Dossier

La terapia genica

Le strategie molecolari

La terapia genica si basa sostanzialmente su quattro differenti strategie.

In primo luogo si può incrementare la dose di un gene deficitario aggiungendone delle copie. Ad esempio per le malattie causate dalla perdita di funzione di un gene, l'introduzione di copie aggiuntive di quel gene sano può aumentare la quantità del prodotto genico a livelli sufficienti a ripristinare il fenotipo normale. Questo metodo è stato applicato in particolare per le patologie autosomiche recessive in cui anche livelli modesti di espressione del gene introdotto possono portare ad una totale guarigione. Le malattie con eredità dominante sono invece molto meno adatte a questo trattamento sino a quando non si riuscirà a raggiungere per i geni esogeni livelli di espressione pari almeno al 50% della quantità del gene normalmente espressa in un individuo sano.

Per determinate patologie invece si può voler uccidere in modo mirato le cellule patologiche. Solitamente questo approccio è molto diffuso nella terapia genica contro il cancro. Alcuni geni infatti possono venire indirizzati verso le cellule tumorali e poi fatti espressi in modo da causare la morte della cellula che appunto li esprime. L'uccisione diretta delle cellule è possibile se questi geni codificano ad esempio per una tossina letale (detto gene suicida) o per un pro-farmaco, cioè una sostanza in grado di conferire suscettibilità a un determinato farmaco che quindi se somministrato uccide solo la cellula con dentro il pro-farmaco. Viceversa si può anche tentare un'uccisione indiretta delle cellule tumorali utilizzando ad esempio geni immunostimolatori capaci di indurre o aumentare una risposta immunitaria contro la cellula cancerogena.

Altrimenti si può pensare di correggere selettivamente la mutazione che rende il gene non funzionante. ma a causa di varie difficoltà di ordine pratico, questo metodo non trova ancora applicazione anche se è, almeno in teoria, già attuabile sia a livello della sequenza di DNA di un gene sia a livello del suo trascritto di RNA messaggero.

Oppure si potrebbe inibire selettivamente l'espressione di un gene. Ad esempio, se cellule malate esprimono un nuovo prodotto genico o comunque una molecola alterata o aberrante, si può bloccarne direttamente il DNA, l'RNA o la proteina.

Nella terapia genica vengono utilizzati due metodi principali per il trasferimento di geni. Nel trasferimento ex-vivo si comincia col trasferire geni clonati in cellule in coltura. Le cellule che esprimono il gene vengono poi selezionate, espanse mediante coltura in vitro ed infine reintrodotte nel paziente. Per evitare che queste cellule vengano rigettate dal sistema immunitario, normalmente si utilizzano cellule autologhe: le cellule inizialmente vengono espiantate dal paziente da trattare e fatte crescere in coltura prima di essere reintrodotte nello stesso individuo.

Chiaramente, questo metodo è applicabile solo a tessuti che possano essere prelevati dal corpo, modificati geneticamente e reintrodotti nel paziente dove attecchiscono e sopravvivono per un lungo periodo di tempo (come ad esempio le cellule del sistema ematopoietico e quelle della pelle).

Nel trasferimento in-vivo invece i geni clonati vengono trasferiti direttamente nei tessuti del paziente. Questa è l'unica possibilità di terapia genica per tutti quei tessuti in cui le singole cellule non possono essere coltivate in vitro in numero sufficiente (come ad esempio le cellule cerebrali) e/o in cui le cellule coltivate non possono essere estratte o reimpiantate nel paziente.

Non essendoci un modo per selezionare e amplificare le cellule che acquisiscono ed esprimono il gene esogeno come invece si può fare ex-vivo, il successo di questo metodo dipende fortemente dall'efficienza generale del trasferimento e dell'espressione del gene.

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