La travagliata storia della determinazione della longitudine
Misurare la Terra, nella storia dell’uomo, ha significato potersi muovere avendo a disposizione mappe per orientarsi e conoscere le distanze da percorrere. Ma il punto di partenza per poter utilizzare una carta geografica, particolarmente per chi è in viaggio, è quello di saper situare la propria posizione sulla superficie terrestre. Per facilitare questa operazione, già Eratostene, nelle ventisette carte geografiche del primo suo atlante del mondo, aveva rappresentato un reticolo di linee orizzontali e verticali che suddivideva le varie aree geografiche. E’ l’idea che sfruttiamo anche noi oggi individuando un punto sulla Terra con la sua latitudine e longitudine, misurando i gradi che separano quel punto da un parallelo di riferimento, l’equatore, e da un meridiano base, quello passante per Greenwich.
La scelta del parallelo di grado zero è stata ovvia, dettata dal moto dei pianeti e del Sole rispetto alla Terra, e la latitudine poteva essere calcolata abbastanza semplicemente anche da un viaggiatore del mondo antico misurando l’altezza del Sole o di alcune stelle rispetto all’orizzonte. Ma la longitudine no, non è una cosa così scontata: la Terra ruota intorno all’asse Nord-Sud e quindi nessun meridiano si distingue in modo particolare dagli altri e il calcolo della longitudine, specialmente in mare, fu un problema che assillò i viaggiatori fino al XVIII secolo.
In definitiva la determinazione della longitudine era strettamente connessa con quella dell’ora: la Terra infatti compie intorno al suo asse una rotazione intera di trecentosessanta gradi in ventiquattro ore, quindi un’ora equivale a un ventiquattresimo di giro, cioè a quindici gradi, un grado a quattro minuti. Ogni punto della Terra distante da un altro quindici gradi di longitudine sarà dunque un’ora avanti o indietro rispetto all’altro.
Fin dall’antichità chi si trovava in mare poteva calcolare l’ora locale in particolari momenti, ad esempio con il Sole allo zenit o con il verificarsi di eventi astronomici prevedibili come le eclissi. Ma non esistevano orologi sufficientemente precisi e affidabili tali da mantenere un movimento regolare anche su una nave fluttuante fra le onde e da permettere quindi di confrontare in ogni momento l’ora locale con quella del porto di partenza.
Ancora i grandi navigatori del XVI e XVII secolo, Vasco da Gama, Ferdinando Magellano, Francis Drake, avevano viaggiato senza saper calcolare con certezza la longitudine.
Anche Galileo Galilei si cimentò nella soluzione del problema studiando, a partire dal 1610, le eclissi delle lune di Giove. Le eclissi avvenivano così di frequente e con tale regolarità che secondo Galileo vi si poteva regolare un orologio. Con le sue osservazioni realizzò infatti delle tabelle, le effemeridi, che prevedevano l’apparizione e la scomparsa delle lune per vari mesi dell’anno, e cercò di proporre il suo metodo a vari sovrani europei. In effetti la difficoltà di osservare con precisione questi satelliti in mare e il fatto che l’osservazione fosse possibile solo in alcuni mesi dell’anno, fecero sì che la tecnica diventasse di uso comune solo dopo il 1650, quando Galileo era ormai morto, e solo per le misure sulla terraferma. La seconda metà del XVII secolo vide affiancarsi ai tentativi di noti scienziati come Huygens e Hooke, le più svariate e a volte strampalate proposte per risolvere il problema della longitudine in mare.