Dossier

Buchi neri. Da Mitchell alla teoria delle stringhe, l'evoluzione di un'idea

La dinamica dei buchi neri

Nel 1972 le conoscenze sui buchi neri avevano raggiunto uno stadio piuttosto evoluto.

I contributi di molti scienziati avevano permesso di capire molte cose sulla dinamica di questi oggetti, tanto che alla fine Hawking, Carter e Bardeen pubblicarono un articolo di straordinaria importanza: Le leggi della meccanica del buco nero.

Le quattro leggi che formularono furono:

Legge zero: In condizioni stazionarie la gravità superficiale k di un buco nero è la stessa in tutti i punti dell'orizzonte.

Prima Legge: in un buco nero, nella trasformazione da uno stato a un altro vicino, l'energia del sistema cambia di una quantità pari alla somma di un termine di lavoro (che tiene conto del lavoro fatto per cambiare la rotazione del buco nero e del lavoro fatto sui campi di materia esternamente a esso) e di un termine proporzionale alla variazione dell'area dell'orizzonte.

Seconda legge: in un qualsiasi processo fisico che si svolga in un sistema isolato l'area dell'orizzonte degli eventi non può mai diminuire

Terza legge: è impossibile portare con una successione finita di termini la gravità di superficie k a un valore pari a zero.

La gravità superficiale è una sorta di parametro che indica il valore di accelerazione che un osservatore dovrebbe avere se volesse rimanere sospeso sopra l'orizzonte (in realtà il suo valore sarebbe infinito ma con opportune considerazioni è possibile "rinormalizzarlo" a un valore finito).

Insomma, Hawking e compagnia avevano appena detto come "funzionavano" i buchi neri.

A qualcuno, non ultimo Hawking, non sfuggì il fatto che queste quattro leggi erano formalmente identiche alle leggi della termodinamica, se si pensava di comparare la temperatura di un corpo, la sua energia e la sua entropia rispettivamente alla gravità superficiale, alla massa e all'area dell'orizzonte di un buco nero.

In uno dei suoi libri divulgativi più famosi Hawking una quindicina di anni dopo avrebbe ricordato:

"Le proprietà dell'area di un buco nero di non diminuire mi ricordava molto da vicino il comportamento di una proprietà fisica chiamata entropia, la quale misura il grado di disordine di un sistema". (S. Hawking, A Brief History of Time, 1988)

Ma almeno in questa considerazione qualcuno lo aveva preceduto.

Fu Jacob Bekenstein ad anticipare sconvolgenti intuizioni.

Prima della pubblicazione del lavoro di Hawking, Bardeen e Carter, Bekenstein suggerì che l'analogia fino a quel momento solo formale tra dinamica dei buchi neri e termodinamica classica poteva essere più che una semplice coincidenza ma qualcosa di molto più profondo se si fosse considerata la teoria quantistica dei campi. Allora, e solo allora, si poteva realmente pensare di identificare l'area di un buco nero con la sua entropia.

Le considerazioni di Bekenstein erano maturate in seguito alle implicazioni del teorema No Hair e della teoria dell'informazione: quando una particella cade dentro a un buco nero porta con se la sua informazione che pertanto, vista dal nostro universo, va perduta; ma secondo la teoria dell'informazione, la perdita dell'informazione comporta un aumento di entropia.

Pertanto ci doveva essere un'entropia associata al buco nero.

Bekenstein si spinse oltre e cercò di misurare questo valore. Usufruendo di qualche suggerimento dato lui da Wheeler valutò che l'entropia era proporzionale all'area dell'orizzonte di un fattore di cui se ne poteva dare una stima utilizzando il principio di indeterminazione di Heisemberg.

Le motivazioni di Bekestein irritarono non poco Hawking e colleghi che non credevano affatto al connubio tra termodinamica e buchi neri, come lo stesso Hawking ricorderà nel suo libro a proposito dello storico articolo del 1972:

" Devo ammettere che scrivendo tale articolo, ero motivato in parte da una certa irritazione nei confronti di Bekestein, che secondo me aveva fatto cattivo uso della mia scoperta dell'aumento dell'area dell'orizzonte degli eventi".

Il motivo per il quale non si poteva credere che i buchi neri fossero anche oggetti termodinamici era piuttosto semplice:

"...la temperatura di un buco nero è zero. Un modo per rendersene conto è notare che un buco nero non può essere in equilibrio con una radiazione di corpo nero a una temperatura diversa da zero"

(Hawking, Bardeen, Carter, 1973)

Ecco il grosso problema. I buchi neri non avevano temperatura!

Ma proprio da Hawking venne la scoperta rivoluzionaria. Con grande gioia anche dello stesso Bekenstein, che non aveva affatto digerito come le sue idee erano state trattatte nell'articolo del 1972.

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