Dossier

Piatti "irritanti"

Maurizio Galimberti: il punto di vista della clinica

Maurizio Galimberti Maurizio Galimberti dirige il Servizio di Allergologia e immunologia clinica all’Ospedale maggiore della Carità di Novara.

Dottor Galimberti, oggi sappiamo che esiste una cross-reattività tra allergeni inalanti e quelli alimentari, per cui chi è allergico ad alcuni pollini (es. graminacee) è predisposto ad alcune allergie alimentari (es. pomodori e melone). Quanto può essere indicativa questa correlazione? In altri termini, se un soggetto è allergico a un certo tipo di polline, che probabilità ha di essere allergico anche a determinati alimenti?

La cross-reattività è molto variabile da persona a persona. Se si vuole fare un discorso di percentuali su una popolazione molto ampia, restando nell'ambito delle reazioni pollini-alimenti, abbiamo circa il 20-25% di persone allergiche al polline che nel tempo possono sviluppare anche la cross-reattività agli alimenti.

Per evitare i cosiddetti «allergeni nascosti» un grande aiuto verrebbe da regole rigorose e comuni per l'etichettatura degli alimenti...

Certo, ma non basta. L’etichetta da sola, infatti, non è in grado di garantire la sicurezza totale. Contaminazioni accidentali nella fase di produzione possono determinare la presenza di piccole quantità di allergeni (comunque perfettamente rilevabili dal soggetto allergico e potenzialmente pericolose). Analogamente, la complessità della composizione di alcuni preparati (con ingredienti provenienti da fornitori diversi) rende difficile per gli stessi produttori garantire l’assenza di allergeni. Una recente indagine del Movimento consumatori di Cuneo, condotta su 133 prodotti alimentari in vendita presso la grande distribuzione, ha rivelato che il 22,5% del campione era contaminato da allergeni non indicati in etichetta. Un aiuto maggiore, insomma, verrebbe dalla creazione di una cultura diversa a monte, per cui sia chi produce sia chi distribuisce rispetta in modo rigoroso procedure che da un lato valorizzano gli stessi prodotti (perché ne garantiscono davvero la qualità) e dall'altro mettono al riparo dalle contaminazioni (cioè da allergeni nascosti). In altre parole, le aziende alimentari dovrebbero inserire nel loro piano di autocontrollo un’attenta valutazione dei punti critici e un numero adeguato di verifiche analitiche.

industria alimentareResta il fatto che, con l'attuale sistema di etichettatura, persino voi esperti avete bisogno di una sorta di guida per decifrare quali tipi di allergeni si nascondono dietro a una determinata terminologia (per esempio, se in etichetta c'è scritto «aromi da proteine nobili», il prodotto potrebbe contenere proteine del latte). Uniformare il sistema di indicazione in etichetta non sarebbe utile?

Certo. Ma, ripeto, il problema per chi è allergico non si risolve qui. Le linee di produzione, infatti, possono essere inquinate inavvertitamente e dunque l’allergene può essere presente ma non comparire in etichetta. Per ridurre al minimo i rischi di reazioni avverse occorrerebbe, insomma, compiere un passo avanti. Ciò che davvero interessa sapere è se un dato prodotto contiene un certo allergene e in quale misura. Tutto il resto diventa un problema clinico: tocca agli esperti, infatti, gestire gli spostamenti della dose-soglia nei soggetti allergici e quindi stabilire quale prodotto può essere indicato e quale no per un determinato paziente. In altre parole, sull’etichetta si dovrebbe arrivare a scrivere, per esempio: «Contiene 20 parti per milione della sostanza X», in modo che il soggetto allergico possa stabilire, con l'aiuto del medico specialista, se può mangiare quel prodotto o meno.

Un sistema per la lettura automatica delle etichette (come il progetto «Track all»*) potrebbe essere d’aiuto?

Direi di sì: semplificherebbe molto la vita dei soggetti allergici. L'idea di fondo è catalogare in un database le etichette di tutti i prodotti in vendita e incrociare successivamente questi dati con il profilo del soggetto allergico: il sistema informatico dovrebbe essere in grado di indicare in tempo reale se un dato prodotto (identificato attraverso il codice a barre) sia adatto o meno per quel determinato paziente. Se a questo sistema si affiancassero la «platoonizzazione» degli allergici gravi (dotazione di un micro-chip contenente il loro profilo allergologico) e la garanzia della filiera produttiva, si arriverebbe a un buon livello di sicurezza.

mal di panciaPerché c'è tanta discrepanza tra i casi di allergia alimentare riferiti dalla popolazione (20% degli intervistati) e il numero reale dei soggetti allergici (2-4%)?

