Dossier

Piemonte & robot, una passione che punta al primato

"Passion for robots": convegno internazionale a Torino

Dal golem della tradizione ebraica ai robot di Isaac Asimov, dallo zombie del dottor Frankenstein agli androidi di «Blade runner»: l’idea dell’essere inanimato che diventa vivo e autonomo da secoli affascina gli uomini e li angustia, facendoli oscillare tra deliri di onnipotenza e timori che l’”artificio” si rivolti loro contro. Ma fino a che punto si tratta di fantasie? Qual è la realtà degli automi oggi? Cosa sapranno fare in futuro e quanto potranno diventare intelligenti? Domande difficili, a cui hanno tentato di rispondere alcuni dei più prestigiosi esperti di robotica su scala mondiale, riuniti al convegno «Passion for robots», organizzato lo scorso 11 giugno da Politecnico di Torino, Camera di commercio, ITP, ARP e Amma. Tra i relatori, moderati da Paolo Dario della Scuola superiore Sant’Anna di Pisa: Minoru Asada, professore all’Università di Osaka; Aude Billard, docente alla Scuola politecnica federale di Losanna; Giulio Sandini, direttore di dipartimento all’Istituto italiano di tecnologia di Genova; ed Enrico Minelle, membro del comitato esecutivo dell’International federation of robotics (Itf).

Asada Minoru Ad Asada, in particolare, è toccato il compito di illustrare lo stato dell’arte in Giappone dove, ha spiegato, «l’attrazione per i robot è anzitutto connessa alla cultura animista», che induce ad attribuire una personalità a ogni cosa animata o inanimata: «gli automi pertanto non sono nemici da temere, bensì compagni o membri della famiglia». Un approccio tanto più funzionale se si considera che nel 2050 un terzo dei giapponesi avrà oltre 65 anni e necessiterà di adeguata assistenza da parte di una figura di fiducia (come un robot) che gli ricordi quando prendere le medicine, pulisca la casa, chieda soccorso in caso di necessità… Non a caso l’obiettivo del governo nipponico, peraltro condiviso da quello della Corea del Sud, è di portare un robot in ogni casa entro il 2020.

Robocup Asada dal 2002 è anche presidente della «RoboCup», sfida ideata nel 1993 con l’obiettivo di realizzare entro il 2050 una squadra di robot umanoidi autonomi in grado di sfidare e, possibilmente, battere a calcio i campioni del mondo “in carne e ossa”. Al di là dell’elemento ludico, la competizione intende incentivare la ricerca di robot intelligenti concentrando gli sforzi attorno a un problema comune. Secondo Asada la “naturale” estensione di RoboCup sarà la creazione di un luogo, il «RoboCity CoRE» (Center Of RoboT Experiments), aperto a ricercatori, artisti, aziende e cittadini affinché, oltre a confrontarsi nell’annuale RoboCup, interagiscano tra loro e stimolino la nascita di nuove idee. Un programma ambizioso, che probabilmente vedrà la luce già nel 2011 a nord di Osaka.

Dopo aver illustrato le principali eccellenze giapponesi in fatto di robotica umanoide (es. «Asimo» della Honda, «Qrio» della Sony, gli androidi del collega Yasuo Kuniyoshi all’Università di Tokyo e quelli di Hiroshi Ishiguro all’’Università di Osaka, impressionanti per il loro realismo), Asada ha spiegato che è giunto il tempo di passare alla «scienza umanoide», una disciplina mirata allo studio dell’intelligenza artificiale derivante dall’interazione con l’ambiente, incluso l’uomo. Secondo le più recenti teorie sull’«intelligenza artificiale» (intesa come capacità di un computer a svolgere funzioni e ragionamenti tipici della mente umana e comprendente abilità come l’apprendimento e il ragionamento automatico, la pianificazione, la cooperazione tra agenti intelligenti, l’elaborazione del linguaggio naturale, la simulazione della visione e l’interpretazione delle immagini), la vera intelligenza artificiale può essere raggiungibile solo da robot (non necessariamente di forma umanoide) in grado di muoversi (su ruote, gambe, cingoli o quant’altro) e interagire con l’ambiente che li circonda, grazie a sensori e bracci meccanici.

Purtroppo nell’evoluzione delle macchine intelligenti si è cercato di saltare intere generazioni di macchine più modeste, ma in grado di fornire preziosi stimoli per capire come gli organismi biologici interagiscono con l’ambiente attraverso la percezione, la locomozione, la manipolazione. Ora la «scienza umanoide» segue un approccio più coerente: prima di insegnare a un robot a giocare a scacchi, è necessario insegnargli a muoversi, a vedere, a sentire. Insomma, anche nel robot intelligente occorre creare una “infanzia”, che gli consenta di mettere a punto autonomi processi di apprendimento e adattamento all’ambiente in cui si troverà ad agire.

child robot 2 Ed è quanto stanno facendo i ricercatori giapponesi con il progetto «Child robot with biomimetic-body» (CB²), un robot con le sembianze di un bambino, alto 130 cm per 33 kg di peso. È mosso da 56 attuatori pneumatici; ha il corpo interamente rivestito da “pelle” di silicone, sotto la quale giacciono 197 sensori tattili. È in grado di muoversi in modo fluido e di eseguire movimenti guidati dall’uomo, oltre che reagire a determinati stimoli esterni. Anche all’Istituto italiano di tecnologia (IIT) di Genova è in corso un programma analogo coordinato da Giulio Sandini, che punta a realizzare un «RobotCub» (cucciolo di robot).

Billard Aude Una delle sfide principali è sicuramente il trasferimento delle nostre conoscenze e competenze ai robot. «Gli uomini e gran parte del mondo animale imparano attraverso l’imitazione», ha spiegato Aude Billard. «L’apprendimento serve da “scossa” per l’evoluzione. Quando un comportamento nuovo e sperimentale si rivela utile alla sopravvivenza della specie, la capacità di metterlo in atto e la sua imitazione da parte degli altri membri del gruppo sono favorite dalla selezione naturale». Durante i primi anni di vita i bambini imparano per gradi, rivelandosi via via capaci di imitare le espressioni del viso (0-3 mesi), apprendere dai tentativi fallimentari (18 mesi), selezionare cosa imitare (36 mesi). Un processo che è molto difficile trasferire ai robot perché, ha proseguito Billard, «imparare le abilità umane attraverso l’imitazione significa sapere cosa, come, quando e chi imitare». Problemi su cui si stanno concentrando i principali esperti mondiali, ma che al momento restano sostanzialmente aperti.

La tecnologia robotica, dunque, promette di aiutare a risolvere molti problemi quotidiani, ma macchine dotate di intelligenza tanto evoluta da prendere autonomamente decisioni restano altamente ipotetiche. Saranno quindi ancora gli esseri umani ad avere il controllo sulle scelte e le decisioni importanti. In prima fila i giapponesi e i sudcoreani, ma si spera anche gli italiani.

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