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Cellule staminali: cosa sono e perchè sono interessanti

Le cellule staminali e la cura delle malattie: il Morbo di Parkinson

Il morbo di Parkinson è una malattia caratterizzata dalla degenerazione del tessuto nervoso, con perdita selettiva di un determinato tipo di neuroni.

neuroni della corteccia cerebrale

Nel cervello esistono diversi tipi di neuroni, addetti a funzioni diverse, che si differenziano per le sostanze chimiche che producono e che usano per comunicare fra di loro, chiamate neurotrasmettitori. Nel morbo di Parkinson vanno incontro a morte le cellule che producono un tipo particolare di neurotrasmettitore, chiamato dopammina, e situate in regioni del cervello chiamati gangli basali. Le cellule che costituiscono queste regioni permettono il controllo dei movimenti proprio rilasciando la dopammina.

La mancanza di questa sostanza dovuta al danneggiamento delle cellule è responsabile della perdita di capacità, da parte dei malati di Parkinson, di controllare i propri movimenti.

Infatti, la malattia si presenta con tremori, incapacità di controllare i movimenti e paralisi.

E’ una patologia relativamente diffusa, che si stima colpisca circa il 2% delle persone oltre i settant’anni, ma può insorgere già dai quarant’anni d’età.

Le cause non sono ancora del tutto conosciute, mentre è noto che la malattia è progressiva e si manifesta quando oltre l’80% del tessuto risulta danneggiato. Dal punto di vista farmacologico nel primo periodo è efficace sui sintomi l’utilizzo della LevoDopa (un farmaco sintetico che mima l’azione della dopammina), ma l’effetto si esaurisce dopo un certo periodo di trattamento, variabile a seconda del paziente. Pertanto questa malattia è ancora in attesa di un cura efficace.

Oltre 20 anni fa, il gruppo di Bjorklund in Svezia ha perfezionato le tecniche di trapianto delle cellule nel cervello in modo estremamente preciso e funzionale alla cura della patologia.

Nell’esperimento di Biorklund e collaboratori, i neuroni produttori di dopammina venivano prelevati direttamente da alcune porzioni di feti abortiti e impiantati direttamente nel cervello dei pazienti (sono stati coinvolti in questo studio 200 persone). I ricercatori hanno osservato una riduzione dei sintomi del 50% e i neuroni impiantati si sono dimostrati funzionanti anche dopo dieci anni dall’impianto, incoraggiando ulteriori studi.

Questo tipo di tecnologia è stato sospeso per vari motivi, tra cui principalmente il fatto che i tessuti per il trapianto erano ottenuti da feti abortiti, per ogni paziente servono circa sei feti per una cura (molti neuroni muoiono durante l’impianto) e i pazienti sono milioni… Quindi, oltre al problema etico legato all’uso dei feti, c’era anche un problema tecnico difficilmente sormontabile: i tessuti di partenza non erano sufficienti.

Gli scienziati hanno iniziato a guardare con interesse alle cellule staminali, grazie al fatto che queste sono facilmente ottenibili anche in grandi quantità. Sostanzialmente, una volta capito come dalle cellule staminali si possono ottenere dei neuroni “da sostituzione”, si dovrebbe poter ovviare al problema della quantità di cellule necessarie.

Dal punto di vista tecnico, la sperimentazione è facilitata dal fatto che la tecnica del trapianto di cellule nel cervello è ormai una pratica assodata.

Gli studi sull’utilizzo delle cellule staminali embrionali per la cura di questa malattia sono iniziati in modo sistematico dopo il 2002. Fino a quella data si ipotizzava fosse possibile, ma diversi problemi tecnici avevano ostacolato il loro utilizzo, anche solo sperimentale, in terapia.

Attualmente sono in corso diversi studi sulle cellule staminali embrionali umane a questo scopo, alcune finanziate proprio in Europa (in Inghilterra e in Spagna) con fondi pubblici. I risultati di queste ricerche saranno disponibili tra qualche anno e la speranza è che siano confortanti come quelli finora ottenuti negli animali.

