Dossier

iXem Labs: eccellenza mondiale nella lotta al digital divide

Le altre sfide iXem: dagli schermi contro l’inquinamento elettromagnetico alle sonde per il monitoraggio degli acquedotti

acquedotto Oltre allo studio di reti wi-fi, wi-max e a lunga distanza, gli iXem Labs seguono diversi altri progetti basati sulla tecnologia wireless. Tra questi un sistema per il monitoraggio delle strutture interrate: una soluzione presentata con successo anche in America e piuttosto dirompente, perché costa poco e permette di verificare, ad esempio, le condizioni delle tubature dell’acqua e intervenire sulle crepe prima ancora che si manifestino le rotture. Un settore applicativo altrettanto interessante è quello degli schermi da applicare ai vetri per impedire l’ingresso delle onde elettromagnetiche all’interno degli ambienti. Entrambi i sistemi sono brevettati. «A noi in realtà ciò che interessa è la ricerca», spiega Trinchero. «Non ci sentiamo mai arrivati. I nostri progetti, per quanto possa apparire paradossale, non sono mai finiti: ci piace modificarli e migliorarli in continuo. È innegabile, tuttavia, che diverse nostre ricerche hanno risvolti applicativi immediati».

A chi appartengono i brevetti?

Al Politecnico. In tre anni di attività qui all’iXem abbiamo registrato tre brevetti a livello macro (senza contare, dunque, le varie sotto-versioni). Oltre ai due appena citati, il terzo sistema brevettato è quello impiegato nel record del Monte Rosa, ma certo non per fini commerciali. Anzi, proprio per il motivo opposto. Non appena avremo terminato la fase di test, il software di comunicazione sarà scaricabile gratuitamente dal nostro sito Web. È stata una decisione naturale: è inutile pensare di fare qualcosa per chi non ha mezzi economici e poi imporre un prezzo. Il brevetto, dunque, è stato fatto a tutela, cioè per evitare che altri lo copiassero, lo registrassero e poi lo facessero pagare. Negli altri due casi, invece, mira a proteggere il nostro lavoro di ricerca e il suo successivo impiego commerciale.

Nell’ambito della vostra attività di mappatura ambientale delle onde elettromagnetiche, nel 2005 avevate realizzato un piano di risanamento per il Colle della Maddalena a Torino: a che punto è?

La nostra proposta per il risanamento di quell’area è stata vagliata dagli enti competenti, che poi però hanno avviato un nuovo progetto. So che, al momento, la situazione al Colle della Maddalena è sempre critica e caratterizzata da forti campi elettromagnetici e impianti vecchi. C’è, per la verità, un debole progressivo miglioramento dovuto al fatto che gli impianti più obsoleti vengono via via sostituiti, ma dietro non c’è un vero e proprio piano di risanamento. Comunque sul fronte dell’elettrosmog abbiamo ridotto un po’ le attività o, per lo meno, le abbiamo diversificate.

Perché?

L’impegno volto a ridurre il digital divide dei Paesi in via di sviluppo è risultato più appassionante e ha richiesto molte energie, soprattutto all’inizio, perché per noi era una realtà del tutto nuova.

Com’è nata l’idea degli schermi da applicare alle finestre?

Dalla tesi di laurea di un ragazzo che ora fa il dottorato qui all’iXem. L’idea di partenza era individuare una soluzione tecnologica realizzabile a basso costo. onde elettromagnetiche Sapevamo che esistevano già materiali in grado di ridurre l’ingresso delle onde elettromagnetiche negli ambienti di vita, però erano estremamente costosi, nell’ordine delle migliaia di euro per singola finestra. Noi eravamo in grado di mettere in campo qualcosa che poteva essere prodotto a prezzi nettamente inferiori. I nostri schermi sono superfici trasparenti che si applicano in modo adesivo alle finestre e vengono prodotti dalle macchine normalmente impiegate per realizzare gli involucri dei coni gelato. Il costo di una striscia lunga 3 km e larga 2 metri (una superficie enorme se si pensa a quante finestre si possono rivestire) si aggira attorno al migliaio di euro. E la stima è relativa alla produzione una tantum, dunque non tiene conto degli eventuali vantaggi dell’economia di scala. In pratica, la spesa sostenuta per schermare una finestra con il “vecchio” sistema basta a rivestire l’intero palazzo dell’Onu con la nostra pellicola (ovviamente a parità di prestazioni). Pare che un’azienda si stia interessando al brevetto. Noi ora stiamo seguendo altre applicazioni, tra cui ad esempio l’eliminazione delle interferenze prodotte da reti wireless in uffici adiacenti. Il problema è esattamente opposto a quello dell’inquinamento elettromagnetico: il punto non è impedire l’ingresso delle onde dall’esterno verso l’esterno, ma ostacolare la loro uscita verso l’esterno, lasciando comunque passare altri tipi di segnale. In pratica non dobbiamo fare uscire il wi-fi e garantire, al contempo, l’efficienza delle comunicazioni di telefonia mobile. Ci stiamo lavorando e stiamo mettendo a punto superfici simili alle pellicole per i vetri, ma più specifiche e a costi un po’ superiori.

Il terzo brevetto e la terza macro-attività è il monitoraggio dei tubi. Di che si tratta?