Credo che una buona parte di responsabilità stia nell'allarmismo dei mass media e in una sorta di eccesso informativo, per cui i dati sono tanto numerosi che la gente non riesce a metabolizzarli adeguatamente. Di fatto la maggioranza dei casi di “allergia alimentare auto-diagnosticata” è riconducibile a situazioni “tradizionali” di reflusso gastroesofageo, meteorismo... (dovute magari a una terapia antibiotica non sufficientemente adiuvata dall’assunzione di probiotici). Chi ha un’allergia alimentare ha sintomi gastroenterici corrispondenti, fondamentalmente, all’espulsione del cibo stesso: per via emetica (vomito) o enterica (dissenteria). È un meccanismo di difesa naturale. E quando accade, non c’è più assorbimento di nutrienti, dunque si registra un evidente deperimento organico. Stando così le cose, quel 20% di popolazione che si auto-definisce allergica dovrebbe risultare sottopeso, ma le statistiche ufficiali dicono il contrario…

Per quel 2-4% di soggetti davvero problematici, come si cura la malattia allergica di base?

La malattia allergica di base si cura in molti modi. La valutazione di fondo è comunque unica: l'allergico è un soggetto il cui sistema immunitario sbaglia la risposta nei confronti di alcuni stimoli (secondo alcune teorie, spingerebbe la risposta fino a un certo punto, senza completarla). La terapia ricorrerà dunque a tutti i sistemi che consentono di correggere in qualche modo l’alterazione immunitaria. Ovviamente andrà modulata sulla base degli agenti causali e delle diverse conseguenze che si manifestano su organi-bersaglio. L’obiettivo è modificare la risposta iniziale errata e riorientarla verso la normalità. Questo riorientamento è già possibile in molti casi di allergia respiratoria; ora si sta cercando di attuarlo anche con le allergie alimentari, ad esempio attraverso vaccini specifici. Sono strategie in fase di elaborazione. Un’altra strada terapeutica è lo studio degli epitopi**, che potrebbe portare alla creazione di una barriera tra il sito di aggancio dell'allergene e l’anticorpo IgE specifico, in modo da impedire il legame che provoca la reazione allergica. Ma ci vorranno anni per avere le prime applicazioni pratiche. Altra strategia, basata sempre sugli epitopi, consiste nell’utilizzare un allergene modificato come vaccino: in altre parole, somministrare al paziente un allergene alterato in alcuni punti, in modo che mantenga la sua capacità di evocare una risposta protettiva, ma abbia ridotta forza irritante. Questa strada è già a buon punto ed è in fase di perfezionamento anche per le allergie più classiche (es. da pollini, da acari...).

analisi laboratorioPerché la ricerca sulle terapie contro le allergie alimentari è rimasta più "indietro" rispetto a quelle respiratorie?

Perché c'è un grosso rischio di reazioni violente e pericolose: con le metodiche di cui disponevamo in passato, forzare un certo tipo di equilibrio era troppo rischioso. Adesso iniziamo a conoscere meglio alcuni meccanismi di base e, dunque, riusciamo a fare in sicurezza un certo tipo di discorso. Il rimedio non può e non deve mai essere peggiore del male. Un ragazzino seriamente allergico agli alimenti (che per es. abbia reazioni avverse già solo inalando il profumo di arachidi) non è facile da vaccinare. Adesso, per fortuna, abbiamo a disposizione una serie di nuovi farmaci (come gli anti IgE) che consentono di modificare la dose-soglia e dunque ridurre i rischi. In ogni caso sono operazioni da effettuare con estrema cautela: gli allergeni alimentari sono stati caratterizzati solo in anni più recenti, quindi li sappiamo gestire (anche a livello di manipolazione farmacologica) meno bene di altri. D’altronde, senza i computer e gli strumenti per le indagini nell'infinitamente piccolo, ben tre quarti delle malattie oggi curabili ucciderebbero esattamente come cinquecento anni fa. Il mondo dell’invisibile, man mano che viene esplorato, ci porterà a risultati sempre più evidenti e macroscopici. Queste considerazioni permettono anche di capire come le allergie alimentari non siano affatto malattie nuove (anche se la percezione generale è questa), ma solo il frutto di nuove acquisizioni scientifiche. Esistevano già prima, solo che non avevamo i mezzi per affrontarle. D’altronde, se è innegabile che siano legate alla diffusione di nuove abitudini alimentari, è altrettanto vero che la contaminazione tra culture diverse è iniziata molto tempo fa, in particolare con le grandi scoperte geografiche, da Marco Polo a Cristoforo Colombo.

(* vedi intervista al dottor Bruno Cavigioli in questo stesso dossier)

(** vedi intervista al dottor Amedeo Conti in questo stesso dossier)

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