In uno studio recente, pubblicato nel gennaio di quest’anno sulla rivista scientifica internazionale “Journal of Clinical Investigation” , il gruppo di ricerca guidato dal Prof. Hashimoto del Dipartimento di Neurochirurgia di Kyoto ha dimostrato che è possibile migliorare i sintomi del Parkinson nei primati usando le cellule staminali embrionali.

I ricercatori hanno condotto le ricerche in scimmie affette da Parkinson e trapiantate con cellule ottenute da staminali embrionali, valutando l’efficacia e gli effetti collaterali del trattamento.

Nel dettaglio, hanno sviluppato una tecnica innovativa che prevede la coltivazione delle staminali embrionali in presenza di altre cellule che ne inducono la differenziazione verso il tipo di cellula nervosa che produce dopammina.

Quando le cellule in vitro hanno incominciato ad avere un aspetto simile a cellule progenitrici di neuroni sono state attaccate a microscopiche sfere (chiamate neurosfere). In questo contesto l’esposizione ad una sostanza chiamata FGF20 induce le cellule a moltiplicarsi ulteriormente (uno dei problemi maggiori affrontati nella ricerca con le cellule staminali, finora, era ottenerne un numero sufficiente). Le cellule così prodotte sono state trapiantate nell’animale e le analisi mediante risonanza magnetica e PET hanno dimostrato che le nuove cellule sostituivano quelle danneggiate anche dal punto di vista funzionale. Inoltre, anche i sintomi della malattia regredivano.

Il Prof. Langston del Parkinson’s Institute, in California, commenta questa scoperta dicendo: “Nella speranza di poter utilizzare le cellule staminali come una nuova sorgente di neuroni dopamminergici per rimpiazzare le cellule nervose degenerate nei pazienti con Parkinson, un punto importante è quello […]di raggiungere nuovi traguardi che rendano questa strategia terapeutica una realtà. Uno di questi traguardi, in quanto rappresenta una fase di transizione importante nello sviluppo della tecnologia che usa le cellule staminali, coinvolge il trapianto di linee cellulari dopamminergiche in un modello primate di morbo di Parkinson”.

Questo studio, infatti, è solo l’ultimo di una serie di pubblicazioni fatte da diversi autori di tentativi diversi di applicare queste tecniche: ogni autore cita il precedente e apporta alcuni miglioramenti tecnici. In questo caso, già altri ricercatori erano riusciti ad ottenere i precursori dei neuroni in vitro a partire da cellule staminali, ma non era ancora chiaro come ottenerne un numero sufficiente e in qualità efficace: il carattere innovativo di questo lavoro è relativa alla particolare coltivazione sulle sfere in presenza del fattore FGF20. I ricercatori stanno quindi affinando piano piano, ognuno aggiungendo un tassello, la tecnica per eseguire in modo efficace il trapianto.

Riassumendo, la tecnica prevede che le cellule staminali prelevate dall’embrione siano messe in coltura, quindi si applicano gli stimoli che favoriscono la trasformazioni in cellule pre-neuronali, la riproduzione in grande numero e la trasformazione in cellule neuronali specifiche. Infine vengono trapiantate in sedi specifiche all’interno del cervello.

Per quanto riguarda gli effetti collaterali, in esperimenti analoghi condotti in topi è stato osservato occasionalmente lo sviluppo di tumori, mentre questo non è avvenuto negli esperimenti in scimmie per periodi di osservazione paragonabili. Per stabilire la sicurezza del metodo da questo punto di vista sono tuttavia necessari ulteriori studi che prevedano tempi di sperimentazione più lunghi di quelli usati in questa sede e che sono attualmente in corso.

Bibliografia

Takagi et al. J Clin Invest. 2005 Jan; 115(1):102-9

Langston, J Clin Invest 2005, 115(1):23-5

Kim et al. Neuropathology. 2004 Sep; 24(3):159-71

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