Intervista a Giulio Sandini
Giulio Sandini insegna Bioingegneria all’Università di Genova e dal 2006 è direttore di ricerca del Dipartimento di Robotica, scienze cognitive e del cervello presso l’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT), fondazione di diritto privato istituita nel 2003 con l’obiettivo di sviluppare la ricerca su tre piattaforme integrate (nanobiotecnologie, neuroscienze e robotica), in collaborazione con altri dieci poli scientifici dislocati sul territorio nazionale. Sandini, in particolare, segue uno dei fiori all’occhiello dell’IIT: il progetto quinquennale «RobotCub», partito nel 2005 e finanziato dalla Comunità europea, volto alla realizzazione di un “cucciolo di robot” con le dimensioni di un bimbo di due anni.
Professor Sandini, che rapporto c’è tra robotica, cervello e scienze cognitive?
Per me sono la stessa cosa, nel senso che la robotica del futuro, che mira alla realizzazione di macchine in grado di interagire con le persone e aiutarle, ha bisogno di conoscenze che vengono da chi studia il cervello e anche da chi si occupa di scienze cognitive. E, viceversa, i robot che noi stiamo cercando di costruire sono modelli di interesse anche per gli studiosi di cervello e scienze cognitive.
Quando parla di robot in grado di interagire con le persone si riferisce anche alla capacità di riconoscere le emozioni e rispondere di conseguenza?
Certamente l'aspetto emotivo è importante per un robot che, in prospettiva, dovesse interagire con un essere umano. Ed è importante sotto due punti di vista: da un lato perché permetterebbe anche al robot di esprimere uno stato emotivo e comunicare certe situazioni, dall’altro (molto più difficile) perché consentirebbe alla macchina di riconoscere le emozioni espresse dalla persona con la quale sta interagendo.
Quella delle emozioni è una delle sfide che esercitano più fascino in chi si occupa di robotica e scienze cognitive...
Sì, perché è una funzione molto complessa e perché, se la si analizza nel dettaglio, si comprende che non è un orpello superfluo, ma una capacità funzionale, che aiuta la comprensione, la scelta e la capacità di prendere decisioni. Quindi è una sfida decisamente importante.
I robot arriveranno a sviluppare pensieri complessi, al limite qualche forma di coscienza?
Questo è un altro filone di ricerca sul quale stanno lavorando vari scienziati. La risposta è difficile, anche perché bisognerebbe riuscire a definire anzitutto cos'è la coscienza. Di solito ci si ferma già a questo stadio, perché non tutti concordano sulle diverse interpretazioni della coscienza. Lo step successivo sarebbe capire se si potrà mai arrivare ad avere robot dotati o meno di coscienza. Certamente qualche forma di consapevolezza di sé ci vorrà, se non altro perché comprendano quali possono essere gli effetti che certe loro azioni hanno sugli altri.
Qui si sconfina forse anche nella roboetica...
È un aspetto ancora più "esoterico": prima bisogna risolvere tutti gli step precedenti.
L'IIT di Genova collabora con vari poli di ricerca in tutta Italia, ma nell'elenco non rientra Torino. Perché?
Solo perché finora non c'è stata occasione per instaurare una collaborazione stretta. Ma lo statuto dell’IIT prevede che nel tempo la rete possa estendersi ad altre realtà. Sono convinto, d’altronde, che dinanzi a questioni così complesse sia indispensabile la massima interazione tra tutti coloro che se ne occupano: sarebbe sciocco, oltre che inutile, rinchiudersi in un istituto, una città o una nazione.
A che punto è il progetto RobotCub?
A settembre o ottobre dovremmo avere il primo prototipo completamente assemblato e funzionante. Adesso stiamo sperimentando i singoli pezzi: testa, spalle, gambe, braccia, mani... Hanno tutti un grado di complessità tale che la realizzazione di ciascuno di essi è diventata un progetto in sé.
Qual è l'obiettivo finale?
Il principale è sviluppare le conoscenze sull'intelligenza in senso lato. E senza un corpo, dotato di fattezze più o meno umane come RobotCub, pensiamo non sia possibile ottenere un modello significativo del funzionamento del cervello umano. Le neuroscienze hanno infatti dimostrato il ruolo fondamentale delle rappresentazioni motorie nei processi sensoriali e nell’interpretazione delle azioni. Gran parte di ciò che nell’essere umano possiamo chiamare “cognizione” nasce dalla nostra abilità nell’utilizzare le mani (e in qualche modo l’intero corpo) per manipolare oggetti e comunicare gestualmente.
Quali ostacoli avete ancora da superare?
Moltissimi. I nostri robot non possiedono ancora molte abilità tipiche dell’uomo, come la capacità di comprendere la situazione (abilità prospettiva/associativa), di imparare continuamente dall’esperienza, di capire gli altri (intelligenza sociale), di percepire con i sensi (vista, tatto, odorato…). Purtroppo non sappiamo neppure come queste abilità si sviluppino nell’uomo. Dal punto di vista pratico, inoltre, non abbiamo ancora tecnologie in grado di supportare adeguatamente l’apprendimento, il riconoscimento e la classificazione di oggetti/eventi (es. memorie associative, calcolo stocastico…); mancano anche tecnologie per l’interazione sicura (es. muscoli artificiali con il controllo di forza) e quelle per le connessioni massicce (es. connettori composti da centinaia di fili per millimetro quadrato: il nervo ottico umano è composto da circa 80.000 assoni/mm²); ma mancano anche sensori e tessuti flessibili come tendini, pelle e ossa: la crescita fisica e i cambiamenti morfologici sono un ingrediente fondamentale delle soluzioni intelligenti naturali.