questo ancora pochi ospedali possono fare quest’esame e diverse regioni italiane non hanno neanche un apparecchio.

Come funziona

Si sceglie innanzitutto la molecola più rappresentativa del processo biologico da studiare. Nel caso di un tumore questa molecola è il glucosio: le cellule maligne ne consumano di più rispetto alle cellule normali. La Pet va individuare questo iperconsumo. Prima di cominciare, bisogna inserire fra gli atomi delle molecole di glucosio che saranno iniettate al paziente un “tracciante”, un atomo in grado di manifestare la propria presenza. Il più utilizzato è il fluoro 18, un isotopo radioattivo di questo elemento. Il fluoro 18 deve essere fabbricato in un ciclotrone, l’apparecchio che serve a produrre gli atomi radioattivi. Ma il ciclotrone non deve trovarsi troppo lontano dall’ospedale perché il fluoro 18 è radioattivo solo per qualche ora e non può essere conservato.

Il fluoro 18 incorporato alla molecola di glucosio forma il fluorodesossiglucosio (18 FDG). Questo composto viene iniettato nel paziente che resta a riposo per 45 minuti circa, il tempo necessario al prodotto per diffondersi nell’organismo. Nel frattempo gli atomi radioattivi del fluoro, che si concentrano specialmente nelle cellule tumorali, iniziano a decadere emettendo un positrone. Il paziente viene allora disteso su un lettino e immesso nell’apparecchio. I positroni emessi, dopo aver percorso nel corpo in media qualche millimetro, incontrano un elettrone di un altro atomo. E, come ogni volta che materia e antimateria si incontrano, positrone ed elettrone si annichilano, cioè si distruggono a vicenda ed emettono energia sotto forma di due fotoni, due “granelli” di luce che si allontanano l’uno dall’altro in direzioni opposte.

Queste annichilazioni si producono diverse migliaia di volte al secondo nel corso dell’esame. La Pet è dotata di una serie di “telecamere” disposte a corona intorno al paziente, in grado di registrare questi impatti. Infatti catturano i fotoni opposti emessi durante le annichilazioni e li trasformano in segnali elettrici. Un calcolatore riceve queste informazioni e calcola la posizione dell’impatto. Con questi dati ricostruisce poi delle immagini in due o tre dimensioni della zona analizzata.

Nuovi apparecchi all’avanguardia effettuano la Tac-Pet, che permette di sovrapporre i risultati riguardanti la forma e l’anatomia degli organi forniti dalla Tac con quelli sul funzionamento delle cellule provenienti dalla Pet.

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