Dossier

Il senso di Smilla per la scienza

Ordine e catastrofe caotica

Il precipitarsi della vita e del mondo in un disordine senza speranza né illusione, nelle opere di Høeg, appare necessario e ineluttabile. Sia in Smilla che nei tre racconti scientifici dei Racconti notturni, Høeg mostra aderire, almeno narrativamente, a una specie di seconda legge della termodinamica, a cui si era rivolto qualche anno prima lo statunitense Thomas Pynchon con il suo celebre, fulminante racconto Entropia (1960): due “sistemi” di amici, indipendenti uno dall’altro, vivono su piani diversi di un medesimo palazzo: uno dei due gruppi è totalmente aperto agli scambi e il suo aumento di entropia è costante e senza freni. L’altro rappresenta invece un sistema chiuso costituito da una coppia che accudisce una piccola coltivazione all’interno di un appartamento completamente sigillato. Anch’esso però non riuscirà a combattere l’avanzata instancabile dell’aumento antropico. Entrambi i sistemi andranno incontro al caos.

Di un viaggio dentro il caos è protagonista fin dal titolo - Viaggio in un cuore di tenebra - David Rehn, il giovane matematico “appassionato della trasparente, purificatrice scientificità dell’algebra, dalla quale ogni incertezza terrena è eliminata per distillazione.” Viaggio non lineare, circolare piuttosto, visto che le catastrofi caotiche ritornano, in ambienti e situazioni diversi, a sottolineare l’assoluta immanenza del disordine. Intrapresi gli studi di matematica, Rehn cede di schianto non appena conosce un collega che presto sarà così celebre per i suoi teoremi da modificare la direzione dell’immaginario del mondo: Kurt Gödel. Abbandonata la matematica, che ormai dopo le rivelazioni di Gödel aveva perso qualsiasi valenza protettiva, David parte per l’Africa nera. Dopo essere precipitato nel precipizio caotico aperto dalle verità di Gödel, Rehn riesce pian piano, con fatica, a ritrovare un precario equilibrio. Ma d’improvviso si ritrova coinvolto nell’inaugurazione di una ferrovia belga in Africa che lo condurrà nuovamente alla perdita di ogni riferimento.

Anche in Immagine riflessa di un giovane in equilibrio, il folle progetto della costruzione di un telescopio riflettore con uno specchio di vetro rivestito d’argento di ben 7 metri, in un disperato “tentativo di smorzare l’angoscia guardando insieme verso le stelle”, contrapponendo la simmetria e l’ordine al caos, si trasforma in un incubo senza fine. Lo specchio è tanto veritiero da osservare e riflettere tutte le sensazioni, tutte le emozioni, tutte le contraddizioni, tutti i desideri, proiettandoli nel cielo. Nato per cogliere la verità profonda, il telescopio sortisce l’effetto opposto: la verità diventa del tutto inconoscibile.

Ma è in Esperimento sulla durata dell’amore che il tema del decadimento si fa motore centrale della narrazione. È la storia (inventata di sana pianta) della bellissima Charlotte Gabel, una fisica vissuta all’epoca dell’esplosione della teoria dei quanti, a cui dette un contributo fondamentale collaborando a lungo Bohr e con i più importanti fisici in visita a Copenaghen. I pensieri, le azioni di Charlotte sono rievocati da uno dei suoi tanti spasimanti: Charlotte generosa di idee, di confronti, di consigli scientifici, volle tenere per se stessa un esperimento del tutto particolare: un esperimento sulla persistenza dell’amore. Ovvero: capire le condizioni nelle quali un amore può durare. La giovane Charlotte, infatti, si era ben presto resa conto che “l’Eden verso il quale tutta la sua vita era diretta non sarebbe mai potuto essere altro che un breve ordine in un caos crescente (…) perché nel mondo è così, l’amore si disgrega spontaneamente. (…) E in quel momento comprese che sarebbe diventata un grande fisico e avrebbe dimostrato al mondo che la caratteristica dell’amore è che un bel giorno è finito”. A onor del vero non è necessario aver frequentato a lungo Bohr per concludere che l’amore, un bel giorno, può finire. Ma non è tutto qui: in realtà la teoria di Charlotte è molto più sottile.