Abbiamo messo a punto il progetto di recente, in collaborazione con l’Acquedotto del Monferrato, una delle più grandi società pubbliche del settore in Piemonte. Il problema delle perdite negli acquedotti è enorme al Nord come al Sud. Secondo alcune stime si arriva a sprecare fino al 50 per cento dell’acqua nel tragitto dalla fonte all’utente finale. Nessuno se ne è mai occupato seriamente perché l’acqua in passato era disponibile in abbondanza e, soprattutto, non c’erano mezzi per intervenire in modo mirato. Il nostro sistema si basa sull’impiego di un sensore, che abbiamo battezzato «WaterMole», che ha la forma di una palla da rugby. Mentre scorre nei tubi esegue un monitoraggio dei suoni riflessi dalle pareti e, in punti precisi, trasmette in superficie i dati acquisiti. Grazie a una tecnica acustica particolare è possibile rielaborare i suoni memorizzati e distinguere quelli generati in presenza di crepe e rotture. È un’operazione che richiede un po’ di perizia da parte del personale tecnico, che dunque va opportunamente addestrato. In caso di perdita, si procede a un intervento mirato, scavando in corrispondenza del rumore anomalo. Dal punto di vista dell’analisi del “rumore idrico”, in realtà, queste tecniche sono note. La novità sta nell’averle rese indipendenti dalla presenza di un filo collegato alla sonda, perché con il nostro sistema le informazioni sono trasmesse tramite collegamenti wireless. Terminato il monitoraggio, la sonda viene recuperata nei serbatoi di stoccaggio e decantaggio o in corrispondenza delle valvole intermedie.

Vi dedicate ad altre attività specifiche?

Sì, ce n’è una quarta, che conduciamo in collaborazione con il Comitato elettrotecnico italiano (Cei) ed è la caratterizzazione delle operazioni di misura sui segnali wireless: in pratica, lavoriamo alla definizione delle norme Cei che disciplineranno il modo in cui gli organi competenti misureranno questo tipo di segnali. monitor misure elettromagnetiche Per definire le procedure di misura e lo standard di riferimento abbiamo lavorato assieme ad ARPA Piemonte, Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale e INRIM (Istituto Nazionale di Ricerca Metrologica). Abbiamo presentato i risultati negli Usa la scorsa estate: la nostra attività è a livelli sufficientemente avanzati da essere presa in considerazione come possibile riferimento internazionale. Di fatto siamo tra i primi al mondo nel settore per un motivo molto pratico: in Italia abbiamo un limite legale di esposizione alle onde elettromagnetiche molto basso, perciò quando nasce un nuovo sistema la prima preoccupazione è imparare a misurarlo, per stabilire se rientra nei limiti di legge. Di recente si è aggiunta una quinta attività, in collaborazione con la Regione Piemonte e il Museo nazionale del Cinema di Torino: l’obiettivo è realizzare un sistema che consenta a un incaricato di fare visite-guidate e lezioni in remoto mentre si sposta da una sala all’altra dell’edificio. Inizialmente la sperimentazione interesserà alcune scuole locali, ma in prospettiva servirà a chi non avrebbe altro modo di accedere al Museo (es. per ragioni di distanza, handicap fisici...).

Per quattro anni lei è stato coordinatore accademico dell’accordo tra Politecnico e Legambiente per l’applicazione dell’ingegneria allo studio e alla riduzione delle malattie legate all’ambiente. Di che si trattava?

La convenzione quadro, sottoscritta nel 2003 e scaduta lo scorso anno, prevedeva una serie di azioni combinate tra Legambiente e Politecnico per favorire l’utilizzo della tecnologia nella protezione dell’ambiente. In pratica abbiamo svolto alcune attività di divulgazione nelle scuole e offerto consulenza ai Comuni che volevano avere informazioni riguardo a tematiche ambientali specifiche, come l’elettrosmog. È stata un’esperienza interessante, perché tutte le attività del nostro laboratorio hanno una finalità di tipo sociale. La convenzione non è stata rinnovata per ragioni varie, ma credo potremo riproporla presto con finalità nuove, ancora più interessanti.

cellulare teschioSi sa qualcosa in più sulla nocività delle onde emesse dai telefoni cellulari? Fanno male alla salute?

Non c’è ancora nulla di certo. In passato noi dell’iXem abbiamo collaborato con medici, biologi e scienziati che si occupano del problema, fornendo loro supporto tecnologico. Alcuni studi hanno classificato i campi elettromagnetici in categoria bassissima per ciò che riguarda gli effetti nocivi sulla salute, altri li hanno inseriti nella categoria che attende ulteriori approfondimenti: non c’è una presa di posizione definitiva e unanime. Al momento, comunque, gran parte dei medici ritiene che, non essendoci evidenze scientifiche tali da far pensare che i campi elettromagnetici facciano male, occorre ancora studiarli.

E nel frattempo come dobbiamo comportarci?

L’impiego di questi oggetti, che spesso vengono tenuti a contatto con il corpo, deve essere il più intelligente e disciplinato possibile. Quindi è bene evitare di usare il cellulare quando è possibile ricorrere a un telefono fisso; e, se si utilizza il telefonino, non accostare l’apparecchio all’orecchio e servirsi del sistema viva voce o dell’auricolare. In ogni caso la preoccupazione principale non dovrebbe riguardare i ripetitori esterni (monitorizzati sistematicamente dalle Arpa locali), ma i dispositivi portatili. Qualche tempo fa, peraltro, ho letto che l’unica causa di morte e invalidità dimostrata in riferimento ai cellulari è legata al loro impiego durante la guida. Sicuramente il loro potere di distrazione, che è poi causa degli incidenti, è più elevato che non quello legato alle onde elettromagnetiche, peraltro ancora da dimostrare.

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