Le intuizioni di Michell e Laplace
Sembra proprio che le prime intuizioni sull'esistenza di particolari corpi oscuri, invisibili, siano state fatte alla fine del Settecento.
Più precisamente, correva l'anno 1783 quando un pastore inglese di nome John Michell (1724-1793), rettore di Thornhill nello Yorkshire dopo essere stato insegnante in quel di Cambridge, scriveva in una lettera inviata alla Royal Society di Londra
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(Michell, 1783)
Il ragionamento di Michell, peraltro dotato di una certa logica, si inseriva nel contesto di una folle idea: stabilire la massa di una stella in base alla misura del rallentamento della velocità della luce proveniente dall'astro stesso. Ma il ragionamento era più articolato di quello che a una prima lettura poteva sembrare e le lettere che Michell scambiava con un fisico di spiccato talento confermano questa visione.
Il nostro pastore era, infatti, amico fraterno del grande fisico, lui si, Henry Cavendish (1731-1810), il più eminente studioso di elettricità nel regno di Sua Maestà la regina d'Inghilterra.
Il genio del fisico, discendente di una ricchissima e illustre famiglia, andava di pari passo con le sue stravaganze, a cominciare dall'abbigliamento, dal modo confuso con il quale si esprimeva e dalla sua totale idiosincrasia verso la pubblicazione dei suoi risultati scientifici che si accompagnava a una grande difficoltà a intrattenere rapporti con gli altri colleghi scienziati.
Sebbene riducesse al minimo i rapporti con la comunità scientifica, Cavendish intratteneva un'intensa corrispondenza con Michell, il quale, da parte sua, non esitava a comunicare le sue intuizioni al ben più famoso "collega", che, parimenti, non rinunciava a incoraggiare il reverendo nelle sue ricerche.
Purtroppo gran parte di questa corrispondenza è andata perduta, soprattutto quella di Michell che, come l'amico, aveva un rapporto con la carta piuttosto conflittuale.
Fortunatamente una parte del carteggio di Cavendish è andato salvato e alcune delle lettere che i due si scambiavano sono arrivate fino a noi.
Le righe di cui sopra furono presentate da Cavendish alla Royal Society di Londra il 27 novembre del 1783.
Da questi scritti si può comprendere che l'articolato pensiero di Michell andava ben oltre la semplice speculazione fine a se stessa ma, anzi, rappresentava un lavoro concreto e ben dettagliato sviluppato per ottenere informazioni sulle distanze stellari, la grandezza delle stelle e la loro massa; supponendo, infatti, che le particelle di cui era costituita la luce fossero attirate verso la terra alla stessa maniera di tutti gli altri corpi pesanti, Michell ipotizzò che sarebbe stato possibile calcolare la massa delle stelle in base al rallentamento della luce che da esse proveniva. Il pastore giunse alla conclusione che se la massa di un corpo di dato raggio fosse stata abbastanza grande allora i raggi luminosi avrebbero avuto velocità nulla e quindi gli oggetti corrispondenti essere invisibili.
A coronamento del ragionamento l'abate scrisse una formula assai simile a quella che più di un secolo dopo metterà in relazione la massa e il raggio di Schwarzschild.
E' chiaro come il pensiero di Michell fosse incentrato, e non poteva certo essere diversamente, sulle ipotesi di Newton e, in particolare, sull'ipotesi della natura corpuscolare della luce, come lo stesso reverendo scrisse:
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Pochi anni dopo qualcun altro fece considerazioni molto simili e, sembra, indipendentemente da Michell; nel 1796, il grande matematico francese Pierrre Simon de Laplace (1749-1827) espose nel trattato Exposition du Systeme du monde idee assai vicine a quelle di Michell, salvo poi ritrattarle nelle edizioni successive alla seconda, probabilmente per essersi reso conto dell'assurdità di certi ragionamenti. Il completo voltafaccia del matematico va, tuttavia, interpretato anche alla luce del radicale cambiamento che andava maturando in quegli stessi anni e che riguardava la natura dei fenomeni luminosi.
Nel 1801, Thomas Young (1773-1829), affascinante figura di fisico, medico e in seguito di egittologo, scoprì il fenomeno dell'interferenza della luce, sancendo di fatto il passaggio dalla teoria corpuscolare della luce a quella ondulatoria. Di conseguenza dalla mente degli scienziati fu completamente rimossa l'idea che la gravità avesse modo di influenzare la luce, semplicemente per il fatto che non c'erano particelle massive sulle quali la gravità potesse agire, come Young aveva appena dimostrato. Insomma, l'idea di tali, improbabili, stelle invisibili venne presto dimenticata senza particolari rimpianti.
Mezzo secolo dopo la ritrattazione di Laplace, l'astronomo tedesco Johann Georg von Soldner effettuò un coraggioso tentativo e si mise a calcolare la deflessione della luce, sempre su base newtoniana, al passaggio di questa vicino alle stelle.
Studiandone il comportamento, giunse a conclusioni assai simili a quelle di Michell, arrivando a ipotizzare l'esistenza di un enorme oggetto oscuro al centro della Via Lattea attorno al quale avrebbero ruotato le stelle del centro della galassia.
Soldner calcolò anche le eventuali orbite che le stelle ruotanti attorno a siffatto oggetto avrebbero dovuto avere, ma giunse alla conclusione che i dati ricavati non deponevano a favore della sua teoria non essendo stati osservati.
E abbandonò le sue ricerche.
Con i dati di Soldner e l'affermarsi della teoria ondulatoria della luce si conclusero questi primi approcci al problema dei corpi estremamente grande e massicci.
Dovremmo aspettare la seconda decade del nuovo secolo, il Novecento, perché si affermi la teoria della relatività di Einstein e il nostro viaggio possa continuare.