Avvolti i suoi pensieri nella fisica moderna, Charlotte rifiuta il mondo, rifiuta la vita, rifiuta il tempo e le relazioni sociali. Rimane, dentro di lei, la scienza, vissuta e pensata. I suoi esperimenti mentali la portano a giustificare la sua solitudine, con la conclusione che “solo la persona che rappresenta un sistema chiuso conserva costante il proprio amore”. È esattamente lo stesso spunto di Entropia.

Il grado di disgregazione dell’amore, tuttavia, è tale che solo la prima volta una persona ama con la massima forza. Ogni volta che si ripresenta, poi, l’amore è più debole della volta precedente. E questa straziante verità sulla disintegrazione dell’amore si può e si deve – secondo Charlotte –comunicare a tutti: “Io sono convinta che taluni sentimenti si disintegrino spontaneamente. Nella vita del singolo essere umano, ma anche nel corso della storia. Che nelle passate epoche storiche i sentimenti fossero molto più forti di quelli di ora”. È impossibile non vedere nelle parole di Charlotte che la caduta nel disordine ha le stesse caratteristiche della radioattività, cioè la disintegrazione naturale di certi elementi chimici pesanti: il decadimento visto come espressione della legge dell’aumento dell’entropia.

Ma Charlotte non si dà per vinta: la forza dell’amore, l’energia impiegata nell’amore delle prime volte, individuali e storiche, non può essere semplicemente dispersa. Se l’amore nel corso della storia è andato diminuendo, dove è la sua eco? Dove le sue impronte?

Høeg, attraverso Charlotte, sta cercando di recuperare l’ordine, la simmetria, con un principio di conservazione: il principio della persistenza dell’amore, appunto. Per inciso, Høeg-Charlotte utilizza una metafora chiaramente cosmologica: con l’espansione dell’universo la radiazione primordiale si è raffreddata, e oggi siamo in grado di coglierne una eco, sostanzialmente isotropa, che testimonia di una fase primordiale nota come Big Bang. Se questo è vero, sembra ragionare In Høeg perché l’amore espresso secoli, millenni fa dovrebbe essersi perso nell’universo?

“Sono convinta che ogni sentimento lasci una traccia nella persona e nel suo ambiente. Ogni atomo riceve un impulso, di energia che si deposita come un tremito, per così dire, come una vibrazione nelle particelle. La mia tesi è il fondamento teorico di tali tracce. A Copenaghen desidero continuare a sviluppare questa teoria affinché possa rappresentare la base di una serie di esperimenti in cui le tracce possano essere registrate”.

Ecco dunque il significato del termine “persistenza”: Charlotte ha appena enunciato una vera e propria legge di conservazione, un’invarianza, una simmetria in senso fisico. Secondo Charlotte, questa proprietà può essere sfruttata per ricostruire il passato: “Immaginate che ogni muro possa essere considerato una pellicola debolmente fotosensibile. E che un giorno si sia in grado di sviluppare tutte le immagini pensabili che ci sono passate sopra”.

Si noti l’adiacenza tematica tra Atlante occidentale e Esperimenti: in entrambi i casi si assiste a una disintegrazione del noto in particelle più piccole: nel primo caso è la realtà che viene disintegrata in senso benevolo dagli strumenti conoscitivi che l’uomo stesso ha costruito. Nel secondo caso, invece, l’amore tende a decadere rapidamente, come un qualsiasi isotopo radioattivo.

Neve fresca L’unico personaggio che riesce davvero a rimanere aggrappato a un Assoluto, a non degradarsi, a non precipitare, è Smilla. Nonostante il dramma in cui viene precipitata. E tuttavia non è un messaggio universale: Smilla è Smilla, non ciascuno di noi: “Mi piacciono più la neve e il ghiaccio che l’amore. Mi è più facile interessarmi alla matematica che amare il mio prossimo (…). Ma sono sempre aggrappata – almeno con un dito alla volta – allo Spazio Assoluto.”

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