Dossier

Le bio-fabbriche di nanoparticelle

La Fabbricazione di Nanoparticelle

Per la sintesi di nanoparticelle gli scienziati hanno finora usato varie tecniche chimiche, che prevedono la Nanoparticelle - cappingcristallizzazione da fase liquida e la decomposizione di composti metallorganici. Tuttavia, questi metodi funzionano solo ad alta temperatura e hanno un importante impatto ambientale, data la tossicità di alcune nanoparticelle. Inoltre, con questi metodi non è facile controllare la loro dimensione, che è un importanti fattore per un efficiente utilizzo tecnologico. Infine, la sintesi chimica richede complicate procedure per attuare il “capping” delle nanoparticelle. Questa tecnica consiste nel “rivestire” le particelle con molecole organiche quali peptidi,  creando una sorta di vero e proprio vestito protettivo che le rende stabili e solubili, riducendone al contempo la tossicità.

Tuttavia in futuro il lavoro degli scienziati potrebbe essere delegato ad organismi viventi specializzati nella produzione di nanoparticelle.

Nel 1989 alcuni scienziati Americani publicarono per la prima volta su Nature la sintesi di nanoparticelle di solfuro di cadmio (CdS) da parte di cellule di lievito. Due specie di cellule Candida glabrata e Schizosaccharomyces pombe dimostrarono di poter sintetizzare nanoparticelle del diametro di 2 nanometri in presenza di sali di cadmio. Le nanoparticelle risultavano già “rivestite” con molecole organiche chiamate peptidi e mostravano fluorescenza blu quando sottoposte a raggi ultravioletti.

Bio-fabbricazione di nanoparticelle da parte di Escherichia ColiGli scienziati scoprirono che la produzione delle nanoparticelle da parte delle cellule avviene tramite l’attivazione di un meccanismo di disintossicazione che le protegge dall’accumulo di metalli. In particolare, molecole quali l’enzima glutatione e proteine dette fitochelatine promuovono il legame tra lo zolfo contenuto nelle proteine ed il cadmio, controllando così la formazione ed il rivestimento delle nanoparticelle.

Successivamente, scienziati in tutto il mondo scoprirono che non solamente cellule di lievito, ma anche virus e batteri potevano produrre nanoparticelle “rivestite”, tramite un analogo meccanismo di disintossicazione. Il virus Tobacco mosaic può formare PbS e CdS “nanowires”, sequenze regolari monodimensionali di piombo (o cadmio) e zolfo, mentre il batterio Escherichia coli, noto per provocare severe infezioni nell’uomo, può produrre decine di migliaia di nanoparticelle di CdS per ogni cellula.

Negli ultimi vent’anni una vera e propria “classe operaia” di microorganismi ha dimostrato di poter produrre nanoparticelle: batteri quali Rhodobacter sphaeroides e torulopsis sintetizzano nanoparticelle rispettivamente a base di solfuro di zinco e piombo, mentre le cellule del fungo Alternaria alternata possono produrre nanoparticelle di argento, note per le loro efficaci proprietà antibatteriche contro Candida albicans, Escherichia coli e Stapphylococcus aureus.